C'È POCO DA FESTEGGIARE: L'OCCUPAZIONE TORNA AI LIVELLI PRE-COVID MA I NUOVI CONTRATTI SONO PRECARI (434 MILA SU 540 MILA) - I SINDACATI TEMONO DIVENTI UNA CONDIZIONE STRUTTURALE: "NON È PIÙ TOLLERABILE CHE IL NOSTRO MERCATO SIA CONNOTATO DA CARRIERE FRAMMENTATE, DISCONTINUE E CON BASSI SALARI" - GLI STIPENDI NEL 2021 SONO AUMENTATI DELLO 0,6%, L'INFLAZIONE DELL'1,9% E 1200 PERSONE SONO MORTE SUL LAVORO...
Dall'account Twitter di Marta Fana
Sintesi del 2021:
- l'80,4% dei nuovi occupati ha un contratto a termine.
- I salari sono aumentati in media dello 0,6% contro un'inflazione dell'1,9%.
- Il Pil è aumentato del 6,4%.
- 1200 persone sono morte mentre lavoravano.
#statodellarte
Dall'account facebook di Alessandro Gilioli
C'è molto entusiasmo - su Rep. Sole e altrove - per il Pil che cresce molto.
Qui si condivide l'entusiasmo, in linea generale, se dopo due anni di merda (anche) per l'economia, ora viene prodotta più ricchezza.
Ci sarebbero tuttavia alcuni fondamentali, che ci ha insegnato il XX secolo e che quasi mi vergogno a ricordare.
Una società sta bene - quindi ha stabilità, crescita reale e ottimismo - se la ricchezza:
a) prima viene prodotta.
b) poi viene almeno in parte redistribuita.
(questa non è nemmeno un'opzione solo socialista, è un principio pragmatico di stabilità e benessere che in teoria dicono di perseguire perfino i pensatori liberisti del "dropping")
Ora, si sa che il comunismo reale di ricchezza ne produceva troppo poca, quindi redistribuiva poco, quindi ha fallito.
Ma si sa anche che il capitalismo lasciato a se stesso, invece, anche quando riesce a creare più ricchezza poi tende a non redistribuire una mazza.
Ecco, i dati dicono che al momento la nuova ricchezza prodotta è molto concentrata. E che il nuovo lavoro creato è meno pagato e più precario di quello che ha sostituito dopo la pandemia.
Chi fa politica - soprattutto nel presunto campo largo del cosiddetto centrosinistra - forse dovrebbe occuparsi dal mattino alla sera di questo.
O è troppo populista dire che le guerre di palazzo politiciste e correntizie vengono dopo, meglio se non vengono proprio?
OCCUPAZIONE A LIVELLO PRE-COVID MA I NUOVI CONTRATTI SONO PRECARI
Giusy Franzese per "Il Messaggero"
La ripresa inizia a farsi sentire anche sul mercato del lavoro: a dicembre 2021 il numero degli occupati in Italia rispetto allo stesso mese del 2020 è cresciuto di oltre mezzo milione, 540.000 per la precisione, e di ben 650.000 unità se il confronto si fa con gennaio 2021.
Inoltre per il secondo mese consecutivo il tasso di occupazione - che è il rapporto tra chi ha un contratto e l'intera platea di chi è in età da lavoro (15-64 anni) - resta ai livelli pre-Covid: 59%.
Lo stesso di febbraio 2020, appunto, quando il virus ancora non aveva manifestato tutta la sua potenza mortale. E anche la disoccupazione continua la sua discesa: era al 10,2% a gennaio 2021, mese dopo mese il dato generale è migliorato e a dicembre ha chiuso al 9%. Situazione in miglioramento anche tra i giovani: il tasso di disoccupazione giovanile infatti scende al 26,8% (-0,7 punti).
C'è poi un altro dato particolarmente positivo: la riscossa (almeno numericamente) dell'occupazione femminile. A dicembre le donne con un contratto di lavoro in tasca sono 54.000 in più (+0,6%) rispetto al mese precedente, e ben 377.000 in più (+4,1%) rispetto a dicembre 2020. Il tasso di occupazione per le donne sale al 50,5%.
Risultati buoni, quindi. Ma con qualche chiaroscuro. A cominciare dalla tipologia di lavoro. L'incertezza sul futuro, i timori di varianti del virus in agguato, hanno spinto finora le aziende a restare prudenti nelle assunzioni.
I nuovi contratti sono per la stragrande maggioranza a tempo determinato: sui 540.000 posti di lavoro in più citati prima, ben 434.000 sono assunzioni a tempo. Per chi ha bisogno di lavorare è sempre meglio che niente, ma l'angoscia non svanisce.
Il problema da individuale, diventa collettivo quando - come adesso - l'aumento percentuale dei contratti precari è addirittura a due cifre: +16,4%. E suscita interrogativi. Tra i sindacati per primi.
«Bisogna evitare che questo andamento degeneri e si trasformi in precarietà strutturale» osserva il leader Cisl, Luigi Sbarra. «Non è più sopportabile che le lavoratrici ed i lavoratori vivano con contratti instabili e precari e che il nostro mercato del lavoro sia connotato da carriere frammentate, discontinue e con bassi salari» commenta preoccupata Ivana Veronese, segretaria confederale Uil.
SEMPRE MENO AUTONOMI
Ma c'è anche un altro dato che non lascia tranquilli, l'emorragia di lavoratori autonomi: se ne sono persi altri cinquantamila in un solo mese (dicembre su novembre), sono 320.000 in meno rispetto al periodo pre-Covid.
Un dato sottolineato sia da Confcommercio che da Confesercenti: per entrambe le organizzazioni non è un buon segnale per la ripresa. Anzi. Indica una «perdita di slancio» e rappresenta «la cartina di tornasole dei limiti della ripresa in corso».