dino grandi benito mussolini

25 LUGLIO 1943, LA FINE DEL FASCISMO - LA CADUTA DI MUSSOLINI NELLA TRAMA DEI GERARCHI RACCONTATA DA CARLO NORDIO: “DINO GRANDI AVEVA VISTO L’ABISSO IN CUI L’ITALIA ERA STATA TRASCINATA E PRESENTO’ AL GRAN CONSIGLIO UN ORDINE DEL GIORNO CHE POTEVA COSTARGLI LA VITA - IL PAESE SI STAVA SGRETOLANDO E SCRICCHIOLAVA LA DINASTIA SAVOIA. MUSSOLINI PRESE LA PAROLA E DISSE…”

Carlo Nordio per “il Messaggero”

 

DINO GRANDI

Alcuni giorni fa, nella splendida terrazza delle Assicurazioni Generali in piazza Venezia, Roma ha accolto i cinque scrittori finalisti del premio Campiello. Dei loro libri, tre hanno carattere storico: la rivoluzione russa, la guerra di Spagna, la dittatura hitleriana. Non si poteva scegliere luogo migliore, perché quella piazza contiene la testimonianza della nostra tragedia più recente: la guerra e il fascismo. E mentre gli autori parlavano, l'attenzione si sdoppiava, come se stessimo ascoltando anche le voci dei protagonisti di una riunione che a pochi metri da lì, esattamente settantacinque anni prima, aveva posto fine al ventennio di Mussolini.

 

L' ORDINE DEL GIORNO

L' iniziativa era partita da Dino Grandi, più volte ministro e ambasciatore a Londra, che aveva visto l' abisso in cui l' Italia era stata trascinata e da cui minacciava di non risollevarsi mai più. Grandi presentò al Gran Consiglio del Fascismo un ordine del giorno che avrebbe potuto costargli la vita. Rischiò, e in certo senso vinse, anche se il paese fu successivamente invaso dai nazisti, e trascinato in una guerra civile. Ma quella seduta rimase una pietra miliare della nostra storia contemporanea.

 

benito mussolini

Il Gran Consiglio non aveva specifiche competenze giuridiche: poteva esser definito un semplice organo consultivo. Generalmente si limitava ad assecondare le soluzioni proposte dal Duce o a prender atto di quelle già adottate. Tuttavia poteva fornire al Re un appiglio formale per sostituire Mussolini. Vittorio Emanuele III aveva infatti maturato da tempo il proposito di sbarazzarsi dello scomodo socio.

 

La guerra era una catastrofe. A Pantelleria le truppe italiane si erano arrese senza sparare una cartuccia, e in Sicilia gli abitanti avevano accolto gli angloamericani come liberatori. Roma era stata bombardata, l' esercito era pieno di uomini ma vuoto di armi, di carburante e soprattutto di morale. L' Italia si stava sgretolando e, cosa che preoccupava ancor di più il miope sovrano, scricchiolava la dinastia. L'uscita di scena del Duce era dunque il primo passo per uscire dal vicolo cieco della guerra.

 

benito mussolini guglielmo marconi

Il Gran Consiglio si riunì alle cinque, in un clima torrido reso opprimente dall' afa, dalla cupa atmosfera di diffidenza, e dalle pesanti sahariane nere indossate dai gerarchi. Grandi era ancora più bardato, perché sotto le vesti (o in borsa) nascondeva un paio di granate; altri congiurati tenevano una pistola. Tutti si aspettavano qualcosa di nuovo, ma quasi nessuno pensava a una destituzione del Duce. Si prevedeva una riunione breve, e non si era nemmeno provveduto per la cena. Alle dieci, durante la breve sospensione, tutti dovettero accontentarsi di qualche panino.

 

In effetti la riunione si prolungò fino alle prime ore del 25 Luglio: Mussolini aveva parlato a lungo, scaricando su tutti, tranne che su di sé, le colpe delle disfatte militari. Fu un discorso fiacco e sconclusionato, che incoraggiò gli esitanti oppositori.

 

BENITO MUSSOLINI E LUIGI FEDERZONI

Prima Grandi, poi altri, chiesero un cambiamento radicale di conduzione politica e militare, affidandone al Re la responsabilità esecutiva: in pratica, investendo il Sovrano della decisione finale. Vi furono delle resistenze da parte dei fascisti più accaniti, come Farinacci e Galbiati, ma alla fine l' ordine del giorno passò con diciannove voti contro sette. Tutti andarono a dormire convinti di aver vinto la partita. Grandi confidava nell' intervento della Corona; Mussolini riteneva che tutto si sarebbe assestato il giorno seguente; qualcuno, come Cianetti, si pentì e ritirò la firma. Gli altri restarono a guardare.

 

L' INCONTRO DECISIVO

Il giorno seguente Mussolini si recò in ufficio come se nulla fosse accaduto, ricevette l' ambasciatore giapponese, firmò la corrispondenza, e tornò nella sua residenza privata in attesa dell' appuntamento con il Re, fissato per il pomeriggio. Solo la moglie Rachele fiutò l' agguato e, come Calpurnia, lo pregò di non infilarsi in quella che sembrava un' imboscata. Mussolini, confidente come Cesare nella sua intoccabilità, trascurò l' avvertimento, e si recò con il segretario e una piccola scorta a villa Savoia.

 

benito mussolini

Il Re lo ricevette, gli annunciò balbettando la sua sostituzione con il Maresciallo Badoglio, e lo fece mettere in custodia protettiva dentro un' autoambulanza piena di carabinieri. Il veicolo scivolò tranquillo per le vie di Roma, e nessuno se ne accorse. Dopo vent' anni, il regime era caduto, senza che un solo colpo fosse sparato. Il resto è noto.

 

Mussolini fu liberato dai tedeschi e Hitler lo mise, come un fantoccio, a capo della Repubblica di Salò. Per l' Italia cominciò la tragedia dell' occupazione nazista, con i rastrellamenti degli ebrei, la lotta partigiana, le rappresaglie della SS e i bombardamenti degli alleati. Mussolini assistette a questo sfacelo in una inerte e rassegnata impotenza; alla fine scappò verso la Svizzera vestito da tedesco, fu riconosciuto e fucilato. Il suo corpo, esposto al vilipendio di piazzale Loreto testimoniava il fallimento di una dittatura che pur aveva goduto, e a lungo, di un forte consenso popolare.

 

IL MUSEO

Il palazzo di piazza Venezia ora è trasformato in Museo, e soltanto i filmati d' epoca ci ricordano la sua funzione di grottesco palcoscenico di tragiche spavalderie. Il famoso balcone è ora adorno di bandiere, e i turisti non lo notano, distratti dall' imponenza del Vittoriano e, in lontananza, dalla maestà del Colosseo.

otto skorzeny e benito mussolini

 

Ma per chi considera le pietre dei muti testimoni del passato, quei muri e quei marmi suscitano ancora oggi emozioni e ansietà. Lì dentro si crearono miti e illusioni, e un esercito di giovani fu mandato al macello perché il suo inquilino necessitava, come lui stesso si vantò, «di alcune migliaia di morti per sedersi al tavolo dei vincitori». Lì si decise l'ignominiosa dichiarazione di guerra a una Francia già sconfitta, a un' Inghilterra di straordinaria resistenza morale e a un' America di inesauribili risorse economiche e militari.

 

benito mussolini 14

Da lì Mussolini aveva assistito, con ostinata ottusità, alla perdita del suo recentissimo Impero africano, alle umiliazioni in Grecia e in Albania, alla ritirata di Russia e all' invasione dell' Italia. Sorseggiando l' aperitivo dalla terrazza del prospiciente edificio, possiamo anche pensare che Palazzo Venezia è uno dei tanti simboli che evocano l' ascesa e la caduta dei potenti, da Tarquinio il Superbo fino ai governi della nostra traballante seconda repubblica. Tuttavia è difficile cancellarne il senso di angoscia che ti prende osservandolo a lungo. Un' angoscia che può esser solo mitigata dalla filosofica consapevolezza dell' imprevedibile corso della Storia umana, che tra tante difficoltà arranca, e spesso retrocede, lungo l' incerta via del progresso e della pace.

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