charlotte

CAMPIONESSA A OCCHI CHIUSI – IN TEXAS UNA RAGAZZA CIECA DI 17 ANNI ARRIVA TERZA NEL SALTO CON L’ASTA – IN PISTA SI AIUTA CON IL CANE CHE LA TIRA FINO ALL’INIZIO DELLA RINCORSA, POI CONTA LE FALCATE GIUSTE PER SPICCARE IL SALTO

Giulia Zonca per “la Stampa

CHARLOTTE BROWNCHARLOTTE BROWN

 

Per sognare ci vuole metodo. Charlotte Brown non vede quasi più: macchie, abbagli, strisce di ombre in gradazioni dal grigio al nero. È nata con un problema agli occhi, a 16 settimane la prima cataratta poi una serie di operazioni, sempre più disperate. Ne ha fatte tante ma a 11 anni i medici le hanno lasciato poche opzioni: «Diventerai cieca». Lei ha deciso che sarebbe stata una campionessa cieca.


Fino a qui il coraggio, la resistenza e la voglia di non arrendersi al destino ma sopra quell’idea astratta, intorno allo slancio emotivo, Charlotte ha costruito una solida carriera. Non sa quanto potrà durare perché la vista, già ridotta a ricordo, presto la lascerà al buio completo però sa come farla funzionare e sabato notte ai campionati del Texas è salita sul terzo gradino del podio nella gara di salto con l’asta, con il cane Vador e l’aria soddisfatta. «Finalmente una medaglia, sono due anni che ci provo e questo risultato non ha che fare con l’atletica, è un messaggio per chi deve superare dei guai. Esiste sempre un modo per andare oltre quello che per tutti è il limite».

CHARLOTTE BROWNCHARLOTTE BROWN


Sensori e rincorsa speciale
Il suo metodo è rigoroso. Lo ha elaborato con l’allenatore, con i due fratelli che l’hanno iniziata all’atletica e ovviamente con Vador, il cane che l’accompagna a ogni allenamento, la scorta in pista per le gare, si accuccia durante lo stretching, la traina al punto di presentazione e la tira fino all’inizio della rincorsa. Tutte le altre coordinate se le porta in testa, impresse a memoria per beffare la logica. Sette falcate con partenza dal piede sinistro, un impulso acustico per trovare il punto di imbucata dell’asta e qualche metro di prato artificiale scuro da stendere a fianco della pista: senza il contrasto rischierebbe di andare storta e Vador non può più aiutarla quando la corsa è partita.

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Charlotte non vede l’asticella anche se sa dove sta perché conosce l’altezza a cui è piazzata e familiarizza con la misura sovrapponendola a cose note: la parete, l’insegna, il piano. È salita a 3,50, misura di tutto rispetto per una junior qualsiasi. Lei gareggia con i normodotati, al momento non le interessano le categorie alternative, la scelta dello sport nasce da un desiderio preciso: «Non poteva essere la corsa, ci voleva altro. Ho iniziato a saltare con l’asta perché mi serviva una disciplina spericolata ed eccitante».


Prima competizione nel 2013, «sono arrivata ottava, ci ho messo troppo a capire come muovermi e ho iniziato tardi a metterci la forza che serviva». L’anno dopo è arrivata quarta ed era furiosa perché il sistema ormai era rodato, l’allenamento doveva pagare di più. Era così delusa che prima di questi campionati il padre ha cercato di prepararla al peggio: «Non mi aveva mai parlato così prima, sembrava preoccupato».

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Lui ha elaborato un discorso emotivo, si aspettava commozione e ha visto una smorfia: «Mia figlia mi ha detto che puntava alla vittoria, partecipare le interessava poco». Il podio l’ha esaltata e le ha dato una dose inaspettata di popolarità: per la tv Usa lei è già «strong America», un esempio, una motivazione. Charlotte non si distrae, ha 17 anni e fretta di migliorarsi. Ha uno schema da rispettare, dei passi da contare e cerca un’altra gara per mettersi alla prova. E fregare il buio.

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