COME VENGONO ASSEGNATE LE STELLE MICHELIN AI RISTORANTI PIÙ BUONI DEL MONDO? – GLI INVIATI DELLA GUIDA (CIRCA UN CENTINAIO IN TOTALE), PER VALUTARE LA CUCINA DELLO CHEF, DEVONO PRANZARE E CENARE NEL RISTORANTE DA VALUTARE - GLI ISPETTORI, COPERTI DA ANONIMATO, SI MIMETIZZANO TRA I CLIENTI PER NON RICEVERE ATTENZIONI SPECIALI – GLI CHEF LOTTANO PER OTTENERE IL RICONOSCIMENTO: LA STELLA SIGNIFICA AUMENTARE IL FATTURATO DEL 50%
Estratto dell’articolo di Andrea Cuomo per “il Giornale”
Le stelle sono tante, milioni di milioni, ma solo quelle Michelin contano davvero. Il «macaron» elargito con parsimonia dalla mitologica guida rossa, nata agli albori della motorizzazione di massa per segnalare dove riparare l’auto (e cambiare le
gomme) durante un viaggio e passata nel giro di decenni a segnare fortune e disgrazie dei ristoranti di mezzo mondo, è il sogno di ogni chef. Anche, credeteci, di quelli che dicono di non curarsene (bugiardi).
Ma come vengono assegnate le stelle? Quali sono i criteri seguiti? Sono equi? Variano da Paese a Paese? Incominciamo col dire che gli ispettori della «rossa» sono coperti da un rigido anonimato. Si sa che sono dipendenti della stessa Michelin, che non guadagnano granché (ma sono spesati per i viaggi, i pasti e l’ospitalità), che sono meno di un centinaio e che dovendo alternarsi su 40mila ristoranti di 24 Paesi in tre continenti, devono visitare centinaia di ristoranti all’anno, una vita gastroinsostenibile e quindi solo apparentemente invidiabile.
«Ci sono due “prove tavola”, a pranzo e a cena - racconta uno di loro sul sito della Michelin - che si concludono sempre con un resoconto scritto. Facciamo anche molta ricerca sul territorio (...).
Infine, quando siamo in ufficio, ci confrontiamo con gli altri ispettori e con le redazioni, per fare il punto sulle settimane trascorse sul campo, e prepariamo i viaggi futuri».
La solitudine dell’ispettore.
È vero che, come tengono a specificare da Clermont-Ferrand, la decisione sulle stelle è collegiale, ma il tapino viaggia di continuo, pranza e cena ogni giorno da solo, non si dichiara né si fa riconoscere (anche se alcuni ristoratori sono convinti di saperlo individuare infallibilmente), dà pochissima confidenza, paga il conto senza fiatare e, con la bocca ancora impastata di limoncello, trascrive le impressioni sulla sua esperienza perché dopo poche ore riapre un nuovo menu.
L’insegna viene valutata secondo una griglia rigida che prevede questi criteri: qualità dei prodotti, tecnica culinaria, equilibrio tra gli ingredienti, personalità dello chef, rapporto qualità/prezzo, costanza di rendimento.
Ma lui, il (re)censore, come garantisce la sua competenza e indipendenza? Deve avere studi preferibilmente alberghieri, esperienza di almeno dieci anni nel settore, competenza culinaria e giornalistica, essere autorevole, affidabile, riservato, credibile, parlare bene inglese, e non soffrire la probabile mancanza di una famiglia. Praticamente un sociopatico. Ben nutrito ma pur sempre sociopatico.
[…] Ma entrare nel Gotha della ristorazione quanto vale? Guadagnare una stella vuol dire incrementare del 50 per cento il proprio fatturato. Bello, bellissimo. Ma da quel momento sei condannato all’ansia tragica di poterla perdere, perché se questo accade il.