SIAMO IMMUNI SÌ O NO? – LO STUDIO DI UN ISTITUTO CALIFORNIANO SMENTISCE QUELLO CHE CI HANNO DETTO FINORA SUGLI ANTICORPI DEL CORONAVIRUS: NON È VERO CHE SVANISCONO IN 90 GIORNI, MA RIMANGONO PER ALMENO 8 MESI – CI SONO POCHE PERSONE CHE SI INFETTANO DI NUOVO A DISTANZA DI POCHI MESI, E QUINDI PERDONO L’IMMUNITÀ, MA QUESTO POTREBBE ESSERE DOVUTO ALLE…
La Jolla Institute of Immunology
Lorenzo Mottola per “Libero quotidiano”
In un mare di deprimente catastrofismo, qualche buona notizia ogni tanto arriva dalla ricerca sul Covid. Quella di oggi è che, secondo uno studio dell' Istituto "La Jolla" in California, chi guarisce dal virus resta immune come minimo per 8 mesi e che la copertura potrebbe durare anche per anni.
Tutto ciò significa anche la protezione conferita dai vaccini in via di sviluppo, come quelli prodotti da Pfizer e Moderna, non sarebbe di soli 90 giorni come ipotizzato da tanti scienziati. E che i casi di reinfezione - anche per chi è stato colpito da forme lievi della malattia - non sarebbero affatto frequenti come supposto da alcuni virologi. O che probabilmente un secondo contagio avverrebbe in forma lieve. «Gli anticorpi tuteleranno la maggior parte delle persone da avere conseguenze serie per il virus per molti anni», ha detto spiegato ai giornali Usa Shane Crotty, analista del La Jolla Institute of Immunology della California.
DICIASSETTE ANNI
La ricerca è stata diffusa su un sito internet per addetti ai lavori ed è in attesa di pubblicazione su una rivista scientifica (cioè deve ancora essere sottoposta anche alla revisione di un équipe di medici). La fonte tuttavia, come sottolineato dal New York Times, è assolutamente buona e lascia ben sperare.
Anche perché già un' altra recente indagine di questo genere ha sottolineato come le persone guarite dalla Sars - malattia causata da un altro Coronavirus - fossero immuni al contagio dopo ben 17 anni.
I ricercatori hanno seguito 185 persone, per lo più provenienti da New York e dalla California, che erano state infettate da Covid-19. In particolare, gli studiosi hanno monitorato i livelli delle cellule immunitarie per mesi dopo l' infezione. Il tutto con ottimi risultati.
quartier generale pfizer a new york 3
Come dicevamo, però, esiste una minoranza che ha perso gli anticorpi. Secondo gli autori dell' indagine, questo potrebbe essere dovuto alle differenze tra i vari ceppi di Corona in circolazione. Un problema che, a quanto sostengono i ricercatori Usa, i vaccini dovrebbero superare.
Sempre riguardo agli antidoti, continua la sfida tra le case farmaceutiche americane per chiudere a tempo di record i test. Ieri la Pfizer ha annunciato di aver completato l' ultima fase di analisi e corretto il tiro riguardo all' efficacia del siero, portata dal 90 al 95% (mezzo punto percentuale più di quello di Moderna, l' unica altra azienda che finora ha presentato dati sul proprio prodotto).
L' azienda ha spiegato in una nota di essere già pronta a richiedere l' autorizzazione delle autorità degli Stati Uniti per poter iniziare a somministrare il loro prodotto. Una procedura che in seguito dovrà essere seguita anche in Europa.
DISTRIBUZIONE
Come noto, il vero problema del vaccino Pfizer riguarda la conservazione a 80 gradi sottozero. Per questo nazioni come la Germania si stanno preparando ormai da mesi per la distribuzione.
Le dosi consegnate ai tedeschi saranno conservate in un deposito centrale e poi spedite a più di 60 centri regionali entro poche ore dall' approvazione del vaccino. Si spera di riuscire a farlo già negli ultimi giorni del 2020. E si sta valutando anche di utilizzare i padiglioni delle fiere. Sono perfino in fase di sviluppo due app per la gestione della campagna. In Italia, ovviamente, non accade nulla di tutto ciò: Arcuri ha avviato ieri i lavori, chiedendo alle Regioni di individuare dei siti adatti.
Riguardo ai contratti di approvvigionamento con i produttori, l' Ue sta attendendo i risultati della terza fase di esami sul vaccino che verrà prodotto da Astrazeneca, la casa sulla quale Bruxelles ha puntato maggiormente per ottenere un farmaco contro il Covid.
Le ricerche di questa multinazionale sono partite circa un mese dopo quelle delle due concorrenti americane.
Nel giro di poche settimane, quindi, dovremmo riuscire a sapere quando davvero potrà essere distribuito il nostro medicinale e soprattutto se funziona. Altrimenti dovremo puntare su altre case come la Johnson&Johnson, che però sono partite ancora più tardi. Pfizer, infatti, ci concederà nella prima fase un numero di dosi limitato, sufficiente a coprire solo le fasce ad alto rischio della popolazione. Moderna, invece, consegnerà prima negli Usa, in Israele e nel Regno Unito.