IL DDL ZAN AVREBBE EVITATO QUESTO CALVARIO? LA STORIA DI GIANCARLO, EX MANAGER DI UN'IMPORTANTE AZIENDA INFORMATICA A MILANO, MOBBIZZATO PER DUE ANNI PERCHÉ GAY: "QUANDO LO SCOPRIRONO DIVENTAI UN INVISIBILE. PAUSA PRANZO DA SOLO, NIENTE PIÙ PRATICHE SULLA MIA SCRIVANIA, ZERO MAIL AZIENDALI. SE FOSSIMO STATI NEGLI USA SAREI DIVENTATO MILIONARIO PER I RISARCIMENTI. A QUESTO SERVE UNA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA..." (MA NON C'È GIÀ UNA LEGGE CONTRO IL MOBBING?)
Fabio Poletti per "La Stampa"
Giancarlo è in pensione da qualche anno. Quattro anni fa si è sposato con il suo compagno. La sua vita di prima, manager di una multinazionale informatica con sede a Milano, gli brucia ancora: «Quello che mi hanno fatto passare ha lasciato una cicatrice indelebile. Non posso dimenticare il mio capo che passa davanti al mio ufficio, e dice: "Mobbing". O il rientro in azienda dopo l'infarto, tre bypass, e lo stesso capo che mi accoglie chiedendomi: "Allora, hai finito le vacanze?"».
Dura due anni il calvario in azienda di Giancarlo. Due anni di perfetta solitudine, isolato solo perché omosessuale: «Ero diventato un invisibile. La pausa pranzo al bar la facevo da solo. Alla fine mi accompagnava una segretaria, l'avrà fatto per compassione più che per solidarietà». La legge sul mobbing esisteva da tempo, ma si sa quanto sia difficile farla applicare.
La legge sulla omofobia, allora come oggi, è impantanata in parlamento. «Il mio avvocato mi ha sempre detto che se fossimo stati negli Usa, sarei diventato milionario in dollari per i risarcimenti. E invece niente. Due anni di inferno in un'azienda informatica, uno degli ambienti di lavoro più competitivi e maschilisti che esistano».
Giancarlo era la perfetta immagine del manager di successo, giacca e cravatta, stipendio con molti zero, un lavoro impegnativo nel mercato globale. «Difficilmente uno potrebbe dire che sono omosessuale solo guardandomi. In passato ho fatto anche degli spettacoli "en travesti", ma lontani dalla mia vita in ufficio».
Non si nascondeva, Giancarlo. Semplicemente non esibiva la sua sessualità. Della sua relazione stabile con un uomo che poi sarebbe diventato suo marito, lo sapevano familiari e amici. Sarà una sua collega a raccontare in ufficio come un pettegolezzo, una cosa che dovrebbe fare parte della sfera privata di ognuno.
«All'inizio non capivo. Niente più pratiche sulla mia scrivania. Zero mail aziendali. Il telefono che non squilla più. Per giorni, settimane, mesi. Inattività totale. Solo chi lo ha provato sa cosa voglia dire. Ti senti invisibile e dunque inutile. Chiedevo spiegazioni ai miei capi e non ricevevo risposte. Ho iniziato a stare male. Piangevo. Ho iniziato a prendere dei farmaci. Mi sono rivolto a un gruppo di aiuto. Alla fine mi sono messo nelle mani di un legale per cercare di uscirne».
Sarà il suo avvocato, a rivelargli a cosa era dovuta quella cortina di freddezza, odio e discriminazione, che gli avevano costruito intorno. Con il legale che gli chiede: «Giancarlo, quando hai detto in ufficio che eri omosessuale?». Mistero svelato e non per questo meno doloroso.
Ma Giancarlo è un manager. Sa che dove esiste un problema c'è una soluzione. Prima ne parla con il suo capo che si giustifica in un modo che definire odioso è un complimento: «Mi ha spiegato: "Avevo detto di schiaffeggiarti un poco, mi sa che si sono fatti prendere la mano"».
Non basta, Giancarlo si rivolge al chairman, al presidente del Consiglio di amministrazione della società, quello mondiale. La pensione è vicina. Si trova un accomodamento. Per Giancarlo inizia una nuova vita.
Ma adesso si chiede: «Chi non è nella mia posizione professionale, può fare tutto quello che ho fatto io per difendermi? Quanti stanno zitti, ancora oggi? A questo serve una legge contro la omofobia. Serve tanto. Anche oggi».