DIETRO LA LIBERAZIONE DI CECILIA SALA NON C’E’ STATA SOLO LA PROMESSA DI NON ESTRADARE L’INGEGNERE-SPIONE IRANIANO ABEDINI MA C’E’ ANCHE UN TROLLEY PIENO DI SEGRETI SUI DRONI KAMIKAZE CHE HA CONVINTO GLI AMERICANI A SBLOCCARE LA TRATTATIVA - NELLA VALIGIA, INFATTI, ORA NELLE MANI DELL’ITALIA, C’E’ DEL MATERIALE CHE È ORO PER LE INTELLIGENCE OCCIDENTALI – LE RASSICURAZIONI DI CARAVELLI (AISE) AGLI INTERLOCUTORI DI TEHERAN CHE NON VOGLIONI CHE ABEDINI FINISCA NELLE MANI DEGLI USA, I TEMPI PER L’ESTRADIZIONE E IL RUOLO DI NORDIO…
Estratto dell'articolo di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci per "La Repubblica"
La liberazione di Cecilia Sala non è stata determinata solo dalla promessa di scarcerare Mohammad Abedini Najafabadi, l’uomo dei droni iraniani fermato a Milano il 16 dicembre, 3 giorni prima della giornalista. C’entra il ruolo che l’Italia ora può giocare nello scacchiere mediorientale, grazie al rapporto diretto tra Giorgia Meloni e Donald Trump. E c’entra anche, forse soprattutto, il trolley con cui viaggiava Abedini, sequestrato dalla nostra Antiterrorismo all’aeroporto di Malpensa: insieme a computer, telefoni, pen drive, l’ingegnere trasportava chip e schede elettroniche che conservano i segreti di droni kamikaze. Materiale che è oro per i servizi di intelligence occidentali, soprattutto per quelli americani.
Il trolley col suo prezioso contenuto è nelle mani degli investigatori italiani, e lì rimarrà nei prossimi mesi. A quanto risulta a Repubblica, è questa la circostanza che alla fine ha convinto gli americani ad accettare la proposta italiana di “non alzare le barricate sulla non estradizione di Abedini”.
cecilia sala con la madre e il papà 1
Già nelle ore immediatamente successive all’arresto dell’ingegnere su mandato di cattura emesso dagli Stati Uniti, l’Iran aveva chiesto all’Italia la rapida liberazione. Un atto che, però, sarebbe stato visto dagli Usa come una provocazione e infatti non è stato compiuto. Il fermo di Abedini ha seguito il normale percorso giudiziario e dal ministero della Giustizia ha dato parere positivo al mantenimento della misura cautelare.
A questo punto è stato l’Iran a leggere il passaggio come una provocazione, quale invece non era: via Arenula si era mossa in autonomia perché il ministro Nordio non era stato avvisato che a Teheran era stata arrestata arbitrariamente una giornalista italiana, e che dunque il caso rientrava nel novero di quell’odiosa, ma reale, “diplomazia degli ostaggi”, che il regime degli ayatollah usa come strumento di politica estera.
GIOVANNI CARAVELLI - FOTO LAPRESSE
Per riaprire canali tra Roma e Teheran che il doppio arresto aveva all’improvviso chiuso, si è mossa l’intelligence: il direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli, sfruttando l’antica collaborazione con interlocutori iraniani, ha spiegato che la vicenda Abedini non era un atto ostile dell’Italia. E che il nostro Paese non aveva ancora preso alcuna decisione sulla consegna alle autorità americane del 38 enne. Era quello che gli iraniani volevano sentirsi dire: più ancora che alla libertà del loro ingegnere, tenevano alla sua non estradizione. “L’importante è che non finisca nelle mani dell’Fbi” hanno ripetuto in tutte le occasioni.
Abedini, stando al mandato di cattura americano, svolge e ha svolto un ruolo cruciale per i pasdaran: è in prima linea nella ricerca e nello sviluppo della tecnologia dual use servita per i sistemi di guida dei droni che hanno colpito le basi americane in Medio Oriente. Tuttavia, in Italia non pochi tra inquirenti e giuristi sono convinti che esistano elementi robusti per sostenere una non estradabilità, a partire dal fatto che i Guardiani della rivoluzione iraniana di cui è accusato di far parte dagli Stati Uniti non è riconosciuto come gruppo terroristico dal nostro Paese. Di più.
Sono emerse perplessità sulla tempistica con cui all’Italia ne è stata chiesta la cattura: Abedini veniva seguito da tempo dall’Fbi e dalla Cia ma la chiusura delle indagini sul suo conto avviene due giorni prima dell’arrivo a Malpensa, firmata dallo stato del Massacchussets, uno dei pochi dove non c’è la pena di morte. Insomma gli appigli giuridici ci sono.
Ed è ciò che in fase di trattativa per la liberazione della giornalista i servizi segreti italiani hanno spiegato alla controparte iraniana mentre in via Arenula preparavano il dossier per la scarcerazione di Abedini, nei casi di estradizione prerogativa del Guardasigilli. Inoltre da Roma fanno presente le scadenze: gli Usa, come ha spiegato ancora ieri Nordio, non ha presentato le carte cui si appoggia la richiesta di estradizione. “Quando arriveranno, sarà valutata. Attendiamo”, ha detto il ministro al Tg1.
Tra tutti i passaggi, fino alla Cassazione, servirà non meno di un anno per arrivare alla decisione finale. E a quel punto il ministro può comunque negare l’estradizione. Era soltanto una questione di tempo e di fiducia, come Caravelli ha assicurato al direttore dei servizi segreti iraniani mercoledì mattina, durante il viaggio a Teheran che ha riportato a casa la giornalista.
Gli iraniani si sono fidati, anche perché sanno che l’Italia è un interlocutore occidentale troppo importante, e uno dei pochi Paesi in Europa che non ha chiuso l’interlocuzione col regime iraniano. Stessa considerazione che hanno molti altri Paesi dell’area, a partire dal Qatar, che si erano offerti come mediatori sul caso Sala.
Mohammad Abedini najafabadicecilia sala nel 2015 2GIOVANNI CARAVELLIGIOVANNI CARAVELLI - FOTO LAPRESSECECILIA SALA CON GIORGIA MELONI A CIAMPINO CECILIA SALA NEL VIDEO DI TONY EFFE CECILIA SALA E DANIELE RAINERI ARRIVANO A CASA IL TWEET DELL AMBASCIATA IRANIANA IN ITALIA SU CECILIA SALA E MOHAMMAD ABEDINI
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