L'AMERICA IN MANO AI PAZZI - JAKE ANGELI, LO SCIAMANO ITALOAMERICANO DEL GRUPPO COMPLOTTISTA "QANON", HA GUIDATO L’ASSALTO AL CONGRESSO A WASHINGTON VESTITO DA BUFALO - L’ATTILA DI CAPITOL HILL È UN SEGUACE DELLE TEORIE PIU' FOLLI SECONDO CUI IL MONDO È GOVERNATO DA UNA RETE SEGRETA DI PEDOFILI NEMICI DI TRUMP. AVEVA GIÀ MANIFESTATO IN ARIZONA CONTRO “L’ELEZIONE RUBATA”… - VIDEO
Viviana Mazza e Giuseppe Sarcina per corriere.it
A guidare l’assalto nell’aula del Senato sarebbe stato lo «Sciamano di QAnon». Trentadue anni, vero nome Jake Angeli, è uno dei personaggi più riconoscibili delle proteste trumpiane di questi ultimi mesi — impossibile dimenticarlo, a torso nudo, con indosso una pelle di bisonte. Ha già manifestato in Arizona contro «l’elezione rubata», è un seguace delle teorie complottiste secondo cui il mondo è governato da una rete segreta di pedofili nemici di Trump, e ieri lo si vedeva alla testa di un drappello con le bandiere americane penetrato al cuore del «sistema».
Nelle strade di Washington, le proteste contro «l’elezione rubata» hanno coinvolto gruppi di militanti organizzati accusati di legami con i suprematisti bianchi — come i Proud Boys e i Boogaloo — e complottisti di QAnon come lo «Sciamano» italoamericano, ma anche famiglie, tanti giovani, tante donne: la solita folla eterogenea dei comizi trumpiani.
Almeno trentamila persone hanno partecipato alla marcia «Save America», organizzata dalla figlia di una dei fondatori dei vecchi Tea Party, Kylie Jane Kremer, che ha creato con la madre l’associazione «Women for America First»: in origine era una risposta all’impeachment di Trump, poi contro le mascherine per il Covid e in seguito hanno lanciato la pagina «Stop the Steal» bandita da Facebook. Ma c’erano state anche altre manifestazioni negli ultimi due giorni. Secondo il presidente, che ama esagerare, i suoi sostenitori erano centinaia di migliaia.
I Proud Boys, che Trump ha chiamato «patrioti» e ai quali ha chiesto di tenersi pronti (Stand back and stand by), si erano organizzati da tempo. Il loro leader, Enrique Tarrio, 36enne di origini cubane di Miami, è stato arrestato lunedì a Washington, per aver bruciato ad un’altra marcia di un mese fa una bandiera di Black Lives Matter strappata da una chiesa nera. Gli hanno trovato addosso munizioni pesanti illegali, ma è stato rilasciato con il divieto di restare nella capitale. Ieri sera è riapparso su Parler — il social che ha accolto gruppi di estrema destra banditi dagli altri social.
Qui sono state scambiate le indicazioni sulle postazioni della polizia, su come raggiungere Capitol Hill evitando gli sbarramenti delle forze dell’ordine e su quali attrezzi portare per forzare porte e finestre. Sembra che almeno una decina di persone abbiano invitato a portare armi nelle sale del Congresso. Tarrio ha promesso che avrebbe spiegato più tardi i dettagli dell'arresto, prima voleva «godersi lo spettacolo» al Congresso, raccontato su Parler sul profilo «Murder the Media» (uccidi i media).
Alle 6 del pomeriggio, mentre stava per scattare il coprifuoco stabilito dalla sindaca di Washington Muriel Bowser, i trumpiani lentamente tornavano agli alberghi nei dintorni della Casa Bianca, verso stanze affittate con Airbnb o in casa di amici. All’altezza del monumento dell’obelisco, cinque uomini in completa tenuta paramilitare spiegavano: «Veniamo dalla North Carolina, siamo qui per difendere il nostro presidente. Ci hanno rubato le elezioni».
Ma non tutti sembravano avere le idee chiare. Alla domanda: «D’accordo, ma chi vi ha rubato le elezioni?», la pattuglia farfugliava risposte diverse: «Il governo…», «Sì, il governo, i democratici». La città era sigillata, bloccate le due arterie che collegano la National Mall, con camion messi di traverso. Davanti al Campidoglio un imponente schieramento di agenti, guardia nazionale e rinforzi dalla Virginia. Su Parler, Tarrio giurava: «Non si può incatenare un’idea».