COLORADO A TINTE FOSCHE - IL FIUME COLORADO SI STA PROSCIUGANDO: LE CITTÀ IN ESPANSIONE, L’AGRICOLTURA INTENSIVA E LA SICCITÀ LO STANNO UCCIDENDO - NEL 2040 IL LIVELLO DELLE SUE ACQUE SCENDERÀ DI UN ALTRO 20%
Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
Il fiume Colorado sta morendo. Questo mito americano è sopravvissuto per millenni, scavando il Grand Canyon e alimentando diverse civiltà nel corso della storia, ma ora la mano dell’uomo lo sta prosciugando, prima ancora della siccità che ormai lo affligge da quindici anni consecutivi. L’ultimo allarme lo ha lanciato un’inchiesta del sito ProPublica, ma se ne parla già da anni, e la University of Colorado prevede che il livello delle sue acque minaccia di scendere ancora del 20% entro il 2040.
Il fiume nasce sulle Montagne Rocciose, a circa tremila metri di altezza, e sfocia nel Golfo della California dopo un percorso lungo 2.339 chilometri che bagna Utah, Arizona, Nevada e California, prima di passare in Messico. Le sue acque servono oltre trenta milioni di persone, e il 80% viene utilizzato per irrigare 3,5 milioni di acri di terra coltivabile.
IL GRAND CANYON
La storia del Colorado River è la storia del West, non solo perché corrodendo le rocce ha disegnato il Grand Canyon, il monumento naturale più famoso degli Stati Uniti. Il suo bacino è stato abitato per almeno 8.000 anni, per ultimi dagli indiani navajo. Poi, nel Sedicesimo secolo, sono arivati i primi esploratori spagnoli, e la storia è cambiata.
Nel 1846 era diventato parte degli Stati Uniti e nel 1869 John Wesley Powell aveva percorso le sue rapide per conto del governo, allo scopo di stabilire se esistevano abbastanza risorse idriche per colonizzare il West. Il suo verdetto era stato negativo, ma la forza degli americani è sempre stata quella di non accettare no come risposta al desiderio di realizzare i loro sogni.
IL SISTEMA DI CANALI
Così il bacino del Colorado è diventato il cuore della conquista del deserto, e il governo ha speso 4,4 miliardi di dollari per costruire un sistema di canali chiamato Central Arizona Project, che porta la sua acqua a decine di chilometri di distanza. È servita a far prosperare città come Phoenix, ma soprattutto ad alimentare un’attività agricola suicida.
I contadini dell’Arizona, infatti, si sono lanciati nel business del cotone fin dall’epoca della Guerra Civile, e nel 2013 hanno piantato 161.000 acri con questo seme. Il problema, però, è che il cotone è uno dei raccolti più assetati: richiede sei volte l’irrigazione della lattuga, e il 60% in più del grano. In teoria, dunque, avrebbe senso abbandonarlo in queste terre aride, anche perché la domanda non è alta, la produzione del Texas annaffiata naturalmente dalla pioggia basta da sola a coprire quasi tutta l’esportazione americana, e i prezzi drogati dalle enormi riserve cinesi oscillano spesso verso il basso.
La ragione per cui i contadini dell’Arizona non cambiano raccolto sta nei sussidi governativi, che coprono praticamente tutte le loro perdite. Grazie allo U.S. Farm Bill, negli ultimi venti anni si sono messi in tasca 1,1 miliardi di dollari regalati dallo stato. Soldi facili che garantiscono la sopravvivenza, anche se il raccolto va male o le balle restano invendute nei magazzini. Perché lasciare il certo per l’incerto?
RISERVE PROSCIUGATE
Così l’acqua del Colorado continua ad essere pompata, anche se la siccità provocata dal riscaldamento globale lo colpisce ormai da quindici anni consecutivi. Le acque delle sue riserve sono scese al punto che fra un decina di anni, continuando di questo passo, bisognerà scegliere se alimentare i centri abitati, oppure irrigare i campi. Gli agricoltori lo sanno, ma non trovano il coraggio o gli incentivi per cambiare. Fino a quando il rubinetto si chiuderà, e le rapide in fondo al Grand Canyon diventeranno solo un ricordo custodito dalle leggende indiane.