“BERLUSCONI? ORA GLI EFFETTI SUL NOSTRO PAESE SONO PERSINO PIÙ IMBARAZZANTI, PERCHÉ PIÙ ESPLICITI” - FRANCO CORDELLI TORNA CON “IL DUCA DI MANTOVA”, RIPUBBLICATO CON LA NAVE DI TESEO A VENT’ANNI DALLA PRIMA EDIZIONE: “I GUAI GIUDIZIARI DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL LIBRO? NON FU BERLUSCONI A FARMI CAUSA MA PREVITI, CHE NEL LIBRO È OGGETTO DI UN CAPITOLO DEL TUTTO INNOCUO. LA 'BEATIFICAZIONE' DEL CAV DA PARTE DEI SUOI SEGUACI? TROVO GIÀ ABERRANTE GLI SI POSSA DEDICARE UN AEROPORTO. LA MELONI? NON MI PIACE COME PARLA, NON MI PIACE COME SI VESTE, NON MI PIACE NULLA…”
Estratto dell’articolo di Katia Ippaso per “il Venerdì - la Repubblica”
franco cordelli foto di bacco (4)
Un apologo dell'amicizia travestito da pamphlet sulla politica italiana. Una "summa teologica" prima ancora che un atto d'accusa contro il berlusconismo. Uno struggente atto d'amore nei confronti della letteratura, dove si abiura il personaggio e mai la persona. È Il duca di Mantova di Franco Cordelli. Dopo vent'anni dalla sua prima edizione (Rizzoli), il libro è stato appena ripubblicato da La nave di Teseo, che ha in programma la riedizione di tutti i romanzi dello scrittore e critico romano.
Il duca di Mantova di Franco Cordelli
«Da quando Berlusconi è sceso in campo, intendo il mio campo, lo ha, alla lettera, invaso: inquinandolo, inflazionandolo, togliendo alle parole valore, le parole non contano più, nessuno può più dare la sua parola» scrive Franco Cordelli in un passaggio della sua labirintica opera, in cui il lettore è chiamato a farsi investigatore, collegando gli indizi di una trama apparentemente secondaria: dalla tempesta emotiva di uno scrittore arrabbiato, emerge una lezione di umanesimo, un paradossale atto di preghiera. […]
Cordelli, che effetto le fa dover trafficare di nuovo con le sue parole vive mentre l'altro, il "nemico", non c'è più?
«Berlusconi è scomparso non solo da questa vita ma anche dalla mia vita.
Non ci penso mai. Non mi sfuggono però gli effetti che la sua presenza ha avuto sul nostro Paese. Anzi, oggi sono persino più imbarazzanti, perché più espliciti».
Si riferisce all'arte o alla politica?
«A tutte e due. Per quanto riguarda l'arte, la cosa va avanti dall'Ottocento, ancor prima del modernismo. Diciamo che con l'impero televisivo ed editoriale di Berlusconi anche i prodotti artistici ormai si fanno in serie. Se fai parte della giuria di un premio devi leggere centinaia di libri. Ma come si fa a individuare quel romanzo che è arte e non merce? Più che la letteratura, però, è morta la critica».
Eppure, lei fa il critico teatrale da più di 50 anni.
«Già, ma è stato un caso. Avrei anche potuto fare il critico cinematografico, e per lungo tempo ho scritto di letteratura. Sta di fatto che da ragazzo avevo deciso che non avrei lavorato. E così è stato».
Come andò?
«Durante i primi anni d'università, lavoravo in una libreria che si trovava nel sottopassaggio tra piazzale Flaminio e piazza del Popolo. La maggior parte del tempo la passavo al piano di sopra, dove c'era un enorme magazzino di libri che diventò presto la mia biblioteca. È lì che ricevetti una telefonata di Elio Pagliarani. Aveva letto i primi miei articoli sull'Avanti e mi propose di fare il suo vice come critico teatrale di Paese sera. Accettai e dentro di me pensai: ecco che il mio desiderio si avvera».
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È vero che 20 anni fa, a causa di questo libro, ebbe dei guai giudiziari?
«Sì, curiosamente non fu Berlusconi a farmi causa (gli ho sempre riconosciuto un certo umorismo), ma Previti, che nel libro è oggetto di un capitolo del tutto innocuo. Gli avvocati della Rizzoli presero in mano la situazione e vincemmo la causa. Ricordo anche che Il duca di Mantova, prima di essere pubblicato da Rizzoli, fu rifiutato da Einaudi, non ho mai saputo perché».
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Come vive il clima di "beatificazione" a cui i seguaci di Berlusconi si stanno alacremente dedicando?
«Trovo aberrante anche solo il fatto che si possa pensare di intitolare l'aeroporto di Malpensa a Silvio Berlusconi. Riguardo all'annuncio del marchio editoriale Berlusconi che dovrebbe essere inaugurato con un libro di Tony Blair, questo ci dice molto su quello che è diventato il laburismo oggi».
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Come ha letto il risultato del secondo turno delle elezioni in Francia?
«Non c'è niente da fare: la Rivoluzione ce l'hanno nel sangue. Vedremo quali alleanze si delineeranno. Intanto, i francesi non hanno permesso che vincesse uno come Bardella che mi ricorda un ufficiale tedesco degli anni Venti e Trenta. Il fatto che Francia, Inghilterra e Spagna esprimano una sinistra forte mi dà parecchia soddisfazione, pensando soprattutto ai problemi che porrà a Giorgia Meloni».
Non le piace molto, vero, Giorgia Meloni?
«Non mi piace come parla, non mi piace come si veste, non mi piace nulla della sua persona».
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Quando scrisse Il Duca di Mantova aveva 59 anni. Nel frattempo, ne ha compiuti 81. Che cosa le rivela questa epoca della vita?
«Fino a 70 anni non pensavo al tempo che mi restava da vivere. Oggi invece è un sentimento acuto. So che il mio tempo è limitato: non so se ho a disposizione dieci anni oppure un giorno. Ma questo non è un pensiero cattivo, anzi direi che è un pensiero buono. Naturalmente si spera di non soffrire».
Il cane Silvio esiste?
«Mai avuto un cane. Gli animali mi sono simpatici, sia i cani che i gatti. Però vivo rigorosamente da solo».
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