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“L’OMEOPATIA? ACQUA FRESCA” - PARLA GARATTINI, MEDICO E DIRETTORE DELL’ISTITUTO MARIO NEGRI: “LEGGE È CONTRADDITTORIA. I PRODOTTI OMEOPATICI SI TROVANO IN FARMACIA MA SULLA CONFEZIONE DEVE ESSERE SCRITTO “SENZA INDICAZIONI TERAPEUTICHE APPROVATE”

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Gianni Barbacetto per il “Fatto Quotidiano”

 

La parola che più ripete, mentre parla, è “indipendenza”. Dalle industrie farmaceutiche, dalla finanza, dalla politica, dalle fedi, dalle superstizioni. A 87 anni (portati splendidamente), Silvio Garattini continua a esibire i suoi dolcevita bianchi, sulla plancia di comando dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Ricerca, formazione, informazione: sono le tre attività a cui si dedica da più di cinquant’anni. “Non solo ricerca ”, spiega, “lo scienziato non deve restare chiuso nella sua torre d’avorio. Deve anche informare, spiegare e farsi capire dalla gente”.

 

 Lui lo ha fatto mettendoci la faccia e dicendo chiaro come la pensa sulle superstizioni, sulle credenze magiche, sulle bufale antiscientifiche, sul rifiuto di vaccinare i bambini, su Di Bella, su Stamina. Anche sull’omeopatia, che va tanto di moda. “È da cinquant’anni che la critico per la sua assoluta mancanza di basi scientifiche”. Ora è appena arrivato in libreria Acqua fresca? Tutto quello che bisogna sapere sull’omeopatia (Sironi editore), scritto con un gruppo di colleghi.

 

Il punto di domanda nel titolo, in verità, lo ritiene del tutto superfluo: “Nei preparati omeopatici non c’è alcun principio attivo: sono proprio acqua fresca. C’è chi ha promesso un premio di 100 milioni di sterline a chi riuscirà a mettere le etichette con il nome giusto su preparati omeopatici a cui sono state tolte: impresa impossibile, perché quei prodotti sono tutti uguali, sono tutti acqua fresca”.

 

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La misteriosa “me mo r i a” d e l l’acqua Si preparano così: si prende una sostanza e la si diluisce aggiungendole 99 parti di acqua. È la “centesimale”. Poi si prende un centesimo di questa soluzione e le si aggiungono altre 99 parti d’acqua. E così via, per 20, 30 volte o più. È la diluizione inventata da Samuel Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia. Leggete sulla confezione: se trovate scritto 20CH vuol dire che questo processo è stato ripetuto per venti volte. “Per la legge di Avogradro ”, spiega Garattini, “già dopo la sesta centesimale, nel liquido non c’è più una quantità misurabile di molecole del principio attivo diluito: resta, appunto, solo acqua”.

 

I fautori dell’omeopatia dicono però che l’acqua conserva, in qualche modo misterioso, la “memoria” d el principio attivo con cui è venuta in contatto. “Smentiti dagli esperimenti in laboratorio. Di questa ‘memoria’ non c’è traccia. Se fosse vera, del resto, l’acqua sarebbe il peggior veleno del mondo, visto che nel suo ciclo entra in contatto con sostanze di tutti i tipi”.

 

A questo punto il professor Garattini si concede un intermezzo enologico: “Se io prendo una bottiglia di ottimo Amarone e lo diluisco con 99 bottiglie d’acqua e poi ancora così per 20 o 30 volte, e infine imbottiglio il risultato finale vendendolo come Amarone omeopatico, voglio vedere che cosa mi succede: ecco, tutti sappiamo vedere la differenza tra vino e acqua, ma non tutti la vogliono vedere tra un medicinale e l’acqua”. No, non la vedono milioni di persone. Il mercato dell’omeopatia in Italia vale circa 400 milioni di euro l’anno, attorno al 5 per cento della spesa per i farmaci non rimborsabili pagati direttamente dai cittadini (8,16 miliardi di euro).

 

Secondo l’Istat, gli italiani che si rivolgono alle medicine alternative in generale sono 4,9 milioni, pari all’8 per cento della popolazione: la metà di questi fa ricorso a “cure” omeopatiche. Ma secondo altre rilevazioni, sono almeno 10 milioni i “clienti” che usano l’omeopatia.

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In Italia operano almeno 700 medici omeopati (su 250 mila), però tutte le farmacie possono vendere prodotti omeopatici, senza prescrizione medica. “Capisco i medici, che sanno poco di chimica”, sorride Garattini, “ma i farmacisti l’hanno studiata bene: perché accettano di vendere il nulla e a volte addirittura lo consigliano, a chi entra nella loro farmacia?”. L’anatra muschiata e il raffreddore di Tolstoj Forse perché rende.

 

L’Oscillococcinum, per dire, va fortissimo. È prodotto dalla Boiron, leader mondiale del l’omeopatia con sede in Francia, ed è pubblicizzato come farmaco contro l’influenza. Moltissimi giurano che funziona: la fa guarire, o addirittura la previene. “Tolstoj”, sorride Garattini, “diceva che il raffreddore con i farmaci guarisce in sette giorni, senza farmaci in una settimana. Lo abbiamo analizzato in laboratorio, l’Oscillococcinum: come altri prodotti omeopatici, non è nient’altro che palline di zucchero imbevute in q ue l l’acqua superdiluita dalle ‘centesimali’. Costoso, per essere zucchero: 2 mila euro al chilo”. La Boiron dice che il principio attivo riportato in Oscillo è “Anas Barbariae Hepatis et Cordis Extractum”.

 

Dovrebbe essere un estratto di cuore e fegato di anatra muschiata, roba che non ha qualità medicinali conosciute. Comunque, tranquilli: le diluizioni sono tali che anche i vegetariani e gli animalisti possono restare sereni, di anatra muschiata nell’Oscillo non resta traccia. Chissà chi si sarà preso la briga di frullare il cuore e il fegato del pennuto (e quando, e dove).

SILVIO GARATTINISILVIO GARATTINI

 

Possiamo consolarci pensando che, viste le diluizioni, un solo esemplare dovrebbe essere bastato a preparare le milioni di confezioni di Oscillo vendute da anni in tutto il mondo. La diluizione indicata è di 200CK: qui la K indica che il metodo di preparazione è quello “korsakoviano”. In un flacone da 15 ml si versano 5 ml del materiale di partenza (o ceppo omeopatico) e si agita (dinamizzazione). Il flacone viene svuotato per aspirazione in modo tale che resti una quantità di 0,05 ml della diluizione originale.

 

Nello stesso flacone si versano altri 5 ml di acqua distillata, si agita, si svuota di nuovo il flacone per aspirazione e si pesa. Il liquido aspirato è la prima diluizione korsakoviana, o 1K. Si ripete l’operazione per 200 volte e il gioco è fatto. “C’è un problema legislativo in Italia”, prosegue Garattini. “Si permette, da una parte, la circolazione e la vendita in farmacia di questi prodotti, senza alcuna documentazione sulla loro efficacia; dall’altra, s’impone che sulle confezioni ci sia scritto ‘Senza indicazioni terapeutiche approvate’” .

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Eppure sono venduti con indicazioni precise: c’è la pillola per l’influenza, il collirio per gli occhi, lo sciroppo per la tosse... “Sono contraddizioni legislative che la logica non riesce a spiegare. In Australia, il governo ha incaricato una commissione scientifica che ha redatto un rapporto in cui si dice chiaramente che sono prodotti privi di qualsiasi effetto terapeutico.

 

Sono inutili, o in qualche caso perfino dannosi, quando sono assunti al posto di farmaci davvero necessari. In Italia restiamo invece con una legislazione contraddittoria: evidentemente ci sono gruppi di pressione che ottengono i loro risultati”. Molti ci credono.

 

Qualcuno guarisce. “L’effetto placebo scatta soprattutto quando qualcuno si sente accudito, quando ha una sua pillola e qualcuno che si prende cura di lui. Ma il vero problema è che in Italia non c’è cultura scientifica. Molti rifiutano le vaccinazioni, credono nel metodo Di Bella, difendono Stamina, protestano contro la sperimentazione su animali. La nostra è una cultura letterario- filosofico -giuridica che non ha inglobato la scienza. Tutt’al più accettiamo la tecnica, ma non abbiamo introiettato il metodo scientifico. Tutti i governi, di ogni colore, trattano la ricerca come se non fosse il futuro di questo Paese. Quello in carica dice che l’Italia riparte, ma ha tagliato quest’anno i fondi per la ricerca di un altro 15 per cento.

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E attenzione, sfatiamo il mito della fuga dei cervelli: i ricercatori devono andare all’estero, il problema è che da noi non tornano e che in Italia non attiriamo ricercatori stranieri. E che sono troppo pochi: 2,7 ogni mille lavoratori, contro una media europea di 5,1. Il gioielliere che amava la ricerca L’avventura di Garattini, scienziato, ricercatore, medico, docente di chemioterapia e farmacologia, è cominciata nel 1960. Dopo esperienze all’estero, negli Stati Uniti, si era dato da fare per fondare un centro di ricerche farmacologiche in Italia.

 

Q ue l l’anno lo chiamò un gioielliere milanese, Mario Negri, che era diventato ricco passando dal gioiello artigianale a quello industriale. Aveva aperto anche un’azienda farmaceutica, Farmacosmici, e aveva conosciuto quel giovane e inquieto ricercatore che voleva convincerlo a finanziare la ricerca in Italia. “Garattini, stai tranquillo”, gli disse, “io sto per andarmene, ma ti lascerò in eredità il necessario per concretizzare il tuo progetto”.

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Nel 1961 nasce la Fondazione Mario Negri. Nel 1963 apre, a Quarto Oggiaro, alla periferia di Milano, la prima sede dell’Istituto. Oggi il Mario Negri ha due sedi, una a Milano, alla Bovisa, davanti alle facoltà universitarie, e una a Bergamo. Ci lavorano 750 persone, con un giro d’affari di 30 milioni l’anno. Nei suoi laboratori sono stati formati 7 mila giovani ricercatori e sono stati messi a punto 14 mila lavori scientifici pubblicati. “Noi rendiamo pubblici tutti i nostri risultati, non puntiamo a brevettare prodotti e dunque a tenere segreto il nostro lavoro. In questo siamo abbastanza unici: anche perché siamo indipendenti.

 

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Non vogliamo dipendere né dall’industria, né dalla finanza, né dalla politica, né dall’università, né dalla religione. Collaboriamo con tutti, ma vogliamo rimanere liberi”. Racconta un esempio di quanto costi, quella libertà: “Insieme ad altri istituti, avevano partecipato a un grande progetto di ricerca per studiare nuovi antibiotici. Quando però abbiamo capito che la multinazionale farmaceutica Glaxo raccoglieva i risultati delle ricerche, ma non li metteva in comune con i ricercatori, abbiamo deciso di uscire dalla partita. Abbiamo perso dei bei soldi, ma noi siamo fatti così: la ricerca non è un mercato”.

 

Rifiuta perfino di affidare a professionisti la raccolta fondi per il Mario Negri. “Voglio che ogni centesimo raccolto sia usato per la ricerca, e non per pagare professionisti del fund raising. Lo so, con una struttura di professionisti raccoglieremmo di più, ma io sono fatto così”. Contro bufale e superstizioni È una storia unica, quella del suo Mario Negri.

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Tanto che due sociologi, Donald Light e Antonio Maturo, l’hanno voluta raccontare come grande caso internazionale in un volume intitolato A Good Pharma e appena edito negli Stati Uniti da Palgrave. È una storia di scienza, studi e ricerche rigorose. Ma Garattini non si risparmia neppure nella battaglia contro le superstizioni. Con il suo amico Piero Angela, anima le attività del Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale. Ha pazientemente cercato di smontare le credenze irrazionali e magiche, ma anche le mode della natura buona a tutti i costi.

 

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“Uno dei miti irrazionali più diffuso è quello secondo cui tutto ciò che è naturale è buono. Ci si dimentica però che i peggiori veleni, i virus e i batteri sono natura. Bisogna fare delle distinzioni, invece questo non succede. Così proliferano le erboristerie che vendono prodotti di cui non sappiamo la composizione: paradossalmente chi non vuole prendere un farmaco perché è fatto di sostanze chimiche finisce col prendere altre sostanze chimiche di cui non sa nulla”.

 

Anche l’industria farmaceutica non la scampa: “Lo spirito critico va usato anche nei confronti della medicina ufficiale. Il 50 per cento dei farmaci venduti potrebbe essere eliminato senza problemi. Ci sono intere categorie di prodotti, dagli integratori alimentari alle vitamine, dai dimagranti ai farmaci contro i radicali liberi, che semplicemente non esistono nella letteratura scientifica. Sono forme di consumismo farmaceutico che sfruttano un bisogno nel pubblico senza offrire alcuna garanzia”.

 

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Garattini continua a lavorare sui suoi due fronti, ricerca scientifica e informazione del pubblico. Sempre custodendo l’indipendenza come il bene più prezioso. Si meriterebbe di essere nominato senatore a vita, se il Senato non fosse stato stravolto dall’ultima riforma

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