“CREARE DOSSIER ACCEDENDO A IMPORTANTI BANCHE DATI È PIÙ FACILE DI QUANTO SI POSSA IMMAGINARE” - PAROLA DI GIULIANO TAVAROLI, EX RESPONSABILE DELLA SICUREZZA PIRELLI E TELECOM COINVOLTO NELLO SCANDALO TELECOM-SISMI: “L'ACCESSO ALLE BANCHE DATI? A PARTE IL MARESCIALLO O IL FUNZIONARIO INFEDELE, C'È UN MONDO ESTERNO CHE PUÒ FARE ALTRETTANTO: CONSULENTI, COLORO CHE COLLABORANO PER LA FUNZIONALITÀ DELLE BANCHE DATI E LA MANUTENZIONE DEI SISTEMI, I FORNITORI TECNOLOGICI. CHI LI CONTROLLA?” - LE TALPE, I MEDIATORI, LE PATACCHE E GLI INVESTIGATORI PRIVATI…
Estratto dell’articolo di Grazia Longo per “la Stampa”
tronchetti provera e giuliano tavaroli
«Creare dossier accedendo a importanti banche dati è più facile di quanto si possa immaginare». Parola di Giuliano Tavaroli, 65 anni, "re dei dossier" (anche se la definizione non gli piace), ex responsabile della sicurezza Pirelli e del Gruppo Telecom Italia, coinvolto nello scandalo Telecom-Sismi.
Perché realizzare un dossier con dati sensibili non è poi così complicato?
«Viviamo in una società digitale magmatica che mette in seria crisi la nostra privacy, perché l'accesso alle banche dati non avviene solo in maniera legittima da parte delle forze dell'ordine o degli operatori delle banche e dell'agenzia delle entrate. A parte il "maresciallo o il funzionario infedele" di turno che può recuperare notizie in modo abusivo, c'è anche tutto un mondo esterno che può fare altrettanto».
A chi si riferisce?
«Ai consulenti, a coloro che collaborano per la funzionalità delle banche dati, per la trasmissione delle informazioni, per la manutenzione dei sistemi. Chi controlla queste persone? Non ci sono solo potenziali hacker ma anche figure come i fornitori tecnologici che possono mettere a rischio la nostra privacy. Anche le amministrazioni dello Stato dipendono dai fornitori tecnologici, quindi il perimetro della "spiata" è assai più ampio del previsto […]».
Che cosa c'è a monte?
«Sicuramente una forte richiesta di informazioni. Sia sul piano industriale, sia politico: due mondi caratterizzati da una forte tendenza alla competizione. La crescita dei dati conservati è spaventosamente alta. Quella dell'informazione è un'economia fiorente, poco regolata».
Che cosa si potrebbe fare per difendersi dal pericolo della diffusione dei dati?
«Innanzitutto bisognerebbe investire molto più denaro […] nel nostro Paese l'agenzia preposta può contare su 44 milioni di euro contro i 100 miliardi degli Usa. La sicurezza digitale […] ha un costo […]».
A parte le "talpe" delle forze dell'ordine e delle istituzioni, crescono anche le agenzie di investigatori privati specializzati nel recupero di elementi dalle banche dati?
«Sì, molti investigatori privati usano la leva digitale, attraverso talpe interne o hacker per rispondere alle richieste sempre maggiori del mercato delle informazioni. Ma non bisogna dimenticare che esiste un problema non indifferente».
Quale?
«Quello del mediatore. Tra il mandante e chi recupera una notizia c'è spesso una persona che fa da tramite, il mediatore appunto, che […] spesso rifila delle "patacche", ovvero delle notizie costruite ad arte, anche con documenti frutto di fotomontaggi. Per non parlare, poi, di quello che si può costruire grazie all'intelligenza artificiale. […] Le richieste di dati sensibili crescono a dismisura per l'alto livello di conflittualità che c'è nel mondo industriale e in quello politico. Si vuole sempre più spesso venire a conoscenza di indicazioni che potrebbero danneggiare un rivale».
Più in generale, qual è la pozione del nostro Paese in materia di cybersicurezza?
«Molto critica. […] l'intera Europa sta perdendo la guerra contro Paesi come India, Cina, Russia, Iran, Israele e Corea del Nord che sono delle grandi potenze digitali […]».