haters

SEE YOU LATER, HATER! - GLI "ODIATORI" SOCIAL SONO SEMPRE PIU' NUMEROSI: NEL 2023, IL 93% DEI TWEET ERA "NEGATIVO", CONTRO IL 69% DELL'ANNO PRECEDENTE - MOLTI DI QUESTI "LEONI DA TASTIERA" SI NASCONDONO DIETRO A HASHTAG INNOCUI O NICKNAME CHE LI AIUTANO A DISSOCIARSI DALLA REALTÀ  - IL PROF ZICCARDI: "L'ODIO ONLINE STA AUMENTANDO PERCHE' AUMENTANO I CONTATTI E QUINDI LA PRODUZIONE DI CONTENUTI. INOLTRE LA VIRALITÀ DEI MESSAGGI DEGLI HATER È SUPERIORE A QUELLA DEI CONTENUTI PIÙ PACATI E MEDITATI, E QUINDI…"

Estratto dell'articolo di Giuliano Aluffi per “la Repubblica”

 

[…] Può mettere a disagio una discesa nei gironi infernali del linguaggio degli hater, ovvero chi sui social indica con “Zecche” gli elettori di sinistra o con “Risorse” i richiedenti asilo. Mescolando, ogni volta che sia possibile, sessismo e razzismo […]

social media - odio e violenza

 

L’odio online sta crescendo: l’ultima mappa dell’intolleranza redatta da Vox, Osservatorio italiano sui diritti, segnala un 93% di tweet negativi, contro il 69% dell’anno prima, soprattutto diretti contro le donne (43,21%), le persone con disabililtà (33,95%) e le persone omosessuali (8,78%). Gli hater si raggruppano, […] dietro hashtag […]  (come #pandorogate per chi attacca Chiara Ferragni) […] in apparenza neutri ma capaci di evocare, in chi condivide le loro idee, tutto un mondo. […]

social media - odio e violenza

 

Più di tutto, gli hater sono dissociati. Secondo un esperto nello studio dell’odio online, Daniel Kilvington della Leeds Beckett University, la dissociazione degli hater è, nella maggior parte dei casi, a doppio senso: si dissociano sia dalla loro identità reale, proteggendosi dietro un nickname, che dalle loro vittime, di cui non possono vedere le reazioni fisiche e le espressioni, così da poter capire quando si è passato il segno, come accadrebbe invece in una discussione vis-à-vis. «Internet per loro è come una dimensione immaginaria, separata e rimossa dagli obblighi e dalle responsabilità del mondo reale» spiega Kilvington.

 

social media - odio e violenza

Ma perché l’odio sta aumentando? «Per semplici ragioni numeriche: perché aumentano i contatti, le transazioni, le relazioni online e quindi la produzione di contenuti e l’esposizione ai contenuti» spiega Giovanni Ziccardi, professore di informatica giuridica all’Università degli Studi di Milano e autore di Dati avvelenati (Raffaello Cortina, in uscita a febbraio). «Dalla pandemia è aumentato il numero di ore che passiamo online, anche per lo smart working. Poi oggi gli strumenti di intelligenza artificiale facilitano la produzione di contenuti, e si è abbassata l’età della consegna del primo smartphone: ormai la fascia d’età di chi può scrivere in Rete va dagli 8 ai 75 anni. Così abbiamo sempre più contenuti online, e tra questi quelli d’odio».

 

[…]. «Inoltre la viralità dei messaggi degli hater è di molto superiore a quella dei contenuti più pacati e meditati, e quindi l’odio ha una visibilità intrinseca, soprattutto in un momento storico in cui la polemica è considerata un valore che è anche economico, per il traffico online che procura. Possiamo definire l’odio come la valuta dei social network».

HATER

 

 Non tutti gli odiatori sono anonimi. «Ci sono anche quelli che ci mettono la faccia, presentandosi col loro vero nome e cognome. Costoro rifuggono dall’anonimato, perché vogliono guadagnarsi un seguito personale, una popolarità: sanno bene che l’odio, soprattutto quando è canalizzato verso un personaggio pubblico, come attori, cantanti o politici, attira visualizzazioni e condivisioni ». Sono queste le persone che, quando vengono messe di fronte al soggetto che hanno aggredito, dichiarano “Ma io questa persona non la odio mica. L’ho offesa solo perché so che così attiro visualizzazioni e vado in alto nei trend dei social”.

 

HATERS

Una distinzione terminologica utile è quella proposta da Joseph Reagle, docente di comunicazione alla Northeastern University e autore del saggio “Reading the comments: likers, haters and manipulators at the bottom of the Web” (Mit Press): «In quel libro distinguo tra “brave persone che si comportano male” e “cattive persone che esprimono sé stesse”» spiega Reagle. «Chi viene bersagliato, come nel caso tragico della ristoratrice Giovanna Pedretti, si trova ad affrontare uno spettro composito di offese e critiche» spiega Reagle. «Da un lato ci sono gli hater anonimi che scrivono cose orribili come “meriteresti di morire” e dall’altro influencer piccoli e grandi (e i follower che li seguono a ruota) che l’accusano di essere falsa».

HATERS

 

Un fuoco incrociato che confonde e spaventa chi non è abituato ad essere nel mirino degli attacchi. Come affrontare il problema? «Il primo fronte è il diritto: servono nuove regole per i social. Il secondo è l’educazione all’uso delle tecnologie: moltissime delle persone che odiano in rete non hanno, ancora oggi, idea dell’impatto che possono avere i contenuti online e di come funziona la viralità. Gli ultimi report dell’Unione Europea indicano che, anche in Italia, il 48% delle persone tra 14 e 70 anni sono prive delle competenze su Internet» osserva Ziccardi.

 

«E il terzo fronte è poi la tecnologia, soprattutto l’uso di strumenti di intelligenza artificiale per analizzare i testi pubblicati sulle piattaforme. Agendo su tutti questi tre fronti insieme si può contrastare l’odio salvaguardando la libertà d’espressione ». […]

 

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