ASK-ANSATI CHE TE MENO! LA “GUERRA TRA BANDE” DI BOLOGNA E’ NATA SUL SOCIAL NETWORK DEI RAGAZZINI

Giuseppe Bottero e Franco Giubilei per La Stampa

È vero che domani vai ai Giardini con il lanciafiamme a bruciare la Bolofeccia?». Due giorni dopo la maxi-rissa tra i ragazzi di Bologna la chiamata alle armi è ancora lì, sulla bacheca di Ask, il più discusso e controverso tra i social network. Per qualcuno, una tana in cui dimenticare le timidezze.

Per gli altri, il paradiso dei cyber-bulli, una piazza virtuale in balìa degli anonimi. Per i 250 adolescenti che venerdì sera si sono sfidati ai Giardini Margherita, divisi in fazioni- la «feccia» contro la «parte bene della città», gli studenti degli istituti tecnici di periferia contro i liceali del centro- il sito è stato campo di battaglia per tutta l'estate. Un'escalation di scherzi che si sono trasformati prima in insulti e poi in minacce. Fino alla resa dei conti.

La Procura di Bologna, che ha aperto un'inchiesta per rissa aggravata e istigazione a delinquere, non ha dubbi: è nato tutto su Ask, il sito lanciato nel 2010 che corre senza freni. Almeno 60 milioni di messaggi e 200 mila nuovi iscritti al giorno. L' età media degli utenti non raggiunge i 18 anni.

Il Facebook dei ragazzini, sede in Lituania, vale almeno 65 milioni di euro. Ask funziona perché è a misura di adolescente: offre risposte a chi non ha nient'altro che domande. Funziona perché, dietro il tasto «anonimo», abbatte le timidezze. Funziona, e spaventa. In Gran Bretagna, choccato dal suicidio di due ragazze, il primo ministro Cameron ha evocato un boicottaggio:

«Se inciti qualcuno a farsi del male, stai violando la legge, che tu sia online o offline. Se c'è una cosa che possiamo fare come genitori e come utenti è non usare siti come quello. Ignorateli, non ci andate». I proprietari di Ask, nel ciclone da mesi, si barricano dietro un comunicato: «Tutte le segnalazioni sono lette da un team di moderatori. Rimuoviamo sempre i contenuti che violano i termini del servizio».

In realtà, dopo il crescendo di cyber-violenza, anche nel palazzone di Riga iniziano a serpeggiare i timori. Da poco sul sito è arrivato un «panic button», un pulsante che consente di segnalare gli abusi. Troppo tardi? Raccontano dall'associazione «Save The Children» che il cyber-bullismo, in Italia, è una minaccia per 7 adolescenti su 10. Insulti, foto sconvenienti, domande imbarazzati.

Sfregi virtuali che provocano ferite dolorosissime. E che hanno lasciato senza parole Bologna, dove la Procura minorile, nei prossimi giorni, ascolterà tutte le persone coinvolte. Al di là dei profili penali, dice il procuratore Ugo Pastore, «per noi l'aspetto più importante è capire se alle spalle dei ragazzi ci sono famiglie idonee oppure se ci sono carenze, latitanze educative. Insomma bisognerà capire come si è arrivati a questo punto».

Le ideologie politiche non c'entrano, le ragazze neppure. È come se qualcuno avesse deciso di trasferire in strada tutta la rabbia accumulata in Rete. «La rissa di venerdì è uno dei casi in cui si verifica un corto circuito fra vita online e vita reale: non è colpa del social network in sé», dice Annalisa Guarini, ricercatrice del dipartimento di Psicologia dell'Università di Bologna.

Secondo Alberto Rossetti, psicologo specializzato in cyber-dipendenza, «i ragazzi vanno educati al digitale. A scuola e in famiglia. Devono capire i meccanismi e le conseguenze di ciò che succede in Rete». A Bologna è finita con qualche cazzotto e una denuncia. Hanna Smith e Rebecca Ann Sedwick, neppure un mese prima, sono state sbranate nelle loro camerette dagli insulti e dalle insinuazioni degli anonimi. Il processo ad Ask è appena iniziato

 

 

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