TINTO O TONTO? - I FIGLI TRASCINANO IN TRIBUNALE TINTO BRASS CHIEDENDO LA NOMINA DI UN AMMINISTRATORE CHE ASSISTA L’85ENNE REGISTA NELLA GESTIONE DEL PATRIMONIO - IL GIUDICE NOMINA LA MOGLIE, CATERINA VARZI, CHE PERO’ ACCETTA CONTROVOGLIA: “TINTO E’ CAPACE E AUTONOMO” - I FIGLI APPROVANO MA BRASS SBARELLA: “NON TOLLERO LE REGOLE E LE PERSONE INGRATE…”
Andrea Pasqualetto e Alessandra Troncana per il “Corriere della Sera”
«Accade a volte che a un certo punto della vita siano i figli a portarti in tribunale. È successo anche a Sofocle quando aveva novant' anni e fu accusato di dilapidare il suo patrimonio...». Sono giorni difficili per Tinto Brass. Fiaccato dai malanni fisici, toccato nell'orgoglio, il regista veneziano si ritrova davanti a un giudice per la battaglia più sofferta e amara della sua vita, che, dice lui, gli ricorda il dramma di Sofocle. Questa volta non si tratta di morale oltraggiata o di censure.
Questa volta c'è di mezzo la famiglia, cioè i figli Beatrice e Bonifacio e la sua novella moglie, Caterina Varzi, sposata lo scorso 3 agosto. Si scopre infatti che dopo il matrimonio, al quale i parenti di Brass non erano presenti, Bonifacio si è rivolto al giudice di Roma per chiedere un amministratore di sostegno da assegnare al padre (colpito da ictus nel 2010). Nell'istanza, depositata lo scorso 13 settembre, scrive della necessità di far assistere il genitore rispetto alla gestione del patrimonio in modo da evitare dispersioni.
E fa l'esempio di alcuni quadri che sarebbero spariti e della gestione dell'archivio del padre, ritenuta troppo costosa. In definitiva, teme che i beni di famiglia non siano abbastanza protetti. Di fronte all'urgenza della richiesta, il giudice tutelare ha dovuto sentire Tinto Brass per decidere il da farsi. E il regista, 85 anni, gliel' ha detto con rabbia: «Non voglio amministratori e non voglio controlli».
E i quadri di famiglia? Pare che Brass li abbia venduti qualche anno fa per far cassa.
Necessità, considerato che i tempi d'oro del sacerdote del cinema erotico italiano sono solo un nostalgico ricordo. In ogni caso, il giudice ha dato ragione ai figli (a Bonifacio si è poi associata Beatrice) e il 14 marzo scorso ha nominato come amministratore «patrimoniale» la moglie, Caterina Varzi.
Il suo nome è stato suggerito dagli stessi fratelli, nonostante con lei i rapporti siano sempre stati un po' freddi se non proprio inesistenti. Il paradosso è che Varzi, ex ricercatrice universitaria e avvocata eletta da Brass a «musa ermeneutica», non è d'accordo: «Che senso ha un amministratore se c'è una moglie che può aiutarlo? Tinto, peraltro, è persona capace e autonoma, oltre che spirito libero e anarchico», punge lei, che d'ora in avanti sarà costretta a rendere conto al giudice della sua attività di gestione dei beni del marito, soprattutto del ricco archivio che è la memoria storica del suo lavoro.
Cos'ha fatto, dunque, Caterina Varzi? Ha rifiutato? «Ho accettato, ma a muso duro, nel senso che di fronte alla decisione del giudice di nominare un amministratore ho pensato che quantomeno quell'amministratore dovessi essere io, per evitare intromissioni di estranei nella nostra vicenda umana... mi sembra che questa legge, nata come sostegno ai deboli, sia diventata uno strumento di controllo». Fin qui, la moglie. E i figli, come la vedono? «Penso che si tratti di una questione personale e privata e tale debba rimanere», taglia corto Bonifacio.
La vicenda è ancora aperta. Tinto Brass, appoggiato dalla moglie, ha infatti incaricato una legale di Bologna, Rita Rossi, fra i massimi esperti della materia, per impugnare la decisione del giudice. «Sì, abbiamo presentato reclamo in Corte d'appello - conferma Rossi -. Il problema è che hanno rinviato tutto a febbraio 2019. Data lontanissima che certamente non tutela la protesta del mio cliente».
Seduto sul sofà della sua casa di Isola Farnese, stanco e acciaccato, il vecchio leone cerca conforto nell' antica Grecia: «Sofocle chiese al giudice una cosa semplice: dica lei se sono un folle. Non solo non lo condannarono, ma lo portarono a casa in trionfo. Non voglio dire altro su questa storia incresciosa». Qualche secondo di silenzio. Infine, un ruggito: «Basta, io me ne frego del mondo, delle sue regole e delle persone ingrate».
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