L'ITALIA DEI TAFAZZI VA AL CINEMA - L’ULTIMA, SPLENDIDA FATICA DI GIAN PIERO BRUNETTA: UN LIBRO SUI PRIMI NOVANT’ANNI DELLA MOSTRA DI VENEZIA - DALLA BOCCIATURA DE "I PUGNI IN TASCA" AI FISCHI MOSTRUOSI A "MAMMA ROMA'' DI PASOLINI, CON LA PLATEA SPACCATA A METÀ E LA MOBILITAZIONE DEI FASCISTI - “IL CINEMA ITALIANO È SEMPRE STATO ACCOLTO CON SOSPETTO DAL PUBBLICO ITALIANO CHE NON HA ABBRACCIATO DA SUBITO VISCONTI, FELLINI, ROSSELLINI. ERA UNA SORTA DI TAFAZZISMO ITALIANO…” - VIDEO
Paola Zanuttini per “il Venerdì di Repubblica”
«Di quello che ho scritto, questo è il libro in cui sono più coinvolto» dice Gian Piero Brunetta della sua più recente fatica, le splendide 1.328 pagine di La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che ricostruisce e celebra i novant’anni del Leoned’oro. E tutto quello che ha scritto questo critico e storico del cinema dichiaratamente workaholic, nato dieci anni dopo la Mostra, è davvero molto: ponderosissime storie del cinema italiano, mondiale ed eventualmente intergalattico.
gian piero brunetta la mostra internazionale d'arte cinematografica di venezia
«Questo libro me lo porto dietro da almeno quarant’anni. È un atto di riconoscenza verso il Lido, dove sono cresciuto, ho studiato e dove, grazie alla Mostra che nei primi Sessanta ho iniziato a seguire in modo sistematico con un gruppo di amici, ho deciso cosa fare nella vita. Forse per questo la tensione, dalla prima all’ultima pagina, mi ha tenuto vivo e l’adrenalina non è mai scesa».
Con quante persone ha lavorato?
«Da solo».
E il suo medico non ha detto niente?
«Più che altro, mia moglie. Ovviamente, il lockdown ha favorito l’impresa in cui prima non avevo mai avuto la forza di tuffarmi».
Non era nuovo alle sfide titaniche. Per esempio, i cinque volumi della Storia del cinema mondiale.
«Realizzata con trecento collaboratori e in dieci anni di lavoro. Scrivere la storia della Mostra, invece, sembrava impensabile finché non è stato possibile accedere all’Archivio storico delle arti contemporanee della Biennale, che è il paradiso terrestre per un ricercatore.
Sono stato aiutato anche dagli archivi in rete dei quotidiani e delle cineteche che custodiscono, per esempio, le annate dei Cahiers du Cinéma e di Positif: chiedevo gli articoli sulla Mostra del settembre-ottobre 1957 e due giorni dopo li avevo. Insomma è stato un lavoro in solitaria, ma con il supporto di tantissime persone.
C’è stato anche un colpo di fortuna come il ritrovamento di cinque lettere e la ricevuta della restituzione del film che documentano la presenza di Kubrick a Venezia con il suo primo lungometraggio, Paura e desiderio, presentato nel 1952 nella Rassegna del film scientifico didattico. Io, che sono un kubrickiano della prima ora, non ne sapevo niente».
aldo moro pier paolo pasolini venezia 1964
C’è un film visto alla Mostra che ha determinato la sua scelta di occuparsi di cinema?
«Più che un film una stagione, quella dei primi anni Sessanta, con Pasolini, Olmi, Godard. In quel periodo a me e altri compagni lidensi prese una febbre che ci spingeva a trovare ogni modo immaginabile per seguire il maggior numero di film nel Palazzo del Cinema, soprattutto le retrospettive, e tutte le sere in Arena, con il pubblico che fischiava i film italiani.
Poi, dopo trent’anni di onorata carriera l’Arena fu dismessa anche perché spesso pioveva durante le proiezioni. Provarono a rimediare con delle tettoie di lamiera, ma la pioggia che tamburellava era un incubo».
Il festival che ricorda di più?
«Quello del 1961 che premiò L’anno scorso a Marienbad di Resnais. I critici uscivano dalla sala con gli occhi sbarrati, intuendo la portata del film, ma anche domandandosi: e adesso che cosa scrivo? Sembravano reduci da tre round di pugilato con Cassius Clay».
Perché pochi anni dopo, nel 1965, Venezia si lasciò sfuggire I pugni in tasca di Bellocchio, lanciato e premiato un mese prima dal Festival di Locarno?
«Non era piaciuto alla commissione selezionatrice. Fu messo in una rassegna fuori concorso, ospitata da un cinema dei preti a Città Giardino. Ho assistito a quella proiezione con alcuni grandi critici: l’impressione era di assistere alla nascita di qualcosa di assolutamente nuovo.
Ma a 22, 23 anni se avevi vaghe aspirazioni di fare il regista e vedevi I pugni in tasca capivi che non era aria. C’era qualcuno di iperdotato e non eri tu, ancora in cerca della tua strada. In quegli anni, vedere Bellocchio, o Bertolucci con il suo Prima della rivoluzione, presentato a Cannes, e Gli amori di una bionda e i film delle varie Nouvelle Vague dava il senso di una nuova strada, di un’inat- tesa potenza narrativa».
La Mostra è la madre di tutti i festival. Però molti registi italiani preferiscono portare i loro film a Cannes. Perché?
«Le rispondo da spettatore: il cinema italiano è sempre stato accolto con sospetto dal pubblico italiano. Non ha abbracciato da subito e con orgoglio Visconti, Fellini, Rossellini che, anzi, negli anni Cinquanta venivano maltrattati. Era una sorta di tafazzismo italiano: ricordo i fischi mostruosi in Arena prima che cominciasse Mamma Roma di Pasolini, con la platea spaccata a metà e la mobilitazione dei fa- scisti. Stesso destino per La battaglia di Algeri di Pontecorvo».
anna magnani e pier paolo pasolini a venezia
Ma anche i lidensi partecipavano a questi moti del pubblico?
«C’è stato un tempo in cui volevano essere coinvolti: io faccio parte di quel- la generazione che chiedeva di prolungare le attività, di tener conto dei lidensi, non solo come spettatori del passaggio dei divi, ma anche come pubblico partecipe di eventi che si pro- lungassero nel tempo.
Ma il Lido non ha mai vissuto fino in fondo questa esperienza, e poi, a un certo punto, si è capito che la Mostra poteva tradursi in una bella integrazione economica per tante famiglie che affittavano le loro case per quindici giorni. Il Lido vive una sorta di letargo undici mesi e poi a settembre cambia tutto, il Comune ripulisce le strade, sistema le aiuole...».
Concepita dal Conte Volpi di Misurata, proprietario dell’Hotel Excelsior, per rivitalizzare il turismo depresso del Lido dopo la crisi del 1929, ma anche per affermare definitivamente la natura artistica del cinema, la Mostra dimostra da quasi un secolo che con la cultura si mangia. Chi afferma il contrario è all’oscuro della vicenda?
«Direi di sì. Con la cultura si è sempre mangiato, magari non in modi pantagruelici . E Venezia ha dimostrato nel tempo che un fenomeno nato come turistico-mondano, ma anche culturale, si è evoluto in una forma di diplomazia culturale. Già nella prima edizione del 1932 si concepisce un’operazione aperta in cui coesistono film americani e sovietici.
Nel ’38 vincono la Coppa Mussolini Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini e Olympia di Leni Riefenstahl: in quel momento nasce l’idea di creare il Festival di Cannes perché Venezia è troppo inquinata ideologicamente. Ma solo un anno prima era arrivato al Lido un film come La grande illusione di Renoir, che diventerà un manifesto dell’anti- militarismo».
Fellini Visconti Mastroianni luchino Visconti e Florinda BolkanTosi Visconti Mangano