IL TRAFFICANTE “BIJA” MOGLIE (MA LEI NON C’È) - LE IMMAGINI DEL MATRIMONIO DEL POTENTISSIMO ABDELRACHMAN MILAD, IL BOSS DEI TRAFFICANTI DI ESSERI UMANI DELLA TRIPOLITANIA CONOSCIUTO CON IL NOME DI EL-BIJA - NESSUNA FOTO DELLA SPOSA, IN COMPENSO C’È UNA BMW SPIDER NUOVA FIAMMANTE CON UNA CORONA DI FERRO SUL TETTO – DOPO CINQUE MESI IN CARCERE, AD APRILE È STATO SCARCERATO DAL NUOVO PREMIER, IL PRAGMATICO DABAIBA, CHE GLI HA RESTITUITO L’INCARICO DI UFFICIALE DELLA MARINA LIBICA…
Lorenzo Cremonesi per www.corriere.it
il matrimonio di abdelrachman milad el bija
Pranzo regale in puro stile libico il 29 maggio nella villona faraonica di uno dei più noti trafficanti di esseri umani della Tripolitania. Fuori guardie armate. All’interno piattoni di cuscus all’agnello, involtini di foglie di vite, la tradizionale «sciorba» (il brodo di carne e prezzemolo), dolci a base di miele ispirati dall’antica cucina turca: le fotografie postate sui social mostrano centinaia di ospiti venuti da tutto il Paese seduti ai tavoli imbanditi sotto tendoni bianchi immacolati.
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Posteggiata al marciapiede di fronte una Bmw spider nuova fiammante con appoggiata sul tetto una corona di ferro. «Monarca» dell’evento lui, sempre lui, il potente El-Bija come lo conoscono tutti, il 32enne Abdelrachman Milad, padrone controverso dei traffici marittimi legali, ma soprattutto illegali (non a caso è anche descritto come il boss della «Cosa Nostra» locale), attorno al porto di Zawia, sulla costa occidentale che da Tripoli arriva al confine con la Tunisia.
Occasione dell’evento: il matrimonio di El-Bija. Della moglie i social non parlano. Non appare neppure una foto. Mentre lui è ripreso più volte tra gli ospiti, mentre telefona, intento a salutare gli amici. Nulla di strano.
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Nella più che conservatrice Libia, specialmente da dopo la defenestrazione sanguinosa di Muammar Gheddafi nel 2011, le donne si vedono poco. Nelle foto di Zawia non ci sono. La festa è stata divisa rigorosamente in due, donne e uomini separati come è tradizione in Afghanistan e spesso in Pakistan.
Così El-Bija torna alla ribalta. La sua storia è strettamente legata al caos violento e criminale in cui è via via scivolato il Paese nell’ultimo decennio. «Quelli come lui sono personaggi scomodi. Ma con loro devono fare i conti tutti coloro che trattano di Libia», ammettono di continuo i commentatori e politici locali. Cinque anni fa era diventato comandante della Guardia Costiera locale, la stessa che il governo italiano aiuta ad operare con il regalo di motovedette, oltre a fondi, addestramento ed assistenza logistica.
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Nel giugno 2018 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu impose dure sanzioni contro di lui ed altri cinque trafficanti con l’accusa di contrabbandare esseri umani, petrolio ed armi. L’Onu lo imputò di essere «direttamente coinvolto nell’affondamento di barche cariche di migranti sparando con armi da fuoco». Ma poi si distinse nelle battaglie delle milizie della Tripolitania in difesa del governo di Fayez Sarraj (l’unico riconosciuto dall’Onu) contro l’aggressione militare guidata dall’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, sin dal 4 aprile 2019.
MARIO DRAGHI Abdulhamid Al Dabaiba
El-Bija divenne allora uno dei protetti dell’intervento turco contro Haftar, sostenuto a sua volta da Russia, Egitto ed Emirati. Fermato Haftar un anno dopo, Sarraj optò per arrestare il capobanda di Zawia nell’ottobre 2020. La sua milizia Al-Nasr stava diventando troppo aggressiva, rischiava di fomentare lo scontro interno alla Tripolitania e indebolire i successi contro Haftar.
In prigione però c’è rimasto soltanto cinque mesi. Appena dopo la nomina a nuovo premier ad inizio aprile, è stato infatti il pragmatico Abdul Hamid Dabaiba a scarcerarlo e restituirgli l’incarico di ufficiale della Marina libica. La soldataglia della Al-Nasr minacciava altrimenti di assaltare il carcere di Mitiga per liberarlo. Il ritorno alla vita pubblica di El-Bija rivela tra l’altro il terreno molto scivoloso su cui opera il nuovo esecutivo. Dabaiba cerca di essere amico di tutti, anche dove gli interessi e le alleanze sono palesemente in contrasto tra loro. Una politica troppo inclusiva rischia però di implodere in ogni momento.
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