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NO DOWN, NO DOUBT? - VIDEO: IN ISLANDA NON NASCONO PIÙ BAMBINI CON LA SINDROME DI DOWN. LE DIAGNOSI PRENATALI FATTE DALL’85% DELLE DONNE HANNO AUMENTATO GLI ABORTI E AZZERATO LE NASCITE - LUCETTA SCARAFFIA: ‘NESSUNA ESULTANZA, È UN OMICIDIO. LE VITE DI CHI HA LA TRISOMIA 21 SONO MIGLIORATE MOLTO’ - IL GIURISTA: ‘NON È EUGENETICA, MA DECISIONI INDIVIDUALI’ - IN ITALIA UN NEONATO OGNI 1200

VIDEO - IL DOCUMENTARIO CBS SULLA SINDROME DI DOWN IN ISLANDA

 

 

 

 

 

1. ISLANDA, NON SI NASCE CON SINDROME DI DOWN

Claudio Arrigoni per il ‘Corriere della Sera

 

L' Islanda si avvia a diventare il primo Paese europeo senza nascite di persone con sindrome di Down.

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Negli ultimi anni, in media, nascono una o due persone con sindrome di Down all' anno, su una popolazione vicina ai 335 mila abitanti nell' isola del Nord Europa. Ma la tendenza è di fare in modo che anche questo non accada più: la maggioranza delle donne che ricevono risposta positiva al test prenatale circa la presenza di anomalie cromosomiche nel feto, infatti, mettono fine alla gravidanza. Le stime indicano una percentuale ormai vicina al 100 per cento.

 

La semplicità dei nuovi screening, sempre meno invasivi, vede aumentare anche il numero di chi li richiede. Le diagnosi prenatali sono state introdotte all' inizio del secolo e oggi sono scelte da circa l' 85 per cento delle donne in gravidanza, secondo quanto riferisce il Landspitali University Hospital di Reykjavik.

 

«Vi sono ancora neonati con sindrome di Down», ha dichiarato alla Cbs , che ha dedicato un documentario all' argomento, Hulda Hjartardottir, capo dell' unità di diagnosi prenatale dell' ospedale della capitale, dove nascono circa il 70 per cento degli islandesi.

«Alcuni però non erano stati segnalati nello screening».

Non sempre infatti i test sono precisi.

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La legge in Islanda consente l' aborto anche dopo sedici settimane in caso di anomalie nel feto e la sindrome di Down è inclusa fra queste. Helga Sol Olafsdottir è fra coloro che danno supporto psicologico e consigli alle donne che ricevono risposta positiva al test prenatale. «Parlo loro prima che prendano la decisione se concludere o continuare la gravidanza». Spiega: «Questa è la tua vita e tu hai il diritto di scegliere come sarà la tua vita».

 

L' intento è quello di evitare che subentrino eventualmente sensi di colpa: «Pensiamo all' aborto come a qualcosa che ponga fine a quelle che potrebbe essere grandi difficoltà, prevenendo sofferenza per il bambino e la famiglia».

 

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Proprio sull' informazione punta il dito Antonella Falugiani, presidente italiano di Coordown, che raggruppa diverse associazioni: «È importante sia corretta. La coppia deve poter avere tutti i dati per compiere una scelta consapevole». Sua figlia Irene, 18 anni, quarta liceo scientifico e danza moderna come hobby, ha sindrome di Down e qualche mese fa era a New York per parlare alle Nazioni Unite: «Disse che le reali difficoltà sono all' interno della società».

 

Spiega Matilde Leonardi, neurologa al Besta di Milano: «In Italia un neonato ogni 1.200 ha questa sindrome. Nel 1929 la loro aspettativa di vita era di dieci anni, ora è sui 60 anni».

Le notizie dall' Islanda non stupiscono. Era solo questione di tempo e prima o poi sarebbe accaduto dicono dalle associazioni che si occupano dei diritti delle persone con sindrome di Down. Loro non si chiedevano più «se», ma «quando» e «dove». In Europa sembrava essere una corsa a due fra Danimarca e Islanda.

 

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Nel Paese scandinavo, le stime indicano una percentuale di aborti legati alla possibilità di questa anomalia cromosomica del 98 per cento. Nel 2015 sono nati 31 fra bambini e bambine con la sindrome.

 

Martina Fuga, blogger e scrittrice, è un' attivista che si batte per i diritti di chi ha sindrome di Down e non solo: «Da mamma queste notizie sono un colpo al cuore. Non può essere la scelta sociale di un Paese. È giusto poter decidere, ma conoscendo. Come sarebbe bello se si lavorasse su una cultura dell' inclusione e sulla ricerca per avere un mondo migliore».

 

 

2. «NESSUNA ESULTANZA, È UN DELITTO UCCIDERE QUESTI BAMBINI»

Elvira Serra per il ‘Corriere della Sera

LABRADOR COCCOLA BAMBINO CON SINDROME DI DOWN LABRADOR COCCOLA BAMBINO CON SINDROME DI DOWN

 

In Islanda non nascono quasi più bambini con la sindrome di Down. Merito degli screening prenatale. Che cosa ne pensa?

«Che non c' è niente di cui esultare», risponde Lucetta Scaraffia, dal 2007 nel Comitato nazionale di bioetica.

 

Perché?

«Dal punto di vista morale è un omicidio. È un delitto ammazzare questi bambini che hanno tutto il diritto di vivere. Provi a chiedere a loro se sono felici e senta le loro risposte».

 

In effetti la cronaca ci offre tante storie di integrazione, come quella di Valerio Catoia, il 17enne con la sindrome di Down che ha salvato una bambina che stava annegando.

«Non sono mai vite spaventose, dobbiamo riportare le cose nei loro limiti. Certe mamme e papà ai giardinetti guardano male i genitori di chi ha la sindrome di Down, colpevolizzandoli, come se quella visione potesse turbare i loro figli. È una cosa molto cattiva e brutta».

 

BAMBINO AFFETTO DA SINDROME DI DOWNBAMBINO AFFETTO DA SINDROME DI DOWN

Sul caso islandese la sua riflessione è soltanto etica?

«No, c' è un altro aspetto non secondario. Per eliminare la malattia si eliminano i malati: siamo alla base dell' eugenetica».

 

È una parola forte.

«Se si abortiscono i bambini con la Trisomia 21, non ci sarà più alcun interesse da parte della scienza a cercare rimedio. Mentre, con il tempo, si potrebbe trovare il modo di intervenire sul Dna e di correggere il difetto cromosomico».

 

Qual è la sua proposta?

«Sarebbe bello se un gruppo di ragazzi di tutta Europa con sindrome di Down andasse in Islanda. Coi loro sorrisi dimostrerebbero quanto male fanno con gli aborti mirati».

 

 

3. «NON È EUGENETICA - SONO SOLTANTO DECISIONI INDIVIDUALI»

Elvira Serra per il ‘Corriere della Sera

 

Amedeo Santosuosso, lei è un giurista, ed è stato tra i fondatori della Consulta di Bioetica. Possiamo parlare di eugenetica in Islanda?

«La questione fondamentale è che non si può parlare di eugenetica quando si tratta di scelte individuali. L' eugenetica è storicamente riprovevole e lo sarebbe anche oggi se fosse una scelta imposta dalle autorità pubbliche. Ma se abbiamo a che fare con il libero esercizio della capacita di autodeterminazione delle persone non possiamo che rispettarlo».

 

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Dunque non c' è una forzatura nella campagna degli screening prenatali cominciata cinque anni fa in Islanda?

«No. Mi viene in mente la campagna pubblica di prevenzione alla beta talassemia che si fece in Sardegna: ebbe grande successo perché si tradusse in una offerta di consulenza, sostegno e informazione alle future mamme, che poi decisero liberamente cosa fare».

 

Che cosa propone?

«Prima di etichettare come eugenetica una decisione individuale bisognerebbe andare a parlare con le persone che senza volerlo si ritrovano ad avere figli con gravi malattie. Per assurdo, si arriverebbe a obiettare anche sulle scelte di tipo educativo che applichiamo ai nostri figli, che li porteranno in una direzione piuttosto che in un' altra, e che determineranno il futuro delle nuove generazioni».

LUCETTA SCARAFFIALUCETTA SCARAFFIA

 

Il caso islandese le sembra infine positivo?

«Dal mio punto di vista lo è. Tanto quanto è positivo vedere ragazzi con la sindrome di Down che riescono a inserirsi e a svolgere la loro vita tra di noi».

 

 

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