L’AFFARE S’INGROSSA - L’INCHIESTA SUI PREPENSIONAMENTI DEI DIRIGENTI DI ‘GEDI’ SI ALLARGA: DOPO IL SEQUESTRO PREVENTIVO DI 38 MILIONI AL GRUPPO EDITORIALE DEGLI AGNELLI, LA PROCURA DI ROMA POTREBBE PRELEVARE LA STESSA SOMMA AGLI EX DIPENDENTI ANDATI IN PENSIONE SENZA AVERNE DIRITTO - NEL MIRINO ANCHE I SINDACALISTI CHE HANNO FIRMATO GLI ACCORDI PER I PREPENSIONAMENTI: IN PRATICA, DIFENDEVANO I DIRITTI DEI LAVORATORI, MA ACCETTAVANO I DEMANSIONAMENTI PER I PROPRI ASSISTITI – PS: PERCHÉ LA PROCURA DI ROMA È COSÌ BLINDATA SUL SEQUESTRO AL POTENTE GRUPPO EDITORIALE? C'ENTRERÀ "IL SISTEMA" DESCRITTO DA PALAMARA?
Giacomo Amadori per "La Verità"
JOHN ELKANN CARLO DE BENEDETTI
L'inchiesta sui prepensionamenti dei dirigenti di Gedi potrebbe presto diventare una piccola bomba sociale. Infatti la Procura di Roma, dopo aver ordinato il sequestro preventivo di oltre 30 milioni di euro al gruppo editoriale di proprietà degli Agnelli, sarebbe pronta a prelevare all'incirca la stessa somma anche agli ex dipendenti che sarebbero, secondo gli inquirenti, andati in pensione senza averne diritto.
Una presunta truffa ai danni dello Stato aggravata dal numero dei partecipanti e dall'entità del danno patrimoniale. Nel fascicolo sarebbe contestato ad alcuni indagati anche l'accesso abusivo a sistema informatico.
La cifra congelata all'azienda corrisponde all'ipotizzato illecito profitto garantito dal non aver dovuto pagare per anni lauti stipendi e contributi ai manager, prima demansionati e anche trasferiti (a volte fittiziamente) in aziende del gruppo che usufruivano della Cigs (cassa integrazione guadagni straordinaria), quindi prepensionati.
Ma sarebbe pronto un ulteriore provvedimento di sequestro nei confronti dei dipendenti che hanno usufruito della Cigs e percepito pensioni illegittime. La Guardia di finanza starebbe completando i calcoli per stabilire a quanto ammontino esattamente gli assegni erogati a partire a partire dal 2012 a decine di dipendenti di Gedi e in particolare della controllata concessionaria pubblicitaria Manzoni.
CARLO DE BENEDETTI BY ANDY WARHOL
Tra il 2012 e il 2015 il gruppo realizzò due costose (per lo Stato) ristrutturazioni aziendali, quando la proprietà era in mano alla famiglia De Benedetti e il presidente era l'ingegner Carlo. Nel 2020 la casa editrice è passata agli Agnelli. In base alle ultime stime la truffa ammonterebbe a circa altri 30 milioni di euro. Basti pensare che ci sono pensionati che percepiscono 7.000 euro al mese.
Fonti della Verità riferiscono che le persone finite nel mirino sono una settantina e che buona parte di queste rischiano di subire il prelievo forzoso. Gli ex dipendenti ritenuti consapevoli dell'uso distorto degli ammortizzatori sono stati iscritti sul registro degli indagati, come detto, per il concorso nella truffa aggravata.
Si tratterebbe in particolare di ex dirigenti demansionati, ma dovrebbero far parte della lista nera anche i lavoratori che hanno riscattato periodi contributivi in modo illecito.
Gli investigatori inizieranno a sentire i pensionati sotto inchiesta nei prossimi giorni. A ognuno di loro verrà sequestrata la quota percepita dell'intera somma erogata, ma qualora questi non fossero capienti, gli inquirenti sarebbero pronti a cercare il denaro sottratto indebitamente allo Stato sui conti di coloro i quali hanno stipulato gli accordi per i prepensionamenti, che verrebbero obbligati in solido.
CARLO DE BENEDETTI JOHN ELKANN
Stiamo parlando dei manager Gedi (almeno tre sono indagati) e dei sindacalisti che hanno firmato gli accordi per i prepensionamenti, conoscendone bene la sostanza. Come fa chi difende i diritti dei lavoratori ad accettare un demansionamento del proprio assistito? È stata seguita la procedura di conciliazione davanti all'ispettorato del lavoro, passaggio praticamente obbligato quando un dipendente va a stare peggio?
Se ciò non fosse accaduto sarebbe l'ulteriore prova di un patto scellerato tra azienda, sindacato e lavoratori. Del resto se accettare di essere «degradati» per mantenere il posto in un'azienda in crisi è comprensibile, farsi trasferire (a volte solo sulla carta) da società sane a ditte in difficoltà e declassare per poter usufruire della cassa integrazione e della pensione anticipata è considerato dagli inquirenti un gesto di correità.
Rischiano qualcosa anche i dirigenti Inps che hanno ratificato l'accordo ed erogato le pensioni. Non è chiaro se a livello penale o erariale nel caso in cui la Corte dei conti dovesse riconoscere un danno alle casse dell'Inps causato da dolo o colpa grave.
Ricordiamo che nell'aprile 2012 all'Inps arriva la prima denuncia anonima sul presunto comportamento scorretto di alcuni manager dell'Istituto, i quali avrebbero inserito contributi mai versati a favore di dipendenti del gruppo L'Espresso, all'epoca guidato dalla famiglia De Benedetti, per favorirne il prepensionamento.
Dopo diversi solleciti da parte delle direzioni centrali competenti l'allora direttore regionale del Lazio, Gabriella Di Michele, rispose che «il controllo effettuato a livello amministrativo sulle posizioni dei dipendenti del gruppo l'Espresso è risultato regolare e, pertanto, non sembrano esserci elementi tali da suffragare la segnalazione anonima».
Anche il direttore generale degli ammortizzatori del ministero del Lavoro Ugo Menziani nel novembre 2016 avrebbe fatto presente, a detta di quattro dirigenti dell'Inps, durante una riunione sul tema, che «le verifiche, aventi cadenza semestrale [] compiute sul gruppo Manzoni/Espresso []» sino a quel momento «non avevano fatto emergere anomalie».
Successivamente la vigilanza di Inps e Inail sono confluite nell'ispettorato del lavoro ed è stato proprio quest' ultimo a dare il via all'inchiesta inviando un'informativa alla Procura in cui denunciava l'ottenimento da parte dei dirigenti di Gedi e Manzoni del beneficio del prepensionamento mediante la fruizione di periodi di Cigs nel settore dell'editoria (non spettante alla categoria dei dirigenti) mediante «l'artificioso demansionamento a livello di "quadro"».
Le indagini sono state condotte proprio con il supporto dell'ispettorato e hanno fatto emergere irregolarità relative anche ad altri dipendenti «trasferiti/transitati da sedi/società del gruppo non aventi diritto al particolare ammortizzatore sociale a sedi/società beneficiarie dello stesso».
Il 21 marzo 2018 uomini del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza hanno eseguito decreti di sequestro di documentazione presso le sedi di nove società appartenenti o appartenute al gruppo Gedi, nonché presso due sedi dell'Inps di Roma.
Le attività vennero eseguite a Milano, Livorno, Udine, Bolzano e nella Capitale. Successivamente i militari hanno proceduto al sequestro di ulteriore documentazione presso la sede capitolina del gruppo Gedi e ha notificato un ordine di esibizione finalizzato all'acquisizione presso gli uffici del ministero del Lavoro e delle politiche sociali di documentazione utile alla prosecuzione delle indagini.
In tale occasione le Fiamme gialle non diramarono nessuna comunicazione agli organi di stampa, una decisione del tutto inusuale.
A quanto risulta alla Verità la notizia venne gestita a livello mediatico direttamente dalla Procura (all'epoca guidata da Giuseppe Pignatone, mentre il fascicolo era ed è rimasto in mano all'aggiunto Paolo Ielo e al pm Francesco Dall'Olio) e, dopo le perquisizioni del marzo 2018, uscirono solo pochi e sintetici lanci di agenzia. Il decreto di sequestro non circolò nelle redazioni. La palla fu lasciata a Gedi costretta a diffondere una nota essendo allora società quotata in Borsa.
Ma alla vigilia di questo Natale è andata persino peggio: non solo non sono stati diffusi comunicati riguardanti il sequestro preventivo monstre di oltre 30 milioni di euro, ma non è uscita neppure un'indiscrezione, sino allo scoop della Verità del 31 dicembre.
Nulla di nulla. E questo buco nero informativo non è addebitabile solo alla riforma Cartabia che obbliga le Procure a contingentare le informazioni da dare ai giornali, visto che nelle stesse ore sui media sono apparse cronache dettagliate su altri sequestri.
Qui al contrario è complicato persino risalire alla data in cui sia stato eseguito il sequestro. Fonti qualificate riferiscono che sarebbe avvenuto il 18 o il 19 dicembre. Ma si trattava di un week end. Se fosse vero ci troveremmo di fronte a un'altra scelta singolare. Perché la Procura di Roma è così blindata sul sequestro milionario a un potente gruppo editoriale?
C'entrerà quel Sistema descritto dall'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara nel suo libro? Leggiamone un passo: «Magistrati e giornalisti - lo dico anche per esperienza personale - si usano a vicenda, all'interno di rapporti che si costruiscono e consolidano negli anni.
Il giornalista vive di notizie, ogni testata ha una sua linea politica dettata dall'editore, che ha precisi interessi da difendere. Il pm li conosce bene, e sa che senza quella cassa di risonanza la sua inchiesta non decollerà, verrebbe a mancare il clamore mediatico che fa da sponda con la politica». Fatto sta che la notizia sul gruppo Gedi è stata oscurata.Ma il black out del sistema informativo si potrebbe spiegare anche diversamente.
La risposta è forse in un nostro articolo dell'ottobre del 2018, quando svelammo che l'audit interno dell'Inps aveva preparato una relazione conclusiva sul danno provocato all'istituto dall'erogazione di circa 3,8 milioni di euro di assegni pensionistici non dovuti a ex poligrafici e altri lavoratori del settore editoriale con la complicità di una decina di funzionari dell'ente.
monica mondardini carlo de benedetti
E l'indagine aveva coinvolto non solo dipendenti del gruppo Gedi, ma anche di altre testate.Inoltre nel 2016 la Dg dell'Inps Di Michele aveva condizionato il proprio benestare a una relazione destinata al ministero del Lavoro sul caso Gedi all'allargamento dell'ispezione agli altri gruppi editoriali.
Partirono così le verifiche istruttorie per Sole24ore e Rcs che non sappiamo, però, se abbiano portato all'apertura di fascicoli penali. Ma il rischio che il sistema dei prepensionamenti illeciti non coinvolga solo il gruppo Gedi è un'ipotesi avvalorata dalla cappa di silenzio che i principali organi d'informazione hanno fatto calare sulla notizia del sequestro.