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E DILLO CHE TI PIACE IL CAZZOTTO! PER IL TRIBUNALE DI GENOVA UNA DONNA CHE SI E’ RIBELLATA DOPO 24 ANNI AL MARITO MANESCO NON HA DIRITTO A NIENTE - I GIUDICI: “LA DONNA IN QUESTI ANNI NON HA MAI DENUNCIATO: DI FATTO HA TOLLERATO LA CONDOTTA DEL MARITO…”

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Andrea Rossi per “la Stampa”

 

C'è un termine oltre il quale la sopportazione diventa accettazione passiva, il dolore rassegnazione, la vittima connivente? Per il Tribunale di Genova sì. Ventiquattro anni sono tanti, troppi, perché significa aver subito, tollerato, avallato, e dunque ribellarsi dopo così tanto tempo non è credibile. Sandra - chiameremo così questa donna di quasi cinquant' anni che ha messo fine a 24 anni di matrimonio - non ha diritto a niente: non a un indennizzo per quel che ha passato e nemmeno a un assegno mensile per potersi mantenere.

 

Per un quarto di secolo ha subito percosse e violenze, ha visto un figlio finire in galera e una figlia portata via dai servizi sociali perché non poteva crescere con un padre così. Ha sopportato: per debolezza, per paura, perché non aveva scelta. Ma alla fine se ne è andata via: ha chiesto la separazione e ha chiesto che ciascuno fosse considerato responsabile delle sue colpe. Lei, di aver tollerato (forse) troppo a lungo.

Lui, di averla spedita un' infinità di volte al pronto soccorso.

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Non credeva che sarebbe finita così: pari e patta. Per i tre giudici della quarta sezione civile del Tribunale di Genova - un uomo e due donne - che hanno esaminato la sua istanza, il suo ex marito non merita di vedersi addebitate le colpe della separazione. Tornava a casa ubriaco e la picchiava. Lo faceva davanti ai figli, fino a mandarla al pronto soccorso. Ha conservato tutti i referti, anche di quando si era presentata in ospedale con una ustione alla gamba, sempre procurata da lui.

 

Mostravano una vita di sopraffazioni: si erano sposati nel 1991, a Genova, l' anno successivo era nato il primo figlio, otto anni dopo la seconda. Ma le botte erano cominciate subito e non sono mai terminate, finché suo marito è finito in carcere e lei ha deciso di andar via di casa, trovando rifugio in una comunità protetta.

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Lì l' hanno convinta a spazzare via la sua vecchia vita. Un taglio netto, la separazione. Così, forse, potrebbe anche ritrovare quella figlia che sei anni fa è stata portata via di casa ed così traumatizzata da non voler più vedere il padre.

 

I giudici le hanno creduto: è vero che «è stata costretta a lasciare la casa coniugale per le continue percosse e minacce subite dal marito»; è vero che «da anni spesso il marito arrivava a casa ubriaco, insultava e percuoteva la moglie»; ed è vero che «dopo anni di accessi al pronto soccorso la convivenza non poteva protrarsi oltre».

 

Tutto documentato, ma Sandra ha sopportato troppo, e quindi ora non ha diritto a niente. Non esiste un rapporto di causa evidente tra le ripetute violenze subite nel corso degli anni e la rottura del matrimonio, «avendo peraltro essa stessa ammesso che tali condotte sono iniziate nell' anno 1991, subito dopo la celebrazione del matrimonio», scrivono i giudici. E aggiungono: «La signora ha dunque di fatto tollerato tali condotte».

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Dunque, la separazione non può essere considerata colpa del marito violento, nonostante le percosse, l' alcolismo, gli effetti sulla vita dei figli: se il vero motivo fossero le botte, il matrimonio avrebbe dovuto spezzarsi ben prima, pare di capire.

Sandra non ha mai denunciato: forse è questa la sua colpa.

 

 

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