ADESSO SÌ CHE ABBIAMO IL PANIERE PER I NOSTRI DENTI! NELLA LISTA DI PRODOTTI USATI DALL’ISTAT PER CALCOLARE L’INFLAZIONE ENTRA IL TATUAGGIO! I DISEGNI SULLA PELLE RAPPRESENTANO UN “CONSUMO CONSOLIDATO”: NE USUFRUISCONO 7 MILIONI DI PERSONE, IL 13% DEGLI ITALIANI
1 - ADDIO CUCCETTA, BENVENUTI TATUAGGI L’ISTAT SI ADEGUA AI NUOVI CONSUMI
Valentina Conte per “la Repubblica”
Entra il tatuaggio, esce il vagone letto. L’Istat aggiorna, come ogni anno dal 1999, il paniere di prodotti in base al quale calcola l’inflazione. E come sempre arrivano sorprese. Se l’alta velocità ferroviaria e i voli low cost scalzano per forza di cose la cuccetta dall’elenco, i disegni permanenti sulla pelle fanno il loro ingresso quando ormai sono un «consumo consolidato» tra gli italiani, come spiegano i ricercatori Istat.
E come confermano i recenti dati dell’Istituto superiore di sanità, secondo i quali ne usufruiscono ormai 7 milioni di persone, il 13% della popolazione. Così, nessun problema anche per le altre new entry di quest’anno: leggins per bambine, bermuda da uomo, lampadine led, panni cattura-polvere, auto usate, alloggi universitari e servizi integrati di telecomunicazione, ovvero i pacchetti tv, internet e voce.
Anche se le innovazioni non cambieranno una dinamica dei prezzi debole (+0,3% in un anno -0,1% su dicembre). Non c’è anno senza polemica. Coldiretti contesta l’inclusione del latte a base di soia, riso o altri legumi e cereali. L’Istat li inserisce tra le “bevande vegetali”, una sottocategoria dei “prodotti a base di latte o similari”. Ma l’associazione dei coltivatori la accusa di «fare confusione» e danneggiare l’intera filiera, perché «non si tratta di latte» e il loro prezzo è il doppio.
«Comprendiamo la perplessità della Coldiretti, ma dobbiamo attenerci alla classificazione di Eurostat», replica Federico Polidoro, responsabile servizio prezzi al consumo dell’Istat. Da sempre il pacchetto usato per misurare la febbre dei prezzi viene bersagliato da critiche di sindacati o consumatori. L’Istat ha via via affinato scelte e calcoli. Negli anni Venti e Trenta i prodotti del paniere erano pochi (quest’anno 1.476, oltre 600 mila rilevazioni di prezzi al mese).
E fanno sorridere, letti oggi: l’olio di ricino, la soda Solvay, il facchinaggio, la Madapolam per biancheria, la tela di cotone fine e leggera originaria dell’omonima città indiana, finita in chissà quanti corredi. Vero è che il paniere Istat riflette e accompagna l’evoluzione dei consumi degli italiani. Fino a qualche anno fa, ad esempio, la spesa alimentare pesava per un terzo nel paniere.
Oggi poco più del 16%. Non solo perché si mangia meno e meglio. Ma perché si spende anche per altro: cultura, servizi, hi-tech. Curioso poi vedere come molti prodotti, entrati di prepotenza, ne sono pure usciti con velocità. Decoder e antenna satellitare ad esempio sono durati un anno appena (2004-2005). Così, la mediazione civile (2012-2013). Un solo biennio per il floppy disk e il modem (1999-2001) e per gli accessori del cellulare (2003-2005).
Come pure per il portamonete, cruciale a cavallo del cambio lira- euro (2002-2004). Più resistenti, sette anni, il navigatore satellitare (2008-2015) e il noleggio di videocassette (1999-2006). Otto anni, il noleggio di dvd (2003-2011). D’altro canto, il progresso vola, le abitudini mutano, le statistiche inseguono. Il 2000 fu l’anno delle t-shirt e delle patatine. Il 2015 del car sharing e del cibo senza glutine.
Nel 1999 trionfavano le lenti a contatto usa e getta, nel 2014 le e-cig e il caffè in cialde. Poi la lunga cavalcata dei giocattoli digitali: dall’iPod di inizio secolo alla chiavetta Usb del 2009, passando per lo smartphone nel 2010 (assieme alle badanti e ai voli low cost), il tablet nel 2011, l’ebook nel 2012. Mentre il tailleur e i cucirini venivano messi alla porta. Poco prima che bussassero i tatuaggi.
2 - IN QUEI SEGNI IL TRIONFO DELL’EGO-NOMIA
Marino Niola per “la Repubblica”
Il tatuaggio entra nel paniere Istat. E marchia indelebilmente la mutazione antropologica della società italiana. Evidentemente l’Istituto di statistica, che studia da sempre i nostri usi e consumi, ha registrato che il fatto di scriversi addosso la propria storia è molto più di una moda effimera, di una improduttiva esternazione epidermica.
Ma, al contrario, è un investimento profondo. Che ci arricchisce di segni particolari, facendo di ciascuno di noi un’opera in un solo volume, una pagina viva. In questo senso il tattoo è arcaico come un geroglifico e contemporaneo come un QR code. In grado di aprire infinite finestre sulla persona. Ma è anche uno storytelling per immagini. Figlio di un tempo come il nostro che ha fatto del corpo un bene rifugio, il luogo dove concentrare tutti gli investimenti. Un capitale immunitario, estetico ed esistenziale insomma.
Al quale destinare tempo, energie e risorse. Per consolidarne la salute e soprattutto ottimizzarne la capacità comunicativa e autopromozionale. Così la pelle diventa il nostro hot spot, la centrale che ci connette con il mondo. Se per i Maori delle Nuova Zelanda tatuarsi serviva per appartenere in tutto e per tutto alla tribù, per il cittadino globale, invece, è un modo per appartenere in tutto e per tutto a se stesso.
Anche per questo negli ultimi tempi il catalogo di segni e disegni si è moltiplicato esponenzialmente. Perché deve soddisfare un bisogno di identità che è soggettivo e non collettivo. Così nell’era dell’individualismo di massa il tatuaggio diventa un valore egonomico.
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Dago dal tatuatore foto Gilda Aloisi per Rolling Stone tatuaggio dago