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LA MELINA EGIZIANA – MOLTE LACUNE NEL DOSSIER SUL CASO REGENI: MANCANO I DATI SUI CELLULARI E GLI ELENCHI DEI CONTATTI TELEFONICI DI GIULIO, MATERIALE DECISIVO SECONDO GLI INVESTIGATORI ITALIANI – L’EGITTO CHIEDE DI ACCEDERE AL COMPUTER DELLA VITTIMA
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
VIGNETTA GIANNELLI - AL SISI COLLABORA SUL CASO REGENI
Come un vertice internazionale tra capi di Stato e di governo, l’incontro tra inquirenti e investigatori di Italia e Egitto titolari delle inchieste sull’omicidio di Giulio Regeni è stato diviso in diverse sessioni. E solo alla fine, se tutto andrà come previsto e annunciato, ci sarà un comunicato sui risultati raggiunti.
Magari congiunto. Ieri, nella sede romana della Scuola superiore di polizia, s’è svolta solo la prima tornata di discussioni, che dovrebbero proseguire e concludersi oggi; ma gli egiziani hanno fatto scrivere ai giornali locali che si potrebbe andare anche oltre, persino una settimana. Magari per incontrare i genitori di Giulio, come da annuncio cairota puntualmente smentito dall’avvocato della famiglia Regeni.
Il problema è che al centro dei colloqui ci sono in questo caso il sequestro, la tortura e l’uccisione di un ragazzo, e bisognerebbe trovarne i responsabili, attraverso indagini che dovrebbero restare segrete fino alla conclusione. In più la vicenda giudiziaria, già di per sé complicata, si mescola con quella diplomatica, alla quale l’autorità del Cairo (politica, ma non solo) pare molto sensibile.
Anche la condivisione delle informazioni, nonché le valutazioni sulla loro rilevanza ai fini dell’inchiesta, diventano così un terreno scivoloso e foriero di possibili contrasti. I sei fra magistrati, militari e poliziotti giunti dal Cairo tendono ad accreditare la tesi di aver portato in dote materiale importante, se non ancora per individuare i responsabili almeno per chiarire le modalità della morte di Giulio, il contesto del rapimento e dell’uccisione.
Le foto scattate sul luogo del ritrovamento del cadavere di Regeni dovrebbero servire a questo; inoltre sarebbero arrivati alcuni video delle telecamere di sorveglianza della stazione della metropolitana in cui la vittima s’infilò prima di scomparire, seppure con immagini poco limpide, e nuovi tabulati telefonici che gli italiani si sono riservati di analizzare per comprenderne il valore. E ancora, verbali di nuovi testimoni che ora andranno tradotti dall’arabo.
Mancherebbero però i dati sui cellulari attivi sul luogo in cui fu rapito il giovane ricercatore e quello in cui fu fatto trovare morto, dieci giorni dopo. Come pure altri elenchi di contatti telefonici, di Giulio e di persone a lui collegate.
Materiale che la «delegazione» italiana considera molto rilevante, se non decisivo, per imboccare una pista concreta. Ecco perché, in attesa di terminare l’analisi del «dossier» egiziano e trarre le conclusioni, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco, insieme ai capo del Ros dei carabinieri, Giuseppe Governale, e dello Sco della polizia, Renato Cortese, mantengono un atteggiamento molto cauto sui risultati della riunione. Se non ci fossero di mezzo il dovuto riserbo e la necessità di tenere conto di aspetti anche diplomatici, si potrebbe già dire che gli italiani si aspettavano di più.
Un’insoddisfazione che qualcuno traduce in «perplessità», mentre altri ipotizzano «irritazione». Ma nonostante sia molto probabile che quanto prodotto venga considerato insufficiente, per una valutazione complessiva e definitiva bisogna attendere. Anche perché il punto di fondo resta sempre lo stesso: titolare dell’inchiesta resta in ogni caso la magistratura egiziana, nonostante quella di Roma continui ad essere caricata di grandi responsabilità dal presidente del Consiglio Renzi.
Per lavorare secondo i loro canoni, investigatori e inquirenti italiani dovrebbero poter agire direttamente e acquisire gli indizi che ritengono necessari, senza troppe intermediazioni e nel minor tempo possibile. Con la consapevolezza che le modalità del delitto, insieme a due mesi di depistaggi (ultimo in ordine di tempo quello dei presunti colpevoli uccisi, con tanto di documenti d’identità di Regeni addosso: un episodio su cui pure si attendevano chiarimenti che non sarebbero arrivati), fanno sospettare anche degli apparati si sicurezza locali. Senza la cui collaborazione effettiva sarà difficile venire a capo di qualcosa.
Nel contempo gli egiziani chiedono il riconoscimento della «bilateralità» dell’inchiesta, e dunque di conoscere le acquisizioni italiane: per esempio il contenuto del computer di Giulio. In situazioni normali potrebbe essere una risorsa in più, in questa ne potrebbero scaturire ulteriori difficoltà. Forse oggi se ne saprà di più.
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