funivia del mottarone

"LE SPESE SONO TANTE, COSA VUOI CHE CAPITI?" - NELL'INCIDENTE ALLA FUNIVIA DEL MOTTARONE 14 PERSONE SONO MORTE PER POCHE MIGLIAIA DI EURO - I FRENI ERANO STATI DISATTIVATI DAL 26 APRILE E LE NORME DI SICUREZZA SONO STATE STRACCIATE PUR DI NON FAR PERDERE GLI INCASSI DELLE CORSE A LUIGI NERINI, CHE PIANGEVA MISERIA DA MESI - CHI ALTRO SAPEVA E HA TACIUTO? COME SI E' SPEZZATO IL CAVO CHE TENEVA LA FUNIVIA? QUALI SONO LE RESPONSABILITA' DI COMUNE E REGIONE PIEMONTE? L'AUTOACCUSA DI GABRIELE TADINI 

Lodovico Poletto per "la Stampa"

 

FUNIVIA DEL MOTTARONE - LUIGI NERINI

Quanto vale la vita di quattordici persone? Centoquaranta mila euro? Forse molto meno se questa storia criminale e pazzesca la guardi da qui, dalla cima del Mottarone, dalla stazione d' arrivo della funivia che ha distrutto famiglie, ammazzato padri, madri, nonni e bambini.

 

Centoquarantamila euro: ed è un calcolo esagerato perché le cabine che scalano la montagna che sovrasta i laghi più belli del l'Italia, non hanno fatto 20 corse al giorno (come da orario per la stagione estiva 2021) a pieno carico, dal 26 aprile a domenica a mezzogiorno. No, la vita di 14 persone vale poche decine di migliaia di euro: soldi che chi ha in carico quella che chiamano «l'attrazione del lago Maggiore» non voleva perdere a nessun costo. «Perché le spese sono tante» e poi «che cosa vuoi che capiti?».

Già, «cosa vuoi che capiti?».

 

FUNIVIA DEL MOTTARONE - GABRIELE TADINI

Lo pensava anche Gabriele Tadini, il capo del servizio della funivia del Mottarone. Persona serissima, dicono. Viso tirato dietro agli occhiali dalla montatura leggera, Gabriele Tadini forse ci pensava da giorni a confessare. A raccontare a qualcuno che sì, quei quattordici nomi scritti sulle bare all' obitorio dell'ospedale di Stresa, in fondo li aveva - anche - lui sulla coscienza. Anche, ma non soltanto. E così era sparito dai radar già da lunedì mattina, il giorno dopo il disastro. «È a Borgomanero, dove vive».

 

«No è dall' avvocato di Milano, con Gigi Nerini» dicevano all' Idrovolante, il bar ristorante di Stresa, accanto all' imbarco della funivia. È ricomparso l' altro pomeriggio al palazzo di giustizia di Verbania come «persona informata sui fatti»: testimone cioè utile a far luce su questa storia. Erano le 8 di sera quando la procuratrice Olimpia Bossi, con il colonnello dei carabinieri Alberto Cicognani ha iniziato a martellarlo di domande sulla storia dei «forchettoni», quei grossi pezzi di ferro di colore rosso, incastrati nei freni di emergenza così da non farli scattare mai. Perché, e chi ha deciso di metterli, e come è stato fatto, gli chiedevano la procuratrice e il colonnello, e lui alla fine non ha retto più.

FUNIVIA DEL MOTTARONE - ENRICO PEROCCHIO

 

Il racconto - per quel poco che viene fuori in queste ore dal palazzo di giustizia - è di un confronto che diventa drammatico. «Dottoressa mi ascolti: tutto quel che è capitato è colpa mia. Soltanto mia, di nessun altro. Io ho deciso di far girare la funivia con quei dispositivi sui freni di emergenza. L' ho scelto io, l' ho fatto fare io. Nessun altro ha avuto voce in capitolo». Lo ha fatto, ha confessato, perché quel che aveva dentro era un peso troppo grande. «È mia la responsabilità di tutto questo. Soltanto mia, mi creda».

 

Ma chi mai può credere che una scelta di questo tipo possa farla il dipendente di un' azienda, per quanto sieda su una sedia importante? E allora Bossi e Cicognani si sono messi lì, e alla presenza dell' avvocato, lo hanno tempestato di domande. Perché, percome, da quanto tempo i forchettoni erano inseriti, gli hanno ridomandato all' infinito. E poco alla volta è saltato fuori tutto il resto. E cioè che le funivie avevano un problema da fine aprile. Che i forchettoni c' erano - su entrambi i freni - dal 26 di aprile. Che - ovviamente - altri sapevano e avevano approvato la sua scelta.

 

FUNIVIA DEL MOTTARONE - FORCHETTONE

«Chi sapeva signor Tadini?». Alla fine sono stati fuori i nomi che già si dubitavano. Quelli di Luigi Nerini - il boss - l' uomo che aveva preso in concessione la funivia. Il figlio di Mario, l' ultranovantenne ex patron del trenino a cremagliera che scalava la montagna fino alla metà degli Anni '70. E poi sapeva anche il tecnico responsabile delle manutenzioni, l' ingegnere Enrico Perocchio. Di fatto dipendente della Leitner di Vipiteno (incaricata del servizio di manutenzione) e al contempo consulente della Mottarone. Un doppio ruolo, un incarico complicato.

 

Ecco, è bastato questo per far scattare le manette. Per far finire in carcere tutti e tre.

Tutti, cioè, sapevano il rischio che correvano. Erano consapevoli che sarebbe bastata una fatalità per provocare un disastro. Ma pur di non far perdere gli incassi delle corse al boss, che piangeva miseria da mesi, hanno fatto carta straccia di ogni norma di sicurezza: «Tanto, che cosa vuoi che capiti?».

 

FUNIVIA DEL MOTTARONE

In questa storia maledetta, di gente che se ne infischia della sicurezza per non perdere poche decine di migliaia di euro, c' è anche dell' altro. Che non è ancora stato chiarito. E cioè: chi altro sapeva e ha taciuto? I vertici, è chiaro, e adesso ci sarà anche la convalida dei fermi. Ma chi altro ha girato la faccia dall' altra parte, ha finto di non vedere, ha condiviso la scelta e ha continuato far correr su e giù i vagoncini della funivia: «Venti euro a passeggero, sconti per i bambini e comitive».

 

Per il momento l' inchiesta è ferma qui: a questi tre uomini. E la procuratrice Bossi non aggiunge altro. Se non che adesso bisogna lavorare su nuovi fronti. Il primo?

FUNIVIA DEL MOTTARONE - SECONDO FORCHETTONE

Quello del cavo. E si deve trovare una spiegazione chiara e inconfutabile sulle ragioni della rottura. Cioè «sull' imprevisto», sulla causa prima del disastro. E ancora una volta c' è il sospetto che la manutenzione abbia qualcosa a che vedere. Perché una fune d' acciaio, che potrebbe sostenere un peso di almeno sei volte tanto un vagoncino come quelli, a pieno carico, non può spezzarsi così. Chi la controllava? E come venivano fatte le verifiche?

 

«C' erano stati degli accertamenti manutentivi sulla funivia» dicono in Procura. Ma quanto approfonditi? E poi ancora: perché non è stato deciso di sospendere le corse per una settimana e risolvere il problema dei blocchi improvvisi, ragione prima per cui si adoperavano i forchettoni? Costava troppo e in cassa non c' erano abbastanza soldi per chiamare a Stresa un super esperto e un manipolo di operai con i pezzi di ricambio? Oppure si sapeva che il cavo era datato e - forse - qualche problema lo aveva?

 

filmato della funivia 5

C' è poi una terza questione ancora tutta da chiarire e che riguarda la proprietà dell' infrastruttura. Agli atti della Regione è scritto «è stata trasferita al Comune di Stresa». Ma l' operazione non è ancora stata perfezionata «perché nonostante i solleciti l' amministrazione comunale non ha fornito tutti documenti». E allora di chi è? Di Nerini - a cui è stato passato tutto (gestione e impianto con una concessione di 28 anni) - o del Comune, o ancora della Regione?

 

Per la Procura su questo punto non ci sono dubbi: «La proprietà dell' impianto è in capo alla Regione Piemonte». Se è così: per quale ragione l' ente non ha vigilato? Non ha controllato, non ha insistito per vedere carte e relazioni tecniche? Per quale ragione dal 1997 a oggi il «nodo proprietà» non mai è stato sciolto?

 

filmato della funivia 3

Elementi che fanno dire a qualcuno che questa storia non è finita qui. Non con tre arresti, quantomeno. E le colpe - dal punto di vista penale e risarcitorio - sono da distribuire tra un bel po' di altra gente. Per Nerini, Tadini e Perocchio in modo netto. Per chi sapeva e ha taciuto forse più sfumato. E per chi non ha vigilato, la questione va definita con il tempo. Perché, come dice il capo della procura di Verbania: «Siamo soltanto al secondo giorno di indagini. Di strada da fare ce n' è ancora tanta».

 

filmato della funivia 2

Oggi si riparte con le indagini. Intanto un primo risultato già c' è: il racconto del tecnico che gestisce la funivia ha consentito di trovare il secondo forchettone blocca freni di emergenza. Era sotto un pezzo di lamiera, nel bosco dove la cabina si è schiantata. Ed è un grosso passo avanti, che cancella tutte le ipotesi di lunedì pomeriggio. E che fa tornare alla prima domanda, quella che racchiude ogni spiegazione di questa storia.

Quanto hanno incassato nei giorni di viaggi senza freni di sicurezza? Non 140 mila euro, certo. Molti, molti meno.

 

Forse 30 o 40 mila. Una scelta criminale. Per una manciata di soldi - che mai avrebbero salvato i bilanci si è scommesso sulla vita dei passeggeri. Quattordici sono morti domenica a mezzogiorno. Tra loro anche due bambini.

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