
PALA E POCHE CHIACCHIERE - VISTO CHE RENZI A GENOVA NON VA, CI VANNO I RAGAZZI A SPALARE IL FANGO - SI DEVONO AL GOVERNO BERLUSCONI I TAGLI PIÙ CONSISTENTI AI FONDI CONTRO IL RISCHIO IDROGEOLOGICO - MA ANCHE IL GOVERNO LETTA HA DATO SPICCIOLI
alluvione a genova il cardinale bagnasco visita gli alluvionati
Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
«Di fronte alla politica del governo Berlusconi che ha affossato la prevenzione contro il rischio di dissesto idro-geologico…». Lascia increduli, a rileggerla oggi, la nota ufficiale del Pd del 7 novembre 2011, subito dopo l’alluvione di Genova che uccise sei persone. Riassunto: tutta colpa della destra, tutta colpa del Cavaliere, tutta colpa del governo in carica.
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Colpevole di aver appunto «affossato la prevenzione» e fatto dei «tagli selvaggi» alla tutela del territorio: «Occorre reagire prontamente per ripristinare quelle risorse e destinarne ulteriori per le zone alluvionate». Di più: «È scandaloso che, nelle misure previste dalla legge di stabilità, il Ministero dell’Ambiente venga decurtato di 124 milioni per la difesa del suolo. Non solo servono questi fondi, ma ne occorrono altri per far fronte alla gravissima emergenza in Liguria e nell’alta Toscana».
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Quanti soldi? Per cominciare, i due protagonisti principali dell’atto d’accusa democratico, la genovese e futura ministro della Difesa Roberta Pinotti e (guarda guarda) il tesoriere della Margherita Luigi Lusi, chiedevano «una somma di 800 milioni di euro per interventi immediati sull’emergenza idro-geologica di cui 327 milioni per Genova e gli altri territori».
Più «la sospensioni dei versamenti e degli adempimenti tributari e contributivi». Più «l’esclusione del patto di stabilità per tutte le spese da sostenere per il contrasto delle emergenze, per la messa in sicurezza di Genova e degli altri territori…». Eccetera eccetera…
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Ottocento milioni! Ventisette volte di più di quanto sarebbe stato stanziato due anni dopo, per la prevenzione del rischio idrogeologico, dal governo guidato da Enrico Letta e a maggioranza democratica: 30 milioni miseri. Basta questo confronto per dimostrare come le polemiche sul tema dell’intervento «prima» e «dopo» le catastrofi naturali siano dettate troppo spesso da interessi di bottega. «Diluvia, governo ladro!» se a Palazzo Chigi c’è un governo ostile. «Diluvia, governo scalognato», se ce n’è uno amico.
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Sia chiaro: è impossibile, perfino per lady Francesca Pascale, Dudù e Dudina, difendere Sua Emittenza su questo punto. Basti ricordare gli stanziamenti contro il rischio idrogeologico: 551 milioni per il 2008 e 408 per il 2009 nelle ultime leggi finanziarie prodiane, 147 per il 2010 e poi addirittura 84 per il 2011 in quelle berlusconiane. Taglio complessivo: l’85% rispetto tre anni prima. Una vergogna. Tanto più che il Cavaliere insisteva a giurare che la crisi era «psicologica», «i ristoranti pieni», l’Italia un «paese benestante».
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È altrettanto impossibile, però, negare l’evidenza di un rimpallo di responsabilità che, come dimostrano quei 30 milioni di Letta, rivela la cattiva coscienza di entrambi gli schieramenti accanitamente nemici su tante cose ma uniti nell’affidarsi a San Gennaro piuttosto che alla prevenzione, alla manutenzione, alla cura quotidiana del territorio.
Un esempio? La risposta che Pierluigi Bersani, diede a Lucia Annunziata che gli chiedeva, due giorni dopo il disastro genovese, perché i Democratici che avevano attaccato Gianni Alemanno per l’alluvione di Roma non si accanivano ora contro il sindaco di Genova. «Non farei di tutta l’erba un fascio», sgusciò via l’allora leader del Pd. Dopodiché aggiunse: «Comunque anche in questo caso direi che prima di fare sentenze si debba riflettere bene su quanto sta accadendo perché va migliorato il sistema di allerta e bisogna abituarsi a momenti di emergenza». Una tesi, questa di doversi abituare alle emergenze, che in bocca a Berlusconi avrebbe scatenato un putiferio.
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In realtà, come spiegò in quei giorni Don Andrea Gallo, il «pretaccio» genovese (copyright di Candido Cannavò) per decenni amatissimo dalla sinistra alternativa, «nessuno può dire di avere la coscienza a posto. Certamente, non il sindaco e su chi sta più in alto». E ricordò: «Quando anni fa andavo a fare gli incontri in largo Merlo, proprio sopra via Fereggiano, mi dicevo, mamma mia che paura questi palazzoni costruiti sui pendii, sembra che ti cadano addosso. E di “mostri” la città ne ha tanti, il Biscione, il Cep, le Dighe, Begato... E potrei continuare.
Tutti quartieri per la povera gente. Io dico sempre che Dio si è dimenticato di dare a Mosé un undicesimo comandamento: amate la natura e proteggetela, che è come dire amate l’ambiente e le creature che lo abitano».
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Certo, sulla nuova tragedia di giovedì pesa il lungo, interminabile, fatale braccio di ferro giudiziario tra le imprese che si contendono i cantieri. Prova ulteriore di quanto avesse ragione la Banca d’Italia quando, come ricorda lo stesso vicepresidente del CSM Michele Vietti, denunciava che «l’inefficienza della giustizia civile ci costa l’1% del Pil, all’incirca 22 miliardi di euro». Ma sarebbe indecoroso se l’intera responsabilità di anni di ritardi, di rinvii, di decisioni ammuffite tra scartoffie burocratiche per quel benedetto by pass del Bisagno fosse scaricata sulla magistratura.
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Il vecchio partito comunista, ai suoi tempi, tirava in ballo la «responsabilità oggettiva»: il sindaco, gli assessori comunali e regionali delegati al problema, il governatore e insomma tutti coloro che sono stati eletti dai cittadini per risolvere le situazioni che vanno risolte devono avere ben chiaro il punto. Vale per Claudio Burlando, vale per Marco Doria, vale per tutti. Anche non aver strillato ancora piena per lanciare nuovi allarmi sui rinvii può essere una colpa. Ed è penoso sentir ripetere ancora una volta «nessuno ci aveva avvertiti» o che «l’avviso parlava solo di quantità di pioggia significativa».
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Di quelle che oggi chiamiamo «bombe d’acqua» scriveva già Dante Alighieri. Lo sappiamo: la natura, a dispetto di ogni genio della metereologia, può coglierci di sorpresa. Ma non ne possiamo più di un Paese che, come denuncia un dossier Legambiente, spende ogni giorno solo 200 mila euro per la prevenzione e 800 mila, cioè il quadruplo, per intervenire «dopo» ogni sciagura.
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Tanto più in una regione quale la Liguria dove da anni, come denuncia l’Ispra, ci sono 8392 frane censite e un indice di franosità molto più alto della media nazionale (già stratosferica rispetto a quella europea) e dove intere province, come La Spezia, hanno il 100% dei comuni a rischio.
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