
“PAPA FRANCESCO È MORTO SENZA SOFFRIRE” - IL COORDINATORE DELL’EQUIPE DEL GEMELLI CHE HA CURATO BERGOGLIO, SERGIO ALFIERI, RACCONTA GLI ULTIMI MINUTI DI VITA DEL PONTEFICE: “DURANTE L’ULTIMO RICOVERO CI DISSE DI EVITARE L’ACCANIMENTO TERAPEUTICO” - "NELL’ULTIMO MESE HA SEGUITO ALLA LETTERA LE NOSTRE INDICAZIONI. NON SI FIDAVA MOLTO DEI MEDICI MA NELL'ULTIMO PERIODO SI ERA RIAVVICINATO A NOI. DOPO L’INTERVENTO DEL 2021 GLI PRESCRIVEMMO UNA DIETA. LUI, CHE ERA GOLOSO, A VOLTE RAGGIUNGEVA DI NOTTE LE CUCINE DI SANTA MARTA PER UNO SPUNTINO EXTRA. AVEVA ACCUMULATO UNA DECINA DI CHILI DI TROPPO. A VOLTE DOVEVO SEMBRARGLI TROPPO RIGOROSO PERCHÉ MI DICEVA DI..."
Elena Dusi per repubblica.it - Estratti
C’era un limite che papa Francesco aveva dato ai suoi medici. Qualora si fosse aggravato, avrebbe preferito spegnersi piuttosto che essere intubato per ricevere più aria nei polmoni. «Ci ha chiesto di evitare l’accanimento terapeutico. Se avesse perso coscienza, avremmo dovuto seguire le direttive del suo assistente sanitario personale, Massimiliano Strappetti, che per il Santo Padre era come un figlio».
Sergio Alfieri, direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche al Policlinico Gemelli di Roma e coordinatore dell’équipe che ha curato papa Francesco durante il ricovero tra 14 febbraio e 23 marzo, ha operato il pontefice al colon nel 2021. Poi, per un problema addominale simile, due anni dopo.
«Già nel 2021 mi aveva chiesto di evitare, qualora si fosse presentata l’evenienza, l’accanimento terapeutico. Durante l’ultimo ricovero ha espressamente domandato di non procedere in nessun caso all’intubazione».
Per quale motivo?
«L’intubazione lo avrebbe aiutato a respirare. Ma sarebbe stato difficile tornare indietro ed estubarlo, con i polmoni nelle sue condizioni, infettati da virus, funghi, miceti. Avremmo solo prolungato la sua vita di qualche giorno».
Che rapporto aveva con i medici?
«In genere si fidava poco, ma nell’ultimo periodo si era riavvicinato a noi. Quando gli parlava un medico lui guardava Strappetti. Solo dopo un suo cenno di assenso seguiva i nostri consigli. Diceva sempre: il medico di papa Francesco è Jorge Bergoglio».
Nell’ultimo mese non ha seguito alla lettera le vostre indicazioni.
«Anzi, nell’ultimo mese le ha seguite abbastanza. Dopo l’intervento del 2021 gli prescrivemmo una dieta. Lui, che era goloso, a volte raggiungeva di notte le cucine di Santa Marta per uno spuntino extra. Aveva accumulato una decina di chili di troppo. A volte dovevo sembrargli troppo rigoroso perché mi apostrofava: ricordati di vivere con ironia».
(...)
Ascoltava solo Strappetti?
«Era la persona di cui si fidava di più, ma a volte faticava anche lui. Stava male già da diverse settimane quando a metà febbraio Strappetti è riuscito a imporsi e convincerlo a ricoverarsi. Il primo giorno al Gemelli era davvero arrabbiato. Avrebbe voluto restare 24 ore tutt’al più e poi tornare alla sua agenda.
Strappetti d’altra parte era molto più di un infermiere per papa Bergoglio. Ha conoscenze mediche notevoli e nell’ultimo periodo ha vissuto in simbiosi con il Santo Padre, che chiamava solo lui. Restava a Santa Marta anche la notte. Dormiva sì e no tre ore. Non so come abbia retto. È stato esemplare».
Cosa è successo lunedì mattina, il giorno della morte?
«Alle 5 il Santo Padre si è svegliato per un bicchier d’acqua. Si è girato su un fianco e l’infermiere si è accorto che qualcosa non andava. Faticava a rispondere. È stato chiamato il medico rianimatore che è sempre di turno in Vaticano. A me hanno telefonato alle 5 e 30 circa e sono arrivato in un quarto d’ora.
L’ho trovato con l’ossigeno e la flebo. Ho auscultato i polmoni, che erano puliti, senza rantoli. Aveva gli occhi aperti, ma non rispondeva alle domande, né al dolore dei pizzichi. Era già in coma. Il polso stava rallentando e il respiro si faceva via via più superficiale. È morto senza soffrire, e a casa sua.
Al Gemelli non diceva: voglio tornare a Santa Marta. Diceva: voglio tornare a casa. Posso dire che fosse sereno perché ricordo quella notte, al Gemelli, in cui ha avuto la prima grave crisi respiratoria e tutti pensavamo che fosse finita. È brutto, riusciva solo a dire».
Lunedì si poteva fare qualcosa?
«Per un attimo abbiamo pensato di trasferirlo al Gemelli, ma sarebbe morto durante il trasporto. Anche facendo una tac avremmo ottenuto una diagnosi più precisa, ma nulla di più. È stato uno di quegli ictus che in un’ora ti portano via».
papa francesco e, a sinistra, l'infermiere Massimiliano Strappetti
Perché è avvenuto?
«Forse è partito un embolo che ha occluso un vaso sanguigno del cervello. Forse c’è stata un’emorragia. Sono eventi che possono capitare a chiunque, ma gli anziani sono più a rischio, soprattutto se si muovono poco».
Il papa sembrava molto fragile.
«Era sopravvissuto al ricovero in modo inaspettato. Sapevamo che non sarebbe tornato come prima e che l’infezione aveva lasciato un’ulteriore cicatrice sui polmoni. Con la fisioterapia era però migliorato. Sabato l’ho visitato e l’ho trovato bene. Non pensavo che sarebbe stato l’ultimo incontro».
PAPA FRANCESCO E MASSIMILIANO STRAPPETTI
Cosa vi siete detti?
«Era contento di essere stato al carcere di Regina Coeli il giovedì santo. Si rendeva conto però che il fisico ormai faticava a seguire la testa. Era rammaricato di non aver lavato i piedi ai detenuti: stavolta non ci sono riuscito, è l’ultima cosa che mi ha detto con un filo di voce».