IL POTERE SI ATTOVAGLIA AL RISTORANTE – LUCA GUADAGNINO INTERVISTA DAGO: “LA GESTIONE DEL POTERE, NELLA CAPITALE, RUOTA ATTORNO AL RISTORANTE O AL CIRCOLO, CHE NON VENGONO SCELTI SULLA BASE DELLA LORO QUALITÀ GOURMET. L’IMPORTANTE È AVERE UN LUOGO IN CUI CONSUMARE INCONTRI - HANNO TUTTI IL BRACCINO CORTO; SE SONO TRA DI LORO SI DIVIDE ALLA ROMANA, MENTRE QUANDO ARRIVA QUALCUNO DA FUORI VIENE CONSIDERATO UFFICIALE PAGATORE’’
Luca Guadagnino per Vanity Fair
ELTON JOHN A PRANZO AL BOLOGNESE
È della tavola della Roma immutabile, divertita, scettica e tagliente, ancorata al passato e al tempo stesso proiettata al futuro che ci parla Roberto D’Agostino, 70 anni compiuti sabato scorso, barometro da quasi un ventennio delle burrasche e dei rivolgimenti anche impercettibili del potere. Il suo è un viaggio tra i politici in grisaglia di ieri e i nuovi manager che si attovagliano per costruire portata dopo portata le alleanze di domani.
«Adesso», dice nella sua casa-museo affacciata sul Tevere, «chi ha preso il potere va a Il Sanlorenzo a via dei Chiavari – che non è una parolaccia». Intorno ai tavoli, sostiene Dago, ancora non c’è traccia della nuova maggioranza giallo-verde: «Questi della Lega e dei Cinquestelle non fanno una vita sociale, sono appena arrivati. Ancora non hanno capito che il potere non lo si ottiene quando si arriva a palazzo Chigi. Io inventai il famoso verbo “attovagliarsi”, per indicare quell’abitudine romana per cui gli incontri di lavoro si consumano a tavola, con dei buoni cibi e dell’ottimo vino. È sempre stata la cena di lavoro a Roma a farla da padrona. La socialità, nella capitale, ruota attorno al ristorante o al circolo, e così la gestione del potere. Ecco perché Dal Bolognese era diventato un salotto in cui si incontrava chiunque, dai ministri a Scalfari».
Diventare un risto-salotto, argomenta D’Agostino, non sempre è frutto di un disegno: «All’epoca di Craxi si andava tutti all’Augustea, un ristorante che ora non esiste più. Si andava poi anche al Moro e solo dopo arrivò l’era del Bolognese. Insomma, tutti quelli che arrivano hanno un punto di riferimento».
Ma non è mai il cibo, avverte D’Agostino, a orientare scelte e indirizzi: «Zero, nun je ne po’ fregà de meno delle pietanze. Forse più il vino, ma non il cibo». I ristoratori, spiega, «fanno più o meno bene il loro lavoro, ma certo i ristoranti non vengono scelti sulla base della loro qualità gourmet. Di quello non frega un cazzo a nessuno, l’importante è avere un luogo in cui consumare incontri.
Al Bolognese si andava a fare il giro dei tavoli e incontrare tutti, era un po’ l’erede dei caffè letterari come il Canova. Che ti credi, che quelli che andavano al Canova davvero parlassero di letteratura? Andavano lì a parlare di letto, di figa e di cazzi: quello c’ha la moglie troia, quello la figlia zoccola… così via». Pausa, ripartenza: «Roma ha sempre coltivato l’arte di attovagliarsi, la Angiolillo fu esattamente questo».
È qui, tra la contemporaneità di ristoranti come Spiriti o Roscioli e l’usato sicuro del Bolognese, che si ritrova l’essenza della tavola romana, così ben descritta da un poeta «randagio» come Valentino Zeichen, che nei suoi diari appena usciti per Fazi descrive bene le atmosfere proprie di un certo mondo legato proprio al Bolognese. «Valentino veniva invitato perché aveva una conversazione brillante. Ti costava dieci bottiglie di vino, ma era uno piacevole da ascoltare. Il problema delle cene qui a Roma è che ti devi preparare, non puoi portare te stesso, è importante avere aneddoti, storie, pettegolezzi… Vai lì e ognuno deve fare il suo ruolo, non si va solo a mangiare, ma anche per ridere, ironizzare, creare soprannomi. Tu sai che la battuta “il carrello dei bolliti” per indicare quelli che arrivano all’ultimo stadio, nasce proprio al Bolognese? Si diceva: “Lo vedi quello? Quello finisce nel carrello dei bolliti…”».
ROMA: KIM KARDASHIAN E KANYE WEST
A tavola, un personaggio letterario, da tomo di Robert Walser, è il cameriere. Quelli del Bolognese non fanno eccezione: «Tipi umani che stanno lì da decenni, tra loro c’è il fondamentale Antonello. A Roma siamo viziati, non si deve neanche prenotare, vai e il tavolo ce l’hai se fai parte del giro e conti, se no non esisti. Roma, diceva Flaiano, non ha mai confuso la cronaca con la Storia. Noi siamo abituati ai papi, a Giulio Cesare, poi arrivano questi, ma che cazzo vogliono? Roma è così: finché hai ruolo son tutti carini, poi perdi il potere e diventi trasparente. La tavola romana è un luogo di battaglia. Ci si siede a tavola e si combatte una lotta. Le prime volte sudavo dalla tensione e dalla paura».
IL SANLORENZO 1Guadagnino e Dakota Johnson 9-34-01-am
FERDINANDO ESPOSITO E NICOLE MINETTI AL BOLOGNESE
Di solito scelgono sempre uno che paga, a volte quando arriva quello nuovo che vuole entrare nel giro, quello che arriva da Milano, da Bologna… Paga lui. Hanno tutti il braccino corto; se sono tra di loro si divide alla romana, mentre quando arriva qualcuno da fuori viene considerato ufficiale pagatore».