
UN PROCESSO? NO, UNA FICTION! AL PROCESSO YARA, VIENE FUORI L’IPOTESI CHE BOSSETTI POSSA AVERE UN FRATELLASTRO, UN ALTRO FIGLIO SEGRETO DI GUERINONI - I DIFENSORI DEL MURATORE HANNO CHIESTO UNA PERIZIA SUGLI INDUMENTI DI YARA: SONO CONVINTI CHE LA RAGAZZA SIA STATA SPOGLIATA E RIVESTITA - IL RUOLO DEI SERVIZI SEGRETI
Giangavino Sulas per “Oggi”
Come era vestita Yara la sera in cui scomparve? Erano suoi gli indumenti che indossava? O il giubbino gliel’aveva aveva prestato un’amica? Perché fu esclusa l’ipotesi che potesse essere stata spogliata e rivestita? Per tutto ciò i difensori di Bossetti il 4 marzo hanno chiesto una «superperizia» sugli indumenti di Yara. Vogliono che vengano riesaminati uno per uno da nuovi periti.
letizia ruggeri pubblico ministero del processo yara bossetti
Intanto, Bossetti ha accettato di essere interrogato in aula. Ha parlato. Si è difeso, raccontando la sua verità e la sua vita: «Mai conosciuta Yara. Mai vista in vita mia». Tono e atteggiamento sicuri, non ha mostrato nervosismo: buono il suo italiano, sbaglia un solo congiuntivo e lo corregge, non alza la voce, cerca un tono conciliante di fronte all’incalzare del Pm, Letizia Ruggeri.
E ricorda la sua vita: manovale nei cantieri a soli 14 anni, il grande amore per Marita, conosciuta d’estate sulle rive del fiume Brembo, al rientro dal servizio di leva a Gorizia, il matrimonio, la complicità con i tre figli, l’acquisto, nel 1999, della casa a Terno d’Isola che fu poi costretto a vendere nel 2008 perché la sua impresa non lo pagava. La crisi dell’edilizia l’obbligò a chiedere ospitalità alla suocera, alla quale, per sdebitarsi, ristrutturò la cascina di Piana di Mapello. Parla e parlerà per ore Bossetti nella prossima udienza cercando di convincere la Corte che l’assassino di Yara non è lui.
il furgone di bossetti analizzato dai ris
il furgone davanti la palestra di yara che non era di bossetti
Ma, al di là delle suggestioni che quest’uomo provoca in chi assiste al processo per fissarlo negli occhi e cercare di carpire i segni della sua innocenza o il «lampo» del mostro che massacra una ragazzina, non saranno le sue parole a decidere il suo destino. Saranno le prove. Lo si è capito quando alla fine dell’udienza i suoi difensori hanno chiesto una «superperizia» sugli indumenti che Yara aveva quando è sparita.
Una perizia che ne anticipa un’altra: quella sul Dna, con addirittura il ritorno in aula di Marzio Capra e Sara Gino, i consulenti scientifici della difesa. La pm Letizia Ruggeri si è opposta e la Corte si è riservata di rispondere. Questo sarà lo snodo decisivo. Il resto sarà ininfluente.
Perché il riesame degli indumenti? Perché, dicono i difensori di Bossetti, il piumino che Yara indossava la sera in cui è scomparsa non era il suo. Chi glielo aveva prestato? Lo aveva indossato solo quel giorno o da più tempo? Forse è questa la ragione per cui su quel giubbino non c’era una traccia biologica della famiglia della vittima.
Sul polsino della manica destra è comparso solo il Dna di Silvia Brena, una delle sue insegnanti di ginnastica. Un profilo genetico positivo al sangue, come ha rivelato uno degli ufficiali del Ris che lo aveva esaminato. Una traccia abbondante e resistente. Un Dna che, se il giubbino era stato prestato a Yara nello stesso giorno, deve essere stato lasciato nelle ultime ore della sua vita. Forse qualche domanda alla ragazza che le aveva dato il piumino andava fatta. Ma fra le carte non ce n’è traccia.
L’IPOTESI DEL FRATELLASTRO
Così come quei sette capelli trovati infilati fra la maglietta e la felpa con un Dna che porta a un ceppo familiare inspiegabilmente vicino alla linea materna della ragazza non possono esser stati lì da giorni. Forse li ha lasciati qualcuno che era con Yara la sera in cui è scomparsa. E come spiegare le calze insanguinate se, quando è stata ritrovata, Yara aveva le scarpe? Aveva camminato su un terreno o un pavimento macchiato di sangue e poi si è rimessa le scarpe?
Oppure gliele ha infilate qualcuno che aveva le mani sporche di sangue? La superperizia sugli indumenti potrebbe rispondere a tante domande, colmare alcune lacune scoperte sulla relazione di Cristina Cattaneo che ha fatto l’autopsia e, magari, si augura la Difesa, scoperchiare un’altra verità facendo scoprire che Yara prima di morire fu spogliata, ferita e poi rivestita.
Così come una nuova perizia sul Dna consentirebbe di capire perché, inseguendo il profilo genetico di Giuseppe Guerinoni, il padre biologico di Massimo Bossetti, si è risaliti fino al 1700, e invece ci si è fermati nella ricerca del Dna mitocondriale di Yara che aveva sostituito quello di Bossetti, definendolo una anomalia.
il furgone di massimo bossetti
campo chignolo
Quante altre donne o ragazze hanno lo stesso mitocondriale di Yara? Tutte le sue parenti in linea materna. È stata fatta questa indagine? Carlo Previderè, il genetista di Pavia che ha analizzato i capelli trovati sugli abiti di Yara, nella relazione consegnata alla Procura nel gennaio 2015, non trascura l’ipotesi che Bossetti possa avere un fratellastro. Cioè che Guerinoni abbia messo al mondo un secondo figlio illegittimo con un’altra donna che non fosse Ester Arzuffi.
LA PISTA DEI SERVIZI SEGRETI
È il processo dei misteri e delle domande inevase. Potevano mancare i servizi segreti? Sono arrivati anche loro quando Claudio Salvagni e Paolo Camporini, difensori dell’imputato, hanno consegnato alla Corte alcune e-mail scambiate, il giorno dopo l’arresto di Bossetti, fra David Vincenzetti, amministratore delegato della Hacking Team, i suoi consulenti e i carabinieri del Ros.
Hacking Team è un’azienda milanese che ha ideato e venduto (a governi, servizi segreti, polizia) il software spyware Rcs (Remote control System), conosciuto come “Galileo”, che permette di controllare un computer dall’esterno monitorando dati e informazioni che vi transitano e infiltrandosi in molti sistemi operativi.
giuseppe guerinoni massimo bossetti
«La trasmissione dei dati al Server di Rcs è criptata e non rintracciabile», scrive la società nel suo sito. Due collaboratori infedeli di questa società, secondo la Procura di Milano, hanno venduto lo spyware del software Galileo a jihaidisti per 300 mila dollari. Lo stesso software è stato acquistato anche dai Carabinieri del Ros e dal nostro ministero dell’Interno. Le e-mail di questa società sono state rese pubbliche da Wikileaks, l’organizzazione che svela documenti riservati, e fra queste ne sono spuntate fuori alcune nelle quali si parla della soluzione del caso Yara.
L’ad della Hacking Team, Vincenzetti, appare entusiasta poche ore dopo l’arresto di Bossetti. E scrive: «Naturalmente, non posso dirvi molto, ma il merito del successo è anche nostro… Diamoci una pacca sulla spalla, il caso è stato risolto… I Ros ci hanno ringraziato per la preziosa collaborazione… Dovresti agganciarlo all’evento “On etilometro”…». Infine, è comparso un messaggio nel quale si dice che, a Tel Aviv, i genetisti israeliani hanno creato un Dna artificiale. Con 8 mila dollari lo si può acquistare.
La presidente della Corte ha escluso questi documenti dal fascicolo processuale perché «non attinenti», ma come mai una società che crea sistemi di spionaggio è stata coinvolta nell’inchiesta sull’omicidio di Yara? Sono «entrati» nel suo computer prima che fosse indagato? Cosa significa il riferimento all’etilometro dal quale i Carabinieri ebbero la prova che il Dna era di Bossetti? E perché parlano del Dna artificiale ottenuto in Israele?
massimo giuseppe bossetti
genitori di yara gambirasio 9c401bce3532bd5f3871918ef8d14934
giovanni bossetti marito di ester arzuffi madre del presunto killer di yara gambirasio