giuseppe curigliano

LE CONSEGUENZE DEL COVID: LA SANITA' NEGATA AGLI ALTRI MALATI -L’ALLARME DI GIUSEPPE CURIGLIANO, DELL'ISTITUTO EUROPEO DI ONCOLOGIA: "NEL 2020 DAL 30 AL 50% DEI PAZIENTI ONCOLOGICI NON HA TROVATO ASSISTENZA ADEGUATA E CON OMICRON RISCHIAMO DI VANIFICARE QUELLO CHE ABBIAMO RECUPERATO. ORMAI TANTI MEDICI SONO ESAURITI” – NEL 2021 SONO STATI RINVIATI 400MILA INTERVENTI CHIRURGICI PERCHE' GLI OSPEDALI HANNO DOVUTO CONCENTRARE LE FORZE PER COMBATTERE LA PANDEMIA...

1. «CURE DEI TUMORI SPESSO IN RITARDO E TANTI MEDICI SONO ESAURITI»

Adriana Bazzi per il “Corriere della Sera”

 

giuseppe curigliano

Ci risiamo. La nuova emergenza Omicron sta facendo riemergere un'altra pandemia: quella della «sanità negata». Gli ospedali, per far fronte alla situazione, stanno riconvertendo i reparti per assistere i nuovi contagiati (spesso non vaccinati), stanno rimandando interventi chirurgici programmati, stanno sospendendo altre attività, per esempio di prevenzione. Così denunciano le associazioni mediche: sembra di ritornare al 2020, quando non esistevano nemmeno i vaccini. Come è possibile? Lo chiediamo a Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione Nuovi Farmaci all'Ieo, l'Istituto Europeo di Oncologia e professore di Oncologia medica all'Università di Milano. Un ricercatore, ma anche un clinico che assiste, in corsia e in ambulatorio, i malati di tumore.

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Professore, perché non abbiamo imparato la lezione del 2020 e non ci siamo preparati a questa nuova ondata?

«In effetti già i dati raccolti nel 2020 ci informavano che dal 30 al 50% della work force, la forza lavoro dedicata alla cura dei tumori nei nostri ospedali, era stata dirottata nell'assistenza ai malati di Covid. Il che significa che dal 30 al 50% dei pazienti con malattie oncologiche non trovavano un'assistenza adeguata».

 

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La conseguenza è che c'è stato un ritardo nelle diagnosi e nel primo approccio chirurgico ai pazienti con tumori operabili, come ci dimostrano i dati riportati dal Libro Bianco dell'Aiom (l'Associazione Italiana di Oncologia Medica) riferiti al 2020. Solo un dato per tutti: il numero di operazioni per tumore alla mammella si è ridotto del 22%. È davvero così?

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«Sì. Alcuni studi internazionali hanno dimostrato che i ritardi nella diagnosi di malattia e nella possibilità di accedere alla chirurgia hanno comportato un aumento del rischio di mortalità per i malati, rispetto alla situazione pre-Covid, del 2 per cento. Non solo: l'emergenza Covid ha penalizzato anche la prevenzione. In Italia, durante la prima ondata, si sono "persi" almeno un milione e 400 mila esami di screening (ricordiamo: gli screening sono gli esami offerti al pubblico per l'identificazione precoce di tumori, principalmente quello alla mammella con la mammografia e quello del colon, con la ricerca del sangue occulto, ndr ). Poi, però, la situazione nel 2021 è migliorata, per quanto riguarda sia l'accesso alle cure che alla prevenzione, grazie anche ai vaccini. C'è stato un recupero, ma ancora non possiamo quantificarlo. Per esempio, si ipotizza che almeno un 60 per cento degli screening siano stati riattivati».

 

Questo recupero rischia ora di essere vanificato dalla nuova pandemia di Omicron?

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«Sì. E la comunità scientifica deve riproporre con forza l'idea di riorganizzare la "forza lavoro" dei sanitari con un occhio a eventuali nuove emergenze infettive, ma anche con una prospettiva che punti a organizzare diversamente la sanità soprattutto sul territorio».

 

Fin qui abbiamo parlato di pazienti, ma che dire del personale sanitario che, dopo due anni in trincea, potrebbe andare incontro, come ci suggeriscono le metafore belliche usate in questa pandemia, a una Caporetto?

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«Innegabile che il personale sia sotto stress. Nella mia esperienza universitaria ho conosciuto medici giovani che, nelle fasi peggiori della pandemia, di fronte ai pazienti, sono andati incontro a burnout (un esaurimento sul piano fisico, emotivo e mentale che coinvolge anche la vita privata, ndr ), anche per l'impossibilità di andare avanti nel loro percorso formativo. E molti medici hanno abbandonato la professione a contatto con i pazienti, abdicando alla vera missione del medico».

 

Occorre, dunque, rimotivare i medici?

«È indispensabile, altrimenti non si va avanti».

 

Un accenno alla ricerca. Ormai la maggior parte dei lavori, pubblicati nella letteratura scientifica, riguardano il Covid. Che spazio hanno le altre ricerche?

«Personalmente ho rinunciato a parlare di Covid. Vorrei ritornare su altri temi».

 

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Uno studio del Politecnico di Milano (2021) sostiene che, complice il Covid, la ricerca scientifica stia diventando sempre più «individuale». E che siano le donne a farne le spese.

«Non mi sembra. Personalmente, durante questa pandemia, ho incrementato il network dei miei rapporti internazionali. E nonostante una ricerca dell'Esmo, la società europea di oncologia medica, dichiari che le donne sono meno presenti come autrici nelle pubblicazioni scientifiche, osservo che, negli ultimi lavori su come gestire il cancro nei pazienti con Covid, le prime firme sono proprio di ricercatrici».

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SANITÀ, IL CONTO DEI NO VAX: 400MILA INTERVENTI RINVIATI

MAURO EVANGELISTI per "il Messaggero"

Cento milioni di euro al mese buttati a causa della follia No vax. Non c'è solo il conto, drammatico, di vite umane. Le terapie intensive si riempiono per due terzi di pazienti Covid non vaccinati e i decessi continuano a salire, tanto che ieri hanno sfiorato quota 300. Ancora: non ci sono solo gli effetti collaterali di 400mila interventi chirurgici rinviati in un anno perché negli ospedali le forze sono state concentrate soprattutto per arginare la pandemia anche nel 2021, quando avevamo già l'arma dei vaccini che una minoranza ha rifiutato causando guai a se stessi e alla maggioranza del Paese.

terapia intensiva covid 4

 

RISORSE C'è anche un dato economico su cui prima o poi bisognerà ragionare. Quanto costano i pazienti non vaccinati al sistema sanitario nazionale? Parliamo di persone che, se avessero accettato di immunizzarsi, avrebbero ridotto drasticamente le probabilità di finire in terapia intensiva. Il grafico elaborato dall'Istituto superiore di sanità e rilanciato l'altro giorno dal governo è molto chiaro: su centomila cittadini non vaccinati in 23 vanno in terapia intensiva per Covid; su centomila vaccinati da meno di quattro mesi ce ne va solo 1.

 

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Questo dato dovrebbe chiarire le idee anche a chi ha poca confidenza con la matematica. In altri termini: se tutti i centomila del primo gruppo si fossero vaccinati, in terapia intensiva non avremmo avuto 23 ricoveri che costano al servizio sanitario nazionale 1.700 euro al giorno, ma ne avremmo avuto solo uno. Lo stesso ragionamento si può fare per i ricoveri in area medica, dove un paziente Covid costa circa 800 euro al giorno. In ottobre Altems (Alta scuola di economia e management della sistemi sanitari nazionali-Università cattolica) ha realizzato una prima simulazione per Il Sole 24 Ore da cui emergeva che in un mese i pazienti no vax erano costati 70 milioni di euro. La ricerca prendeva in considerazione i giorni di degenza media per un paziente Covid: 11,3 in area medica, 14,9 in terapia intensiva.

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Ecco, qui già è facile il calcolo: un paziente Covid in terapia intensiva costa mediamente 25.500 euro. Si dirà: ma quei soldi si spendono anche quando è un paziente vaccinato a finire in terapia intensiva. Ma c'è una differenza: una piccola minoranza, il 20 per cento degli italiani di qualsiasi età non vaccinati causa la grande maggioranza dei ricoveri e aumenta di 22 volte le possibilità di finire in terapia intensiva.

 

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Con la facilità di trasmissione della Omicron le probabilità di contagio sono molto elevate, secondo l'Oms uno su due sarà infetto entro due mesi: solo che il vaccinato ha fatto tutto il possibile per alzare uno scudo che nella stragrande maggioranza dei casi funziona, il non vaccinato si prende un rischio alto che peserà su tutta la comunità. E nell'ultimo mese quei 70 milioni calcolati da Altems in una fase non grave della pandemia, sono diventati almeno 100 milioni. Se tutti gli italiani fossero vaccinati, la percentuale di chi finisce in ospedale sarebbe sostenibile, il sistema sanitario reggerebbe. Ma quel contributo 22 volte più alto dei non vaccinati fa saltare il sistema.

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ASSEDIO Racconta il professor Francesco Basile, presidente della Società italiana di chirurgia: «In un anno abbiamo rinviato 400mila interventi di elezione a causa del Covid. Teoricamente sono prestazioni procrastinabili. Ad esempio un intervento per calcoli della colecisti, ma non dimentichiamo che comunque la calcolosi alla colecisti può dare vita a una patologia acuta, anche se non in tempi brevi normalmente. In sintesi: neanche interventi di questi tipo andrebbero rinviati.

 

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I pazienti oncologici vengono operati, ma anche in questo caso non mancano i rinvii, perché necessitano poi un posto in terapia intensiva che magari non c'è perché occupato dal paziente No vax infetto dal Covid. Quando noi abbiamo calcolato 400mila interventi rinviati in un anno, contavamo di recuperare, di smaltirli nel 2021. Purtroppo questo è avvenuto solo in parte. Diciamo che siamo ancora al 50 per cento, 200mila in tutta Italia. E le liste di attesa stanno aumentando di nuovo». In sintesi: sta saltando l'80 per cento degli interventi, magari perché medici e infermieri vengono dirottati nei reparti Covid pieni di pazienti No vax.

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Allarmante il quadro descritto dal professor Francesco Cognetti (presidente di Foce, Fondazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi): «Siamo molto preoccupati per il blocco dell'attività chirurgica programmata determinato dalla nuova ondata pandemica causata dalla variante Omicron. Rischia di provocare gravi danni ai nostri pazienti, circa 11 milioni in Italia. Il rinvio degli interventi chirurgici può favorire lo sviluppo di tumori in fasi più avanzate, con minori possibilità di guarigione».

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