ROVELLI DI ATOMI - CARLO ROVELLI, BEST SELLER CON UN LIBRO SULLA FISICA: “VIVO ALL'ESTERO. A ROMA AVEVO VINTO LA CATTEDRA MA NON MI HANNO MAI CHIAMATO'' - ''LA GRAVITA’ QUANTISTICA PUO’ SALVARE IL MONDO. BASTA GUARDARE INTERSTELLAR"

CARLO ROVELLI 1CARLO ROVELLI 1

Eleonora Barbieri per "il Giornale"

 

Carlo Rovelli è il fisico che sta in cima alle classifiche. È l'autore di Sette brevi lezioni di fisica, il libro più venduto da settimane: un esperto mondiale di gravità quantistica (se ne occupa al Centre de Physique théorique dell'Università di Aix-Marseille) che ha reso la fisica popolare anche in Italia.
 

Ma da piccolo che cosa sognava di fare?
«Non so, probabilmente sognavo di essere come Gengis Khan, l'Imperatore del mondo... Sa, sono figlio unico. Comunque da adolescente ricordo bene che la scienza non era per niente nei miei pensieri».
 

COVER LIBRO ROVELLICOVER LIBRO ROVELLI

E che cosa la interessava?
«Appartengo a quella generazione un po' ribelle che voleva rifiutare tutto e cambiare il mondo: ero più attratto dalla rivoluzione che dalla scienza. Ero un po' hippie».
È vero che fu anche arrestato?
«Sì sì. È che avevo fatto domanda per l'obiezione di coscienza, ma mi era stata rifiutata. Così, quando ho ricevuto la cartolina per presentarmi in caserma, con degli amici organizzai una manifestazione e mi consegnai come disertore».
 

E poi?
«E poi niente, alla fine ci hanno lasciato liberi e dopo un po' di tempo mi è arrivato il foglio di congedo».
 

Come mai si è iscritto a fisica?
«Alla fine del liceo classico avrei voluto fare il vagabondo, girare il mondo. Ma fra la questione del militare e poi qualche foglia di marijuana che mi trovarono in tasca, non potevo partire. Così mi iscrissi all'università a Bologna e scelsi fisica: un po' a caso, insomma».
 

CARLO ROVELLICARLO ROVELLI

Non è che fosse proprio uno studente modello.
«Nooo, neanche un po'. Del resto, se stai sempre nelle rotaie, fai quello che fanno tutti...».
Però ha trovato la sua strada.
«Ecco, il primo anno non feci niente, poi passai un altro anno a viaggiare col sacco a pelo, tutto il Canada coast to coast, e alla fine nel '78, quando tornai, capii che l'idea di cambiare il mondo si scontrava un po' con la realtà. Proprio in quel momento studiavo la fisica del Novecento e lì è successo: mi sono innamorato».

 

Così, all'improvviso?
«Sì, è stato un colpo di fulmine. Il libro racconta la fisica con gli occhi di me studente, quando me ne innamorai. Volevo capirla, studiarla: mi sono immerso. E ho trovato un problema che mi sembrava interessante, la gravità quantistica, di cui poi mi sono occupato per tutta la vita».
Come è riuscito a fare carriera accademica?
«Mi sono dato sei anni di tempo. Ho ottenuto una borsa di dottorato a Trento e Padova, era il primo ciclo attivato: sono stato uno dei primi “dottori” di ricerca del nostro Paese».
 

ROVELLI ROVELLI

E come è arrivato a insegnare negli Stati Uniti?
«Per qualche anno ho viaggiato, un po' a mie spese e un po' con borse private, per andare a trovare i colleghi a Londra e in America; poi ho scritto i primi lavori, che sono stati notati. E nell'89 ho ricevuto un'offerta per fare il professore a Pittsburgh. Sono rimasto dal '90 al 2000».
Si è trovato bene?
«Molto. A Pittsburgh ci sono i filosofi della scienza migliori d'America. Poi, però, dopo dieci anni, avevo voglia di tornare in Europa. Mi hanno proposto Marsiglia e sono arrivato nel 2000: bellissima, il mare, il cielo blu, la luce, le scogliere... Ho letto Izzo appena arrivato e me ne sono innamorato ancora di più».
 

Italia niente?
«Per la verità avevo vinto un concorso, come professore ordinario. E mi aveva chiamato il dipartimento di Fisica a Roma. Però il direttore del dipartimento ha insabbiato tutto, e quindi non se n'è fatto niente».
In che senso ha insabbiato tutto?
«Beh, a un certo punto mi ha chiesto: “Ti spiace se aspettiamo un altro anno?” e io: “No”. E poi ne è passato un altro, e un altro... alla fine ne sono trascorsi dieci».
 

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E non ha fatto niente?
«Io non è che insisto, non vado in un posto se non mi vogliono. Certo, mi sarebbe piaciuto insegnare alla Sapienza, portare all'Italia quello che ho fatto. Ma a Marsiglia sto bene, c'è un gruppo di venti ragazzi che lavora con me».
 

Ma tornerebbe?
«Sì. Se potessi avere le stesse cose che ho in Francia. L'Italia non è molto furba: potrebbe attirare menti molto più brillanti della mia, perché tutti vorrebbero venire nel nostro Paese, ma non lo fa. E per questo l'università italiana sta un po' morendo. Invece le grandi università francesi, americane e inglesi fanno ponti d'oro per fare venire le persone».
 

Di che cosa ha bisogno uno che studia la gravità quantistica?
«Di niente. Gessetti, una lavagna, dei quaderni. È un lavoro completamente teorico: bisogna conoscere le teorie attuali, leggere, provare a fare dei conti e vedere se poi le equazioni possono funzionare».

 

Non serve altro?
«Viaggiare per parlare con le persone che lavorano sulle stesse questioni: sono appena tornato da Pechino, prima ero in California. Questo è il mio costo. E un gruppo che lavora con me».
Quante ore lavora al giorno?
«Ventisei. Mi diverto tantissimo quando faccio fisica: se ho una domenica libera sono felice perché posso stare in casa, prendere un quaderno e fare i conti».
 

Matthew McConaughey  interstellarMatthew McConaughey interstellar

Non serve un laboratorio?
«No. Scrivi teorie ed equazioni e poi chi fa gli esperimenti dovrebbe verificarle. Per esempio, ora stiamo studiando l'ipotesi di una esplosione di buchi neri, una specie di “rimbalzo” della materia chiusa nel buco nero. Ci dovrebbero essere certi segnali: se gli astronomi li rilevano vuol dire che la teoria è giusta».
 

Come la gravità quantistica ci può aiutare a capire il mondo?
«È un problema centralissimo. Abbiamo visto che più o meno le leggi della fisica stanno dietro a tutto quello che vediamo; ecco, c'è un insieme di leggi fondamentali e potenti, che però hanno un buco, sono divise in due parti che non vanno d'accordo. La teoria della relatività da un lato, e la meccanica quantistica dall'altro. La gravità quantistica è lo sforzo di combinarle in maniera coerente».
 

Non ha mai pensato: è tutto troppo astratto? Inutile?
«Ah, ho pensato: forse sto sbagliando. Del resto lo scienziato cambia idea, continuamente: la scienza è un provare e riprovare. Inutile no, la scienza è un pozzo di utilità. Ha visto il film Interstellar? Lì la gravità quantistica salva il mondo...».
 

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Che cosa è fondamentale per uno scienziato?
«Amare la scienza alla follia. Altrimenti è un inferno».
A parte la fisica, che cosa le piace?
«Ho scritto da poco un articolo su Aristotele. Leggo moltissimo, di tutto. Conrad è la mia passione assoluta. Amo La storia di Genji, un capolavoro giapponese di mille anni fa, ma non la letteratura contemporanea».
 

Come mai?
«Mi annoia, descrive sempre lo squallore della vita quotidiana e io invece la trovo bella. Poi vado in barca a vela, ho un gozzo di cent'anni. E, se posso, cammino in montagna».
Un sogno?
«Credo chiudere tutto e poter solo pensare alla fisica».
 

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Che cosa ha di così bello la fisica?
«È la stessa bellezza di quando sei nato e cresciuto in un paesino e pensi che tutto il mondo sia così, poi esci, allarghi lo sguardo e scopri cose e idee diverse, che non avresti mai immaginato, un mondo vasto, bello, sconfinato, strano. Però bisogna andare a vederlo, non rimanere a rimuginare nei propri pensieri».
È un fisico romantico?
«È vero, sì. È anche per questo che il libro ha avuto così successo».
 

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Se lo aspettava?
«No, e neanche Adelphi. All'inizio voleva stampare solo mille copie. Poi la gente ha iniziato a scrivermi email, ero stupito, mi dicevano: grazie, mi hai aperto un mondo. Io ho solo raccontato la fisica, l'emozione che dava a me. Sa perché vende così tanto?».
Perché?
«Alla gente piace, così ne compra un altro e lo regala, tanto costa poco».
 

Perché agli scienziati si fa sempre una domanda su Dio?
«Non so. Io comunque sono ateo, l'ho sempre detto, senza polemiche. Spesso si associa l'essere scienziati o atei a una visione fredda, gelida del mondo che nega le nostre emozioni, i sogni, i desideri, i valori».
 

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Non è così?
«Non è che perché siamo fatti di atomi non ci innamoriamo o non soffriamo. Non c'è contraddizione fra essere romantici e naturalistici: del resto il nostro più grande poeta, Leopardi, era un naturalista».
Il sogno proibito di un fisico?
«Che la realtà dica sì a una delle sue teorie».
Secondo lei, chi sono i grandi scienziati di oggi?
«È impossibile rispondere. Sarebbe come domandare chi vincerà Wimbledon fra trent'anni...».

 

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