I PUGNI IN TASCA - “IO, TYSON: UN PORCO, UN BULLO, UNA MERDA, QUASI SEMPRE DROGATO: SONO DIVENTATO VECCHIO TROPPO PRESTO E INTELLIGENTE TROPPO TARDI”

TYSON: "CERCO SOLO TRANQUILLITÀ GETTATEMI NELLA POLVERE"

Emanuela Audisio per "La Repubblica"

La sua arroganza sul ring era splendida. Una rabbia genuina, i sottotitoli non servivano. Un mostro attraente. Brutto, sporco, cattivo. Ora ha gli occhi bui, le cosce grosse, e sbadiglia spesso. Un animale stanco che sbatte tristemente la coda. Da campione dell'eccesso a uomo dimesso. Letargico, cloroformizzato. Chiede un piatto di spaghetti con gamberetti. La solita voce da gattina.

Il tatuaggio maori che copre metà del viso non mette più paura, un vecchio graffito stinto. Più vere le cicatrici sulle sopracciglia. Mike Tyson, 47 anni, tanti soprannomi, da King-Kong al Cannibale, da Iron Mike a conte Ugolino della boxe. Ma anche tanta sostanza: il più giovane campione mondiale dei massimi della storia a soli 20 anni.

Un picchiatore, il re dei ko: 44 in 58 incontri. Vi staccava la testa senza problemi. Pure l'orecchio, masticato e sputato come un chewing-gum. Se soffrivate, meglio. A lui non fregava. Un bruto. Molto bravo e very fast. Ci sono cattivi mediocri, lui non lo era. Puntava al bersaglio grosso.

Era ripagato: vita da nababbo, 300 milioni di dollari in tasca. Tutti bruciati. In bancarotta dal 2003. Come e dove lo racconta nella sua autobiografia "True" (Piemme edizioni, dal 19 novembre in Italia) scritta con il giornalista Larry Sloman. Una vita pesante: droghe, pugni, alcol, dolore, solitudine, tradimenti. Un angolo disperato. Da cui oggi implora di uscire. Vuole una mano. «Sono diventato vecchio troppo presto e intelligente troppo tardi». Ha otto figli, una, Exodus, è morta a quattro anni nel 2009 strozzandosi per sbaglio con una corda. «E non avevo i soldi per il suo funerale, l'ho pagato con le offerte ».

Tyson, è stata una fatica scrivere?
«È stata una sofferenza, riandare indietro a tutto quello che mi è successo. E non mi sono nemmeno censurato. Non ne esco per niente bene. Un egoista, un porco, un arrogante, un bullo, una merda, troppo ubriaco, quasi sempre drogato. Erba e cocaina, insieme. Morfina. Allucinogeni. Malato di sesso. Abbonato alle orge, se non eravamo in venti non mi divertivo. Un manesco che sragionava. Per dirla con uno slogan: boxing, bitches and babies. Pugni, puttane, e bambini.

Non mi sono mai sentito amato, a quel punto chissenefregava di comportarsi bene. Sono stato a Saint-Tropez, belle feste e yacht da sogno, ma c'erano solo bianchi. Mi sono sentito a disagio, io sono un topo da strada, vengo dal ghetto. Da ragazzo non sapevo nemmeno cosa fosse l'igiene, nessuno mi aveva detto che bisognava pulirsi il sedere. Nel libro non ci faccio una bella figura. Ma non mi importa: io rivendico il ghetto, gli appartengo, non mi vergogno».

Però Hollywood veniva ai suoi incontri.
«Adoro Barbra Streisand, anche lei è di Brooklyn. È sempre stata carina con me, le ho anche detto che ha un naso molto sexy. Con Naomi Campbell ci siamo attratti, eravamo tutti e due agli inizi, mi hanno subito detto che dovevo lasciar perdere, lei stava diventando una modella importante.

Sono andato a Neverland da Michael Jackson che continuava a ripetermi quanto fosse importante riposarsi la notte e mi chiedeva: tu dormi? Come potevo sapere che si faceva fare delle pere micidiali per prendere sonno? Magic Johnson venne a testimoniare per me quando si trattò di ridarmi la licenza dopo il morso a Holyfield, ma le sue parole non mi piacquero per niente. Disse che voleva insegnarmi a diventare un uomo d'affari, che conoscevo i soldi, ma non li capivo, e li davo via. Che c'è da capire sui soldi? O li hai o non li hai».

E John Kennedy Jr. arrivò a trovarla in carcere.
«Nel ‘99 quando ero rifinito in prigione nel Maryland per un tamponamento, anche umano. Cinque mesi in cella. Conoscevo John da quando andava in bicicletta a New York, mi aveva invitato nell'ufficio dove pubblicava "George". John venne in aereo con l'istruttore.
Mi pregò di non dire alla sua famiglia della visita, non ero ben visto. Mi spiegò che era male aggredire verbalmente e fisicamente qualcuno. E che il mondo è pieno di stronzi da mandare a quel paese, ma dentro di te, senza urlare davanti alla gente.

Diceva che ero lì solo perché nero. Voleva portami con lui ad Aspen. Ma non ci sono neri ad Aspen, gli dissi. Ne convenne. Allora gli chiesi di raccomandarmi a una sua cugina, governatrice del Maryland. Avevo già fatto quattro mesi, me ne aspettava un altro. Non la conosco, mi rispose. Ma se giocate insieme a football ad Hyannis Port, replicai. Sorrise e se ne andò. Guarda caso, poco dopo fui liberato».

Le sue prigioni però non sono state un dramma.
«Tre anni per uno stupro non commesso. Ho fatto sesso sì, ne ero malato, ma in tante si sono approfittate e mi hanno fatto causa. Ho anche filmato i miei incontri a letto, ho comprato video porno nei negozi, usato il Viagra, dormito negli stripclub, ho tradito e ritradito, preferivo le spogliarelliste, già nude.

Non ne vado fiero, ma l'ho fatto. In carcere mi incontravo con una donna, varie volte al giorno, usavo lo stratagemma del vestito allacciato con dei bottoncini. Ordinavo i pasti fuori, pure per gli altri. Se qualcuno aveva bisogno, risolvevo io. Pagavo anche i funerali dei miei amici che nel frattempo venivano uccisi.

Chiamavo al telefono a carico del destinatario, poi mi sono anche procurato un cellulare. Il carcere non riabilita, anzi disabilita, diventi paranoico. Larry King venne ad intervistarmi, mi lamentai, non potevo mica dirgli la verità o che Versace mi mandava gli inviti. Sono sempre stato un material boy».

Tanto, tutto, troppo.
«Cafone, volgare, miserabile. Ce l'ho scritto in faccia. Entravo nei negozi e compravo tutte le Rolls, le amplificazioni dentro costavano più dell'auto. Presi la casa più grande del Connecticut: 13 cucine, 19 stanze da letto, volevo metterci 19 ragazze, la mia camera era di oltre 600 metri quadrati, mi sembrava di essere Scarface.

Per più di una settimana ho dimenticato a terra una sacca con 100 mila dollari. Mi piaceva la storia dei grandi pugili: Jack Johnson, campione dei massimi, avvolgeva un fazzoletto attorno al pene per farlo sembrare più grande e suscitare l'invidia sessuale dei bianchi. Joe Louis si faceva di coca e di donne. Ma di lui nessuno parla male. Il cattivo sono sempre stato io, non i falsi buoni. In tutte le cliniche di disintossicazione che ho frequentato c'erano attori, cantanti artisti.

Di loro non si sarebbe mai detto, eppure venivano da me a cercare roba. Io avevo tutto del tossico, ero riconoscibile, loro no. E questa è la gente che vuole insegnarmi come vivere? Si fottano con le loro belle maniere. Io sono scoppiato ogni volta che hanno tentato di rendermi mansueto. Non è la mia identità fare la scimmia ammaestrata. Prendete Holyfield: sul ring mi ha dato 15 testate, ma per tutti era un santo perché cantava i gospel. Mi hanno dovuto tenere in cinquanta. Ero una belva, molto più della mia tigre».

Che fine ha fatto Kenya?
gelosa di me. Dormivamo a letto insieme, la portavo ai miei incontri, la lasciavo in albergo e lei distruggeva la stanza. Ho dovuto comprare un camion con 18 ruote per trasportarla. Si è mangiata il tetto di una mia Maserati e ha mozzicato anche una signora che era venuta ad ammirarla. Gli animali sono strani, ti fanno avvicinare, e un bel giorno decidono che ne hanno abbastanza».

Las Vegas non è il posto migliore per una tigre
«Nemmeno per un leone, stava in giardino, metteva paura a tutti. Mi ha morso a un braccio, all'ospedale mi hanno dato sei punti, non ho detto che era stato lui, anche se l'avrei ammazzato»

Più bello stare lassù, in cima al mondo, o a terra?
«Meglio ora. Senza gloria. Non bevo più champagne, non ho la Ferrari ma sono più consapevole. Cerco di stare lontano dai guai, di non avere problemi, di non tradire mia moglie, di fare una vita normale. Mi sveglio presto, alle 4-5, faccio ginnastica, accompagno i bimbi a scuola, vado in palestra nel pomeriggio e la sera a nanna alle sette. Mi mantengo facendo l'ospite, documentari, pubblicità.

Guardo avanti, ringrazio di non essermi preso l'Aids, con tutti i rapporti non protetti con professioniste del mestiere. Ho avuto fifa quando ho iniziato a perdere peso, anche perché io sono ciccione di natura, ho tempestato i dottori, invece era solo un'intossicazione alimentare presa a Cuba».

La boxe di Ali aveva altre letture. La sua?
«Non ero Ali. Sono un depresso cronico, lo era anche mia madre, morta alcolizzata, mia sorella, obesa, si è fatta un tiro di coca sbagliato, e non si è più risvegliata, io ho fumato l'eroina da ragazzo, da piccolo mi addormentavo con un bicchiere di gin Gordon, a 11 sono passato alla cocaina. Di cosa stiamo parlando? La mia lista di farmaci è stata sempre lunga: Decapote, Neurontin, Zyprexa, Abiligy, Cymbalta, Wellbutrin XL, Tricor, Zocor. A parte qualcosa per il colesterolo sono tutte droghe, stabilizzano l'umore.

Mi battevo per me, per chi non ha soldi, ho rubato per comprarmi i vestiti per il funerale di mia madre, buttata lì senza una lapide. Mia madre non mi ha mai baciato, picchiava i suoi uomini, mai vista dare una carezza. Quando il reverendo Jackson mi ha ribattezzato, da grande, io mi sono portato a letto una corista, che avevo subito adocchiato. Volevate discorsi intelligenti sulla società?

Il pugilato l'ha salvata o condannata?
La boxe mi ha dato una grande opportunità. Non è colpa sua. Ancora non capisco come Cus D'Amato, che mi ha preso dal riformatorio e che per me è stato come un padre, abbia potuto vedere in me un campione del mondo. Avevo solo 13 anni, e nessuna autostima. Ma nella boxe ci sono squali e profittatori. Gente che si avvantaggia e guadagna su dolori e debolezze umane. I pugili sentono, mica sono scemi, D'Amato agli inizi mi aveva perfino portato da un ipnotizzatore»

Come va la disintossicazione?
«Sono pulito da due mesi e mezzo. Cerco tranquillità. Quando muoio voglio una lapide con la scritta: Ora sono in pace. Chiedo il funerale più povero del mondo. Nessun abito bello, nemmeno la bara voglio, buttatemi nella polvere. Ma sono sicuro che i pugili del futuro verranno a trovarmi, così come io sono andato sulle tombe dei grandi del passato. Prima ero qualcosa. Ora mi basta essere qualcuno. Per me e la mia famiglia ».
Sono pulito da due mesi e mezzo. Quando muoio voglio una lapide con la scritta: sono in pace. Prima ero qualcosa, mi basta essere qualcuno. Per me e la mia famiglia.

2. "Ero diventato così grande da scatenare l'invidia di Dio"
Estratto dall'autobiografia "True" di Mike Tyson

L'8 gennaio 1990 salii su un aereo per Tokyo. Scalciando e urlando. Non volevo combattere; in quel periodo avevo solo voglia di fare feste e scopare. Quando partimmo avevo messo su quasi trenta libbre. King era così preoccupato che mi offrì un bonus se fossi tornato al mio solito peso per l'incontro, previsto da lì a un mese. Non pensavo che Buster Douglas sarebbe stato un osso duro. Non mi preoccupai nemmeno di guardare i video dei suoi incontri. Avevo battuto senza fatica tutti quelli che l'avevano messo ko. L'avevo visto battersi per il torneo dell'ESPN quando io ero nella categoria inferiore e le aveva prese da Jesse Ferguson, quello che avevo messo ko nel mio primo incontro trasmesso dalla ABC.

Mi sentivo come i miei idoli Mickey Walker e Harry Greb. Avevo letto che Greb era così arrogante da dire all'avversario di non essersi allenato, perché lui non valeva il suo sudore. Quindi seguii il suo esempio: non mi allenai affatto. Anthony Pitts era lì con me. Si alzava presto e andava a correre con il mio sparring partner Greg Page. Ma io non ne avevo voglia.

Anthony mi diceva di aver visto Buster che ci dava dentro là fuori, correva con gli anfibi ed emanava nuvole di sudore. Non potevo mangiare perché volevo vincere il bonus promessomi da Don se dimagrivo, quindi bevevo un intruglio che in teoria doveva bruciare i grassi. Come secondo piatto mi facevo le donne delle pulizie. Era strano: le giapponesi sembrano così timide e introverse, ma per fortuna incontrai delle donne anticonvenzionali.

Mi chiedevano se avevo imparato qualcosa di nuovo in fatto di sesso dalle giapponesi, ma non avevo tempo di imparare. Non stavo facendo un corso di educazione sessuale: andavo solo a caccia di orgasmi.

Non dovetti nemmeno pagare le donne delle pulizie per scoparmele, ma davo loro laute mance perché avevo un sacco di yen. Mi sembravano le banconote del Monopoli. Le apprezzarono tanto da tornare e portare anche delle amiche.

«La mia amica vorrebbe conoscerla, signor Tyson. Le farebbe piacere accompagnarci, signore ». (...) Io non avevo seguito la faccenda, ma pareva che Douglas tenesse molto a quell'incontro e avesse parecchie ragioni per volermi battere. Nel luglio del 1989 si era convertito al cristianesimo, sua moglie lo aveva lasciato, poi sua madre si era ammalata senza speranza di guarigione e all'inizio di gennaio era morta, mentre lui si trovava al ritiro per gli allenamenti.

Non ne sapevo niente, e nemmeno mi interessava saperlo. La HBO stava dando grande risalto al fatto che Douglas combattesse per sua madre, ma in quel periodo la mia arroganza era tale che se anche l'avessi sentito me ne sarei uscito di sicuro con una frase del cazzo; qualcosa tipo che quella notte l'avrebbe raggiunta. L'incontro fu fissato alle nove del mattino a causa della differenza di fuso orario con gli Stati Uniti. Metà dei sessantatremila posti dello stadio erano vuoti. Don faceva schifo come promoter. Appena firmai con lui andò tutto a rotoli. Era come una nuvola nera. (...) Persi l'equilibrio. Caddi. Quando toccai terra il paradenti mi schizzò fuori dalla bocca, e mentre l'arbitro mi contava cercavo di rimettermi in piedi e al tempo stesso di raccogliere quell'affare. Agivo seguendo unicamente l'istinto, ero completamente andato.

L'arbitro mi abbracciò dopo aver contato fino a dieci. Tornai nel mio angolo del tutto annebbiato. Masticavo il paradenti senza nemmeno capire cosa fosse.
«Cos'è successo?» chiesi ai miei. «L'arbitro ti ha contato e hai perso, campione» disse Aaron. (...) Tornai nella mia stanza di hotel. Non c'era nessuna donna di servizio. Era strano non essere più il campione del mondo dei pesi massimi. Ma pensavo fosse solo un incidente di percorso.

Sapevo che Dio non se la prende con le creature piccole, che il fulmine stronca solo quelle grosse; gli animali insignificanti non fanno arrabbiare il Signore, solo quelli grandi lo turbano: deve tenerli sotto controllo per impedire che si montino la testa. Steso sul letto, pensai che ero diventato così grande da scatenare l'invidia di Dio.

 

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