"NON POTRÒ PAGARE LA CASA, SONO UN UOMO FINITO" – L’EX CARABINIERE-BROKER DI TRENTO CHE HA AMMAZZATO DUE FIGLI PRIMA DI TOGLIERSI LA VITA, FINO A DOMENICA AVEVA RASSICURATO LA COMPAGNA SULL’ACQUISTO DELL’ATTICO NEL QUARTIERE DI RENZO PIANO – GIOCAVA IN BORSA PER TENTARE DI RECUPERARE
Giampaolo Visetti per la Repubblica
DELITTO TRENTO GABRIELE SORRENTINO
Prima del martello c' è stato il sogno. Gabriele Sorrentino, come il Johann Buddenbrook di Thomas Mann, da due anni era riuscito a viverci dentro, restandone infine prigioniero: la "casa", ossessione tragica capace di scatenare forze ostinate e segrete, fino a mutare nell' epilogo di un destino che risucchia la vita. La propria, ma prima ancora quella di chi si ama: l' amore che tutto muove con una violenza capace di paralizzare il cuore e di trasformare un papà in un carnefice.
Non una dimora qualsiasi. Un superattico nel quartiere "Le Albere", disegnato da Renzo Piano e inaugurato quattro anni fa sotto i riflettori della gloria. Un prestigio e una bellezza eccessivi per i trentini fedeli alla misura, spaventati dalla fortuna. Qui, lungo i decenni della ricostruzione postbellica, c' è stata la "Michelin": la fabbrica delle lotte sindacali e del Sessantotto di Renato Curcio, di Mara Cagol e della prima facoltà italiana di Sociologia. Al posto delle catene di montaggio e del riscatto operaio, lungo il fiume Adige nel 2013 è sorta la cittadella più ambita e più odiata nella città del Concilio.
Il design di una globale archi-star. Da una parte il Muse, l' avveniristico museo di scienze in acciaio e cristallo. Dall' altra la biblioteca universitaria, scrivanie a vista e wi-fi. Le palazzine, stile nordico-metropolitano, in mezzo ai prati e a un giardino che cresce sotto le montagne. Prezzi selettivi, dal milione di euro in su, più alti che in centro storico.
Per questo pochi trentini vagheggiano il salto sociale nei loft che promettono di «andare in ufficio in canoa», oppure «a cavallo», o «facendo jogging ». La maggioranza invece non sopporta l' esibizionismo di chi "ce l' ha fatta". Un flop. Ieri mattina Gabriele Sorrentino, per l' ultima volta, si è svegliato qui. Con lui la moglie Sara, descritta come «troppo bella», e i due figli più piccoli, Alberto e Marco. Fuori, il vuoto.
Perché alle "Albere", ossia tra i pioppi, non vive quasi nessuno: troppo caro, troppo in vista, in qualche modo volgare. Una fila di edifici più in là abitano solo i nonni, genitori di Sara. Un architetto, tra i pochi domiciliati nel quartiere-fantasma per vip mai trovati, descrive la famiglia come «un incanto». «Il papà giocava con i figli nel parco sotto casa e passeggiava abbracciato alla moglie. La nonna faceva la baby sitter felice ».
Un luogo e un idillio che all' improvviso si rivelano una sentenza.
Lui ex carabiniere salito al Nord, aveva visto lo spazio per il salto di classe, insistendo per lasciare l' appartamentino a Mezzocorona, borgata a nord di Trento: un certo decoro, non il sentiero verso l' immagine del successo. Così la svolta: addio all' arma e al corso per elicotteristi, al grigio, alla "mediocrità". La moglie Sara si era spaventata. «Come facciamo - gli aveva chiesto anche domenica - dove troviamo tutti questi soldi?». Gabriele aveva risposto come il senatore Buddenbrook all' inizio della fine: «Per prendere la vita, prima bisogna fare la casa, il resto succede».
È così che, trasferendosi dalla periferia nel proprio sogno, l' ex carabiniere si era reinventato uomo d' affari, anzi di più, "operatore finanziario" a domicilio. Quel "resto" cruciale si è materializzato in un contratto "rent to buy", affitto capestro vincolato all' acquisto. O compri, o perdi tutto. E ieri mattina, quando Gabriele Sorrentino veste i due figli per portarli all' asilo, i fiumi carsici della sua esistenza si incrociano e straripano.
La moglie esce. Lui solo sa che tra poche ore ha quell' appuntamento: o versa le rate arretrate, o firma il contratto d' acquisto e salda 1,2 milioni, oppure viene espulso dalle "Albere". Davanti a Sara, la donna che molti gli invidiavano. Davanti ai suoceri, affascinati dal carabiniere mutato in finanziere. Davanti a tutti. Ma soprattutto davanti ai bambini che anche adesso cantano con lui nel salotto fuso con la terrazza, sopra gli alberi in fiore.
Da tempo giocava in Borsa. Sempre di più, per risalire. «Una silenziosa e disperata lotta contro la clessidra - dice il banchiere che ha cercato di salvarlo - contro l' ultimo granello di sabbia che lo spingeva verso il baratro». Nessuno sapeva, solo lui: i soldi per quelli vita non li ha. La moglie lo guardava, intuiva, pensava. Non una parola, solo la percezione che alla felicità del "prima" di quel sogno, sarebbe succeduto un "dopo" fatale. «Se non ce la facciamo - gli ha detto domenica nell' edicola sotto casa - rinunciamo. Non succede niente, restiamo noi». Troppo tardi.
La maledizione della "casa" era compiuta. Gabriele, ormai solo, aveva fatto tutto per i figli: li ha portati con sé. Il martello: un colpo, un altro. «Come se non dovesse - dice il pm Pasquale Profiti - restare niente». La moglie e la figlia più grande non c' erano: si sono salvate. Lui si è buttato dalla roccia che ogni giorno guardava orgoglioso dal tetto delle "Albere". Da lì l' ultima cosa che ha visto è stata quella "casa". Dentro, i suoi bambini immobili. Non ha spiegato, non ha chiesto scusa. Prima del martello il sogno, tutto, era finito.