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ARTSPIA - LA GIUNTA MARINO AFFONDA ANCHE LA SHOA. IL MUSEO NAZIONALE CHE DOVEVA APRIRE NEL 2015 PER L'ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE DA AUSCHWITZ NON SI FA PIU'. AL SUO POSTO UN BELL' ALLESTIMENTO COMMEMORATIVO IN UN EX CENTRO COMMERCIALE

 

Zaira Magliozzi e Massimiliano Tonelli per Artribune

 

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Su i dubbi, le opportunità, le lungaggini e le contraddizioni che riguardano la realizzazione del Museo Nazionale della Shoah di Roma avevamo già detto la nostra un anno fa. Ora la situazione sembra essere arrivata all’epilogo più amaro. Il Museo Nazionale della Shoah di Roma non si farà.?Almeno non così come era stato pensato dagli architetti Luca Zevi e Giorgio Maria Tamburini al fianco di Villa Torlonia, già residenza di Benito Mussolini.

 

 luca zevi luca zevi

Da giorni si rincorrono diverse ipotesi su quale sarà la nuova sede ma una cosa è certa, vista la volontà di inaugurare il museo per il 70esimo anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz – il 27 gennaio 2015 – non ci sono i tempi per realizzare un edificio ex novo. La decisione sarebbe – il condizionale è d’obbligo visto che l’assessore ai lavori pubblici di Roma Paolo Masini e quello alla cultura Giovanna Marinelli non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali – di realizzare solo un grande allestimento all’interno di una struttura esistente. Allestimento, peraltro, progettato da chi non è dato sapere. Accreditate indiscrezioni giornalistiche parlano con certezza del Palazzo Mostra dell’Arte Moderna all’Eur, che oggi ospita il centro commerciale in via di chiusura White Gallery, ma nulla è stato ancora confermato ufficialmente.?Si tratta, manco a dirlo, dell’ennesimo spreco dei fondi pubblici, tipicamente italiano.

 

 Lo store dell'Eur White Gallery Lo store dell'Eur White Gallery

Eppure il progetto, dal 2006 quando l’allora sindaco Veltroni ne propose la realizzazione, sembrava essere finalmente arrivato a una svolta. I terreni erano stati acquistati dal Comune per 15 milioni di euro (pagati con permute e compensazioni, ma pur sempre pagati) e la gara d’appalto per l’aggiudicazione dei lavori era stata avviata a maggio del 2013. Si stava aspettando solo di conoscere il nome dell’impresa vincitrice per procedere alla posa della prima pietra. Ma dall’insediamento della giunta Marino l’iter (già andato piuttosto lento durante tutta la sindacatura Alemanno) si arena e, a fine Agosto scorso, sui quotidiani nazionali escono le prime voci.

 

 

Sembrerebbe che l’assessore ai lavori pubblici di Roma si sia attivato per trovare un’alternativa al museo di Villa Torlonia spinto dalle forti pressioni della comunità ebraica. Da più parti era stata espressa la volontà di avere uno spazio commemorativo entro il 70esimo anniversario della liberazione di Auschwitz che ricorrerà tra poco più di un anno. Costi quel che costi (e chissà cosa avrà da dirne la Corte dei Conti, alla quale qualcuno ha già minacciato di ricorrere). Con l’obbiettivo di avere, all’inaugurazione, qualcuno dei superstiti dei campi di sterminio ancora invita.?Ma già in molti si sono mobilitati. Tra questi l’In/Arch, Istituto nazionale di Architettura, ha lanciato una petizione su change.org per chiedere al sindaco Ignazio Marino di mantenere le promesse e realizzare il museo così come era stato concepito e progettato.

 

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E per celebrare adeguatamente propongono “una solenne cerimonia di posa della prima pietra in quella data e, contemporaneamente, l’inaugurazione di una sede provvisoria del museo che possa ospitare un’esposizione temporanea dei materiali raccolti, fino alla conclusione dei lavori dell’edificio definitivo.”

 

 

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Certo è che tutta questa fretta, sorta solo ora, sembra sospetta.?Perché non pensarci prima? Il Settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz era noto. Si sarebbero potuti evitare quasi dieci anni di rinvii e ritardi. O forse ci si è resi conto che la realizzazione di un museo ex novo sarebbe andata per le lunghe protraendo quel senso di frustrazione già esasperato da tutti gli anni passati senza risultati?

 

Il sospetto che le lungaggini siano servite per arrivare a questa conclusione c’è. E forse, dopo tutte le critiche, si è preferito scegliere il male minore. L’operazione non ci convinceva in toto, soprattutto perché non scaturita da un concorso internazionale, ma farle fare questa fine, a questo punto della sua gestazione, è la cosa peggiore che si potesse immaginare.

 

Si dilapidano risorse pubbliche, si lascia un’area ormai di proprietà comunale in abbandono (senza nessun progetto alternativo), si priva la città di una nuova architettura contemporanea. E pensare che la Fondazione che doveva gestire il museo (e che forse gestirà anche l’allestimento nella nuova sede? Chissà) ha la sagoma dell’edificio progettato da Zevi&Tamburini perfino nel logo…

Zaira Magliozzi e Massimiliano Tonelli

 

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