ADUA, LA PRIMA MOGLIE - CONTRO NICOLETTA MANTOVANI, LA SEGRETARIA DIVENUTA MANAGER CHE ROVINO’ PAVAROTTI CON LE KERMESSE ROCK E POP: “LUCIANO AVREBBE VOLUTO ESSERE RICORDATO COME CANTANTE D'OPERA” – ‘’MI AVEVA CHIESTO DI PREPARARGLI UN PIATTO DI SEMPLICE PASTA AL POMODORO. STAVA COSÌ MALE DA NON POTERSI MUOVERE, NON RIUSCIVA A SCENDERE DALL'AUTO. PERCIÒ IO STAVO ALL'ESTERNO A PORGERGLI GLI SPAGHETTI MENTRE MANGIAVA’’ – PAOLO ISOTTA: LA SUA FORZA E I SUOI DIFETTI
Leonetta Bentivoglio per la Repubblica
Qualche profonda lacerazione affettiva si nascondeva forse dietro la superficie del lucente sorriso di "Big Luciano", uno dei più magnetici sorrisi che ci siano stati regalati da un' icona pop: diamo al mitico tenore una qualifica anti- classica guadagnata sul campo di una fama senza confini di generazioni, culture e nazionalità. Altro che divo dei melomani: la voce di Pavarotti è di tutti. Perché toccante e "piena d' argento", come sostiene in questa conversazione la sua prima moglie Adua Veroni.
Dieci anni fa, il 6 settembre del 2007, Pavarotti si spegneva a Modena per un cancro al pancreas, e ora si moltiplicano gli eventi in sua memoria lirici o "leggeri", cioè declinati sul registro dei Friends che hanno scandito soprattutto la seconda fase della sua carriera, segnata dal clamore cosmopolita e jet-set caratterizzante la tardiva fase della "Nico", fulcro di un amore pavarottiano morbosamente tampinato dalla stampa. Si sa che, nei primi anni Novanta, Pavarotti si legò alla giovane Nicoletta Mantovani, sua segretaria divenuta manager di spettacoli e incline al gioco della kermesse rock e pop.
Prima di "Nico", sposata da Luciano nel 2003, c' era stata Adua: «Se si conta il fidanzamento, la storia è durata dal '53 al '94», segnala la signora.
Pavarotti la conobbe a 17 anni e la portò all' altare nel '61, dopo otto anni di fidanzamento.
Hanno avuto tre figlie: Lorenza, Cristina e Giuliana. Scoppiò lo scandalo e ci fu il divorzio. Determinata e tosta, Adua restò in silenzio nel momento della massima tensione. E sparì dalla circolazione.
Oggi narra che in realtà, nell' epilogo di Pavarotti, fu spesso accanto all' ex marito, «che mi cercava di nascosto e che più volte venne a pranzo nella sua vecchia casa».
nicoletta mantovani luciano pavarotti
Come vi eravate conosciuti da ragazzi?
«Stavamo nella stessa scuola e ci siamo messi subito insieme. Lui aveva la voce che sappiamo, io ero stonatissima».
Custodiva con cura quella voce preziosa?
«Faceva esercizi quotidiani e vocalizzi. Sapeva che era il suo grande patrimonio. Era terrorizzato dai colpi d' aria. Dunque maglioni girocollo e grandi sciarpe. Uno sciarpone di Hermes diventò la sua coperta di Linus. Odiava l' aria condizionata: se si stava in macchina, anche in piena estate, niente finestrini aperti e tutti morti di caldo».
Cosa amava di più di Luciano?
«L' umanità. Era anche molto bello. Quando lo conobbi sembrava caratterialmente più maturo. Inoltre era altruista e generoso. Nutriva rispetto per le donne».
I suoi ruoli d' elezione?
«Rodolfo della Bohème e Riccardo del Ballo in maschera: personaggio che esprime amore, rispetto, amicizia. Doti che conosceva bene».
Perché la voce di Pavarotti è immediatamente riconoscibile?
«Ha in sé l' argento. Esprime voglia di vivere. Entra nel cuore e nell' anima».
Qualcuno dice che Pavarotti non sapesse leggere la musica.
«Non aveva la conoscenza musicale di un direttore d' orchestra, ma sapeva leggere alla perfezione uno spartito. In più aveva l' orecchio assoluto e un' intuizione straordinaria».
Chi lo ha aiutato maggiormente nella carriera?
«Agli inizi il soprano Joan Sutherland: da lei imparò l' uso del respiro per il canto. Fecero un tour di mesi in Australia, nel 1965, e questa partnership rappresentò una grande scuola per il mio ex marito. Joan gli faceva poggiare una mano sul proprio addome per fargli sentire come bisogna respirare nel canto lirico».
Pavarotti aveva una gigantesca fisicità. Come arrivò alle sue misure?
«Mangiando. Quella col cibo era una guerra persa. Lottava ma finiva sempre per soccombere ».
Lei cucina, Adua?
«Sì, come tutte le emiliane.
Ma era lui a voler cucinare. Era bravo nel mettere insieme gli avanzi, nell' inventare con i resti ».
Vi siete incontrati spesso nell' ultimo periodo della sua vita?
«Sì. Lo visitavo anche quand' era ricoverato. Non immagina quanta sofferenza.
L' ultima volta che lo vidi in ospedale ebbi la percezione che se ne stesse andando. Però il nostro penultimo incontro avvenne fuori dall' ospedale quando lui, già malato, volle farsi portare in macchina da me. Mi aveva chiesto di preparargli un piatto di semplice pasta al pomodoro. Stava così male da non potersi muovere, non riusciva a scendere dall' auto. Perciò io stavo all' esterno a porgergli gli spaghetti mentre mangiava».
pavarotti con adua veroni e figlie
Cosa pensa delle scelte crossover degli ultimi anni?
«Preferisco il Pavarotti classico. Si era fatto prendere troppo la mano. Comunque mi piacciono brani come Miserere con Zucchero e Caruso con Dalla».
Come definirebbe i Concertoni dei Tre Tenori?
«Un' operazione utile ad avvicinare il grande pubblico alla lirica».
E il concerto in onore di Pavarotti che si terrà stasera all' Arena di Verona?
«Luciano avrebbe voluto essere ricordato come cantante d' opera. Di questo sono certa.
Il resto non conta».
LA SUA FORZA E I SUOI DIFETTI
luciano pavarotti nicoletta mantovani
di Paolo Isotta per Corriere della Sera – scritto in morte di Pavarotti il 7 settembre 2007
Vorremmo ricordare il tenore emiliano com'era ai suoi esordi, rimuovendo i detriti limacciosi accumulatisi con gli anni. Da tenore «di grazia », emulo di Tito Schipa, il quale è ovviamente irraggiungibile, cantava nel «mezzo carattere» dell'Elisir d'amore e della Sonnambula. Possedeva un timbro delizioso ch'era immagine di giovinezza, fiati lunghi e sani e quella splendida chiarezza di dizione che non l'ha abbandonato mai.
Sotto quest'ultimo profilo, anche nei periodi meno felici, Pavarotti restava esempio d'una vecchia scuola italiana gloriosa: quando cantava si capiva ogni parola. Contemporaneamente praticò con lo stesso successo il repertorio «lirico»: a esempio, il duca di Mantova del Rigoletto. Lo si volle accostare a Beniamino Gigli e, ripeto, per bellezza di timbro e chiara dizione ne era un erede.
Ho un prezioso ricordo d'un testimone oculare quanto autorevole. Interpretava questo ruolo al Massimo di Palermo sotto la bacchetta del grande e burbero Antonino Votto. Rientrando il Maestro in camerino dopo la recita, borbottava: «Nunn' è ccosa!». Perché un direttore di tal calibro era scontento d'un delizioso tenore?
Pavarotti possedeva in radice difetti da definirsi in radice che i pregi della giovinezza dissimulavano ma non potevano cancellare. Egli era un analfabeta musicale, nel senso che non aveva mai appreso a leggere la notazione musicale: le opere doveva impararle a fatica nota per nota con un tapeur paziente. Questo è ancora il meno. Egli era a-ritmico per natura, non era possibile inculcargli se non in modo vago la nozione della durata delle note e dei rapporti di durata.
L'Opera lirica non è il canto del muezzin, è prodotto di accompagnamento orchestrale e richiede voci che s'accordino fra loro. S'immagini Pavarotti nel Sestetto della Lucia di Lammermoor... Per avere quest'eccezionale cantante si doveva passar sopra a molte, a troppe cose, e così si ricorreva a direttori d'orchestra abili nel «riacchiappare » il tutto quanto pronti a chiudere tutti e due gli occhi sul rispetto della partitura musicale.
adua veroni luciano pavarotti nicoletta mantovani
Questo difetto è con gli anni aumentato, giacché Pavarotti, il suo vero torto, non aveva e non voleva avere coscienza dei propri limiti. Col crescergli un ego caricaturalmente ipertrofico diventava sempre più insofferente delle critiche, anche solo degli avvertimenti affettuosi, come affrontava zone del repertorio che gli erano precluse dalla natura e dall'arte.
Da qui alle adunate oceaniche nei continenti, cantando egli con amplificazione, alle manifestazioni miste con artisti leggeri, magari più musicali di lui, alle canzoni napoletane detestabilmente eseguite, al suo abbigliamento carnevalesco, ai prodigi di cattivo gusto, è stato tutto un descensus Averni: ogni passo ti tira il successivo. E pensare che aveva cantato col maestro Karajan.
luciano pavarotti nicoletta mantovani