TE LO DO IO MASTERCHEF - BASTA CON L’IMPIATTAMENTO E LA FUFFA DEI CUOCHI SUPERSTAR, LA REGOLA IN CUCINA È MANGIARE SOLO COSE CHE LA NOSTRA BISNONNA RICONOSCEREBBE COME CIBO
Andrea Scanzi per il “Fatto quotidiano”
C’è un libro che non può sfuggire alla pletora di mangiatori che non ne possono francamente più di talent culinari, elogi dell’impiattamento e chef superstar. L’ha scritto Michael Pollan, giornalista 59enne e professore statunitense. Il New York Times lo ha definito “un intellettuale gastronomico liberale”. Pollan si è spesso occupato di cucina, con un approccio lodevolmente ortodosso. I suoi libri maggiormente di successo, pubblicati in Italia da Adelphi, sono Il dilemma dell’onnivoro e In difesa del cibo.
Con una prosa accattivante che a volte – volontariamente – si perde per mettere in pentola ancor più aneddoti, Pollan ha evidenziato negli anni i paradossi dell’alimentazione contemporanea e disseminato consigli minimi per sopravvivere (godendo). Ridurre la carne, possibilmente fino a eliminarla; mangiare cibo vero, abbandonando il concetto equivoco di “nutriente”; non avvicinarsi a cibi pieni di ingredienti misteriosi e dai nomi impronunciabili.
Soprattutto: mangiare solo cose che la nostra bisnonna riconoscerebbe indiscutibilmente come cibo. Per Pollan è la regola delle regole, che disinnesca tante velleità dei cuochi attualmente in voga e ribadisce il suo approccio in qualche modo “pauperistico”. Approccio che deflagra nel recente Cotto (Adelphi, pp. 505, euro 28).
Un antidoto al virtuosismo effimero degli chef televisivi (e non solo televisivi). Il sottotesto di ogni pagina è chiaro: “Non tiriamocela troppo”. Con il gusto del paradosso, e ancor più dell’affabulazione, Pollan riparte dall’origine di tutto – i quattro elementi – per costruire un dedalo di ricette e storie. Acqua, aria, terra, fuoco: niente di più, anche se quel poco è in realtà tutto. Una caccia al tesoro, inseguendo trucchi e magie non tanto di chi sa cucinare quanto di chi sa “ascoltare” gli elementi primigeni. Cotto è un libro che, per certi versi, sta a Hell’s Kichen e MasterChef come il vinile all’mp3.
Pollan sa bene che dietro il mondo dell’enogastronomia si nascondono le storie migliori, e lui questo fa: le dissotterra prima e racconta poi, con mano esperta e senza esagerare con spezie e artifici. Se il fuoco ad esempio rimanda al cuocere, nulla per Pollan incarna questa fase decisiva del cucinare come un viaggio nelle gigantesche fornaci del North Carolina, teatro di barbecue leggendari in tutti gli Stati Uniti.
Acqua e aria rimandano, tra le altre cose, al processo per certi versi ancora misterioso della fermentazione: lieviti e maestri birrai e formaggiai, che sanno domare germi e batteri. Pollan ama perdersi e divagare; così, dissertando proprio di fermentazione, trova il tempo di parlare di alcol. Perché gli uomini ne sono attratti?
In primo luogo, lo sono anche gli animali: gi elefanti si sbronzano di frutta fermentata e poi “letargici, cominciano a barcollare”; gli scimpanzè, se hanno una disponilità illimitata di alcol, rimangono in uno stato di “ebbrezza permanente”. In secondo luogo, forse la spiegazione della passione per l’alcol è davvero – come sostiene il biologo Robert Dudley – “l’ipotesi della scimmia ubriaca”.
I primati si nutrivano anzitutto di frutta; la frutta ammaccata, quando matura, fermentava attraverso i lieviti nella buccia e produceva alcol etilico; il primate, attratto dall’odore dell’alcol, se ne nutriva. E si sbronzava, proprio come oggi sono soliti fare gli umani.
PER Pollan la cucina è qualcosa di catartico e terapeutico. C’è, anche qui, uno stacco netto con gli aspetti modaioli di oggi e un rimpiangere il bel tempo che fu: quello dei padri e dei nonni, quando “la domenica ideale” era la pioggia fuori e il “profumo buonissimo” dei cibi cucinati in casa. Scrive Pollan: “Scoprii che, dopo aver dedicato alla cucina un paio d’ore, la mia solita impazienza si attenuava e riuscivo a impegnarmi, senza fretta, al progetto del pomeriggio”.
Qualcosa di molto simile, in tante interviste, l’ha ripetuta anche Ugo Tognazzi: la cucina come svago di qualità, come tramite per la concentrazione. Pollan prosegue: “Alla fine di una settimana passata davanti allo schermo, l’opportunità di lavorare con le mani – in effetti, con tutti i miei sensi – è sempre un cambio di passo gradito, non importa se ha luogo in cucina o in giardino. C’è qualcosa in questo tipo di lavoro che sembra alterare l’esperienza del tempo, e mi aiuta a reinsediarmi nel presente.
Non voglio dar l’impressione che tutto questo abbia fatto di me un buddhista: forse,però, in cucina un po’ sì. Mi sembra che uno dei grandi lussi della vita, a questo punto, sia di poter fare una sola cosa per volta, una cosa alla quale ti dedichi con tutta l’anima”. Il libro di Pollan è esattamente questo: “cambio di passo gradito”, “alterare l’esperienza del tempo” e “reinsediarsi nel presente”. Lussi enormi, che talora la vita pare concederti.