giampiero mughini

GIAMPIERO, GRAZIE DI ESISTERE! – UNA BELLISSIMA INTERVISTA TRATTA  DAL NUOVO LIBRO DI MUGHINI, "NUOVO DIZIONARIO SENTIMENTALE": “PER UNA VENTINA D’ANNI HO PAGATO IL PREZZO ALL’AVER SCRITTO NEL 1987 UN LIBRO DAL TITOLO ‘’COMPAGNI ADDIO’’ - RESTARE FUORI DAI GIORNALI È STATO COME RICEVERE UN CALCIO IN FACCIA - DELL’ESSERE UN SOLITARIO, UNO FUORI DAI CORI, UNO CHE COME UNICA TESSERA DELLA SUA VITA HA AVUTO QUELLA CHE TI FA VIAGGIARE SUGLI AUTOBUS, NE HO FATTO UNA RELIGIONE” – NANNI MORETTI (“NON LO INCONTRO PIU’”), LA TELEFONATA A MARIO CALABRESI, LA RISPOSTA A MOLLICA E L’ELOGIO A DAGOSPIA - LIBRO+VIDEO

 

DIALOGO CON UN AMICO CHE MI VUOLE BENE: INTERVISTA CON WILLIAM GORI

Estratto del libro “Nuovo Dizionario Sentimentale” di Giampiero Mughini pubblicato da Dagospia

 

 

 

mughini

WILLIAM GORI: Ciao Giampiero, mi fa piacere rivederti. Ci conosciamo da cinquant’anni ma in questi ultimi tempi non ci eravamo più sentiti né visti. D’altra parte io me ne sto a Como per i fatti miei, e non frequento più nessuno…

 

Giampiero MUGHINI. Anch’io frequento una decina di amici e non più che quelli. Nemmeno morto andrei a uno di quegli appuntamenti pubblici che Dagospia inchioda nella sua rubrica dal titolo “Cafonal”, congreghe di ruffiani che si incontrano a darsi pacche sulle spalle in favore di camera fotografica e a promuoversi a vicenda. E a non dire che se per caso qualcuno mi invita a cena e lì c’è gente che non conosco, per tutta la sera parlano solo di sé stessi, di quello che hanno mangiato il giorno prima, dove sono stati negli ultimi mesi, che cosa faranno nei loro rispettivi mestieri.

 

ALESSANDRA MUSSOLINI

Non esiste più nessuno che mostri curiosità per gli altri, voglia di ascoltarli, magari di imparare qualcosa. Dicessi che ho un tumore e che fra tre ore sarò morto, passerebbero immediatamente all’argomento successivo. Mi ricordo invece del tuo messaggio di solidarietà quando mi cancellarono dall’Albo dei giornalisti professionisti. Ne ricevetti pochissimi di quei messaggi. Da Luca Ricolfi, Gianni Mura, Claudio Sabelli-Fioretti. Non uno da quelli con cui avevo lavorato diciotto anni a “Panorama”.

 

Semmai mi spiace che su Wikipedia sta scritto che io sono stato “radiato” dall’Albo e chi legge non può non pensare che l’avessi fatta grossa per meritare un tale provvedimento. Una mia cara amica, Viviana, una volta me lo chiese con un’aria leggermente affranta: “Perché ti hanno radiato?”. Temeva che io le rivelassi una qualche mia indecenza che l’avrebbe delusa della nostra amicizia.

mughini cover

 

Se è per questo molti anni fa ti avevo mandato una lettera in cui ti dicevo che a suo tempo mi era piaciuto molto il tuo “Dizionario sentimentale” del 1992, quel libro in cui davi talmente maggiore importanza ai sentimenti individuali che non alla muffa delle ideologie.

E anche in quel caso eri stato fra i pochissimi a farlo, se non l’unico. Quel libro venne come circondato da una barriera di filo spinato costruita a forza di odio ideologico. Il settimanale in cui lavoravo, “l’Europeo”, pubblicò la recensioncina di un imbecille che provava a sfottermi.

 

“L’Unità” pubblicò un’articolessa in cui un misirizzi mi descriveva moralmente e intellettualmente quale una sorta di lebbroso da scansare. Era un articolo talmente feroce e aggressivo che dopo averlo letto lo nascosi, per impedire che la mia compagna (Michela) lo leggesse e se ne addolorasse. Lei a quel tempo non capiva perché subissi attacchi di tale veemenza.

 

De Benedetti Scalfari

Al momento in cui uscì il mio libro del 1991 su Telesio Interlandi, sulla “Repubblica” era apparso un articolo in cui era scritto che il libro stava andando talmente male quanto a copie vendute che alla Rizzoli ne erano preoccupatissimi. Telefonai al responsabile commerciale della Rizzoli, e lui mi disse che se tutti i loro libri stessero vendendo come il mio loro avrebbero fatto salti di gioia. Mandai perciò una lettera a Eugenio Scalfari dove smentivo in punta di fatto quel che era stato scritto sul suo quotidiano. Dopo due mesi mi rispose che non l’avrebbe pubblicata, perché quelle cose al suo giornalista le avevano riferite e perciò lui aveva tutto il diritto di scriverle.

 

UN GIOVANE GIAMPIERO MUGHINI CON UNA BELLA BIONDA

Era il prezzo che stavo pagando all’aver scritto nel 1987 un libro dal titolo Compagni addio, un libro che nessuno mi avrebbe pubblicato non fosse che in quel momento a capo della saggistica Mondadori c’era Giordano Bruno Guerri, e quel prezzo l’ho pagato per almeno una ventina d’anni. Venti e passa anni durante i quali era inimmaginabile che su uno dei giornali che volgevano a sinistra qualcuno parlasse positivamente del mio lavoro, innanzitutto dei miei libri. Succede. Ero uscito fuori dal mio ambiente naturale, dalle amicizie e dalle complicità generazionali che erano state le mie e non avevo più un pubblico intellettuale di riferimento. Di quel segmento della mia vita sono uso parlare come di una “traversata del deserto”. Più lunga ancora di quella patita da Charles de Gaulle, e se è lecito paragonare il piccolo al grandissimo.

 

montanelli

Epperò in quegli stessi anni un personaggio d’eccezione compare sul tuo orizzonte professionale. Indro Montanelli, il più grande giornalista italiano del secondo dopoguerra, ti invita a collaborare al quotidiano da lui fondato e diretto.

Le cose sono andate così. Nei primi anni Ottanta avevamo messo in piedi una squadretta da serie A a “Pagina”, la rivista mensile fondata da Aldo Canale. C’eravamo io, Ernesto Galli della Loggia, Paolo Mieli, Massimo Fini. Ne traemmo un mensile “terzista” nel senso che non si schierava con nessuno dei due schieramenti in lotta, quello di centrosinistra e quello di centrodestra. Eravamo anticomunisti ma non sferravamo al Partito italocomunista dei colpi sotto l’ombelico.

mughini cover

 

Eravamo ammirati da certe opzioni di Bettino Craxi, ma non ci piaceva nemmeno un po’ l’arroganza del vertice dirigente craxiano. Se a “destra” (italiana e non) si muoveva qualcosa di intellettualmente originale e stimolante, ne eravamo curiosissimi. Gente della “nuova destra” come Marco Tarchi e Stenio Solinas avrebbero potuto scrivere su “Pagina”, e mi pare che uno dei due lo abbia fatto.

montanelli

 

Stessissimo discorso per Indro, di cui noi tutti eravamo lettori accaniti. Era un “borghese” che a noi piaceva moltissimo, senza per questo approvarne tutte le valenze. Ciò che sarebbe ridicolo di chiunque. E siccome avevamo ideato una rubrica sotto forma di una “lettera” che inviavamo numero per numero  a personaggi comunque interessanti, decidemmo di inviarne una lui.

 

Paolo Mieli

La scrissi io. Era la primissima volta che su un giornale relativamente di sinistra degli intellettuali che provenivano dalla sinistra si rivolgessero a lui con ammirazione, meglio ancora con affetto. Dopo qualche tempo Indro mi telefonò a chiedermi di collaborare al “Giornale” su cui lui s’era inventato una rubrica a mia misura dal titolo “L’invitato”. Una collaborazione che sarebbe durata quattro o cinque anni, durante i quali Indro mi aumentò la paga per ben tre volte, ed è un argomento cui io sono sensibile, ossia che la qualità si paga.

 

Ero un “invitato”, eppure Indro mi piazzava spesso in prima pagina. Ricordo la volta che scrissi una sorta di “lettera aperta” all’allora ventenne figlio del commissario Luigi Calabresi e futuro direttore della “Repubblica”. Gli dicevo che ero quanto di più commosso dalla sorte di suo padre ma che avevo forti dubbi sulla reale colpevolezza del commando di “Lotta continua”. (In realtà non conoscevo gli atti del processo. Dopo aver letto tre volte le 600 pagine della sentenza di primo grado, di dubbi sulla loro colpevolezza non ne ho avuti più.)

 

mughini

Che impressione ti faceva trovarti sulle pagine di un quotidiano dove immagino fossero molti gli articoli che stavano accanto al tuo e che non condividevi?

Non è che in un giornale devi stare come al calduccio e stringerti a chi ti è attiguo. Un giornale più è un calderone di opinioni diverse e meglio è. Premesso che Indro né nessun altri hanno mai obiettato a dov’era un mio punto e virgola, la mia era purtroppo la sensazione di essere un “ospite” e non più che questo, di rivolgermi a un pubblico che in larga parte diffidava di uno con le mie origini. Del resto è stata la sensazione che ho avuto cento e cento volte nell’essere invitato a tante trasmissioni televisive, ossia di trovarmi in un ambiente cui ero fondamentalmente estraneo.

 

auriemma mughini

Per dirtela chiara e tonda, nessuno di quelli che frequentavo quarant’anni fa leggeva il quotidiano di Montanelli. Una mia amica con cui ero andato un paio di volte al cinema mi disse “Ma come fai a scrivere su un giornale fascista?”. Ecco perché dell’essere un solitario, uno fuori dai cori, uno che come unica tessera della sua vita ha avuto quella che ti fa viaggiare sugli autobus, uno che quando avvia un ragionamento non sa come lo concluderà, uno che ovunque vada non si toglie l’impermeabile perché ben presto andrà via, ne ho fatto una religione e questo fin da allora.

mario calabresi

 

Al punto da reputare dei perfetti imbecilli quelli che a tutt’oggi infiocchettano il loro dire con i termini “fascista” e “antifascista”, termini che nel terzo millennio non significano nulla di nulla. Neppure sotto tortura darei del fascista” a Matteo Salvini, uno con cui ho discusso civilmente le volte che me lo sono trovato di fronte in uno studio televisivo. Lui era altrettanto civile nei miei confronti, mi chiamava “dottor Mughini”.

il commissario luigi calabresi

 

Hai citato per la prima volta l’espressione “trasmissione televisiva” dopo un’ora che stiamo chiacchierando. Eppure sei uno di cui dicono che è “un personaggio televisivo”. E’ un fatto che sul piccolo schermo compari in continuazione, e che in questi ultimi anni della tua vita il tuo pane è venuto da quello e infinitamente meno dai giornali che sono ridotti allo stremo e che pagano degli spiccioli.

A volerne cogliere tutte le implicazioni, ci vorrebbe un libro a rispondere alla tua domanda. Sì, non ci fosse stata la televisione in questi ultimi dieci/quindici anni della mia vita dubito che sarei riuscito a pagare le bollette inerenti alla casa piuttosto grande in cui abito. Da quando nel 2005 è finita la mia avventura nel giornalismo a pieno tempo, ossia da quando mi sono dimesso dal “Panorama” di cui ero stato per 18 anni un inviato speciale, il mio rapporto con i giornali di carta è stato striminzito se non peggio.

 

feltri

Dopo la fine del mio “Uffa” quotidiano sul “Foglio”, nel 2006, in tutto e per tutto ho avuto una collaborazione di 4/5 anni con il “Libero” diretto prima da Vittorio Feltri e poi da Maurizio Belpietro, una collaborazione molto ben pagata e nella quale ero liberissimo di dire tutto quello che mi passava per la testa. Al passivo di quella collaborazione, se così posso dire, c’era il soprassalto che mi coglieva nel leggere alcuni titoli di prima pagina o nel leggere quello che scrivevano i lettori di “Libero”, gente con cui purtroppo avevo in comune solo il fatto di respirare.

mughini cover

 

A un certo punto mi sono chiesto se valeva la pena continuare a rivolgersi a un pubblico talmente lontano dalle mie latitudini preferite, e mi sono risposto di no. Sono andato via in punta piedi, dopo avere scritto due righe a Maurizio, che è un amico e che fa benissimo il suo lavoro.

 

Sarà stato il 2013 o il 2014. Da allora e fino all’ottobre del 2019, quando il direttore del “Foglio” Claudio Cerasa mi ha chiesto di bissare la rubrica “Uffa” e seppure questa volta in forma settimanale (più distesa, più ampia, più saggistica), non uno straccio di giornale di carta mi aveva chiesto una collaborazione. E questa la reputo la più grande offesa professionale che mi sia stata mai fatta. Che non era attutita dal fatto di mandare un paio di volte a settimana delle letterine amicali al Dagospia di Roberto D’Agostino, mio amico fraterno da quarant’anni, e inventore del più suggestionante format giornalistico online.

 

Hai risposto a una parte della mia domanda, ed è una risposta amara, forse amarissima

maurizio belpietro sulla terrazza dell atlante star hotel (2)

Amarissima senz’altro. Appartengo a una generazione per la quale la carta dei giornali ha un sapore speciale. Restarne fuori è stato come ricevere un calcio in faccia, almeno così io l’ho sentito in questi anni. Da quando sono tornato a scrivere per il quotidiano di Cerasa, sono felice come una pasqua. Non vedo l’ora che arrivi il martedì con il mio pezzullo in seconda pagina in basso. La carta canta…

 

Lavorare per la televisione non ti dà nemmeno una parcella di questa felicità?

mughini 4

Non ho mai pensato un solo istante che quello che faccio in televisione sia un lavoro. E’ un‘occasione per fare quattro chiacchiere fra amici e trarne un reddito, e per giunta è molto divertente. Io guardo poco la televisione, perché è troppo lenta per i miei gusti, ma mi diverto moltissimo a farla.

 

benito mussolini

I tipi e le tipe che ti sono attorno (a molti dei quali non affideresti il tuo cane perché lo portassero a passeggio), donne che non hanno un giornale in mano nemmeno a ucciderle e che stanno nella poltrona del trucco e parrucco un’ora e mezza, viceversa donne che ti fa piacere averle accanto perché sono vive e vitali (Hoara Borselli per dirne una), le parole e gli sproloqui che ti volteggiano addosso, la velocità con cui devi intervenire e ribattere, l’improvvisazione continua di cui devi essere capace, l’idea che a casa sta il pubblico il più diverso e il più lontano di cui devi conquistare l’attenzione, il sapere che se un ragionamento lo protrai per oltre 40 secondi quel pubblico ti seppellisce.

 

Dato che in televisione ci vai talmente spesso che ne pensi di quelli e quelle che sui giornali vengono chiamati “opinionisti” e questo per il fatto che aprono bocca a dire la loro.

Sono solito dire che se qualcuno mi definisce “opinionista” per le volte che vado in tv, lo querelo. E’ successo in questi ultimi anni che il talk-show, ovvero lo show fatto di parole e basato sulle parole, sia divenuto lo spettacolo il più frequente nel palinsesto televisivo di tutti i canali e questo per il fatto semplicissimo che è lo spettacolo a più basso costo di tutta la tv.

 

mughini alba parietti live-non è la d'urso

Chi accusa il mio amico Fabio Fazio di costare troppo alla tv pubblica non sa che qualsiasi altro spettacolo di prima serata al sabato o alla domenica costerebbe alla tv pubblica due volte quello che costa il lavoro di Fabio. E dunque talk-show a tutta forza animati da personaggi di cui è importante che il pubblico li riconosca, uomini o donne che siano, e meglio ancora se pronunciano esattamente quel che il pubblico si aspetta da loro, ovverosia porcate inenarrabili, meglio ancora se alimentano “il telescazzo”.

 

nanni moretti 3

Durante una trasmissione condotta da Maurizio Costanzo sentii dire una volta da Alessandra Mussolini che la Lolita di Vladimir Nabokov era “un romanzo pornografico”. Alla fine della puntata mi avvicinai a lei e le dissi che mi stupivo che da un nonno talmente intelligente fosse venuta una come lei.

 

Nel dirmi questo ti stai riferendo innanzitutto alla televisione popolare, quella che raccatta i personaggi più andanti o più patetici…

sgarbi mughini

Esattissimo. Sto parlando della televisione popolare, quella che a me piace fare, non quella di mezzanotte e passa a Rai3 dove si fa il riassunto delle grandi vicende del mondo: per quelle ci sono i libri e le riviste e i giornali. No, no, a partire dalla magnifica esperienza del 1987-88 a fianco di Loretta Goggi su RaiUno, io ho sempre fatto la televisione popolare, con Maurizio Costanzo, con Sandro Piccinini a “Controcampo” (la più bella trasmissione calcistica degli ultimi 40 anni), più e più volte con Piero Chiambretti, alla serata finale di un Sanremo con Pippo Baudo, una serata da Paolo Bonolis, che è un fuoriclasse. Beninteso, oggi vado con piacere anche da due dame quali Barbara Palombelli e Veronica Gentili a commentare la cronaca pubblica del nostro Paese.

vincenzo mollica

 

Ma il tipo di televisione che frequenti e preferisci non rischia di fare talvolta a pugni con il tipo di libri che scrivi?

GIAMPIERO MUGHINI QUELLI DELLA LUNA

E come potrebbe essere diversamente?, sono due universi oggettivamente lontani. Carlo Emilio Gadda avesse partecipato a una “Prova del cuoco”, l’indomani per la strada la gente gli avrebbe chiesto di come cucinare la pasta alla carbonara e non del suo libro su Benito Mussolini, Eros e Priapo. Per quanto mi riguarda arrivo a temere che il frequentare la televisione popolare nuoccia ai libri che scrivo e che i miei editori propongono, anzi ne sono sicuro. Mi hanno riferito quel che va dicendo in giro Vincenzone Mollica, che è un mio caro amico e che ha fatto in televisione dell’ottimo giornalismo culturale: “Lasciate perdere il Mughini che vedete in televisione. Il Mughini vero è un uomo di cultura smisurata”.

mughini l'appello del martedì

 

Il che significa che a Vincenzone, uomo di gran gusto, il Mughini televisivo appare tutt’altra cosa che il Mughini dei libri e degli articoli. Me ne spiace molto di un tale giudizio, specie se espresso da un uomo della qualità di Vincenzone, e anche se non so spiegarmelo.

 

Non c’è un sorriso o un ghigno di quando vado in televisione di cui non sarei in grado di rendere conto innanzi a Dio o a chi per lui. Non c’è un mio sorriso o ghigno televisivo fatto per “piacere” o per arrivare più facilmente all’anima del telespettatore. Non c’è un sorriso o un ghigno fatto per dimenticare il dolore del vivere, l’arduo compito in cui consiste il comunicare tra esseri umani. Tu che ne pensi?

mughini compagni addio

 

Sì, credo di non avere mai visto sul tuo volto la dimenticanza del dolore cui fai riferimento. Ma io ti sono amico, il mio giudizio è partigiano. In questi tanti anni che ci conosciamo mi è capitato un paio di volte di sentire persone che ti spregiavano. Per dirne di una che conoscevo bene, Angelica Savinio, la figlia di Alberto Savinio, che pure è stata una bravissima gallerista d’arte a Roma. Per non dire delle tante volte che su un giornale quello che scriveva di televisione ti beccava senza pietà.

BENIAMINO PLACIDO

Dei tanti anni che vado in televisione ricordo soltanto due giudizi favorevoli al mio lavoro espressi su  un giornale, uno di Edmondo Berselli e uno di Oreste Del Buono. Sì, io sto antipaticissimo ai miei colleghi che scrivono di televisione sui giornali. Resta per me misterioso il caso più eclatante, quello di Beniamino Placido, che per anni ha tenuto una seguitissima rubrica televisiva sulla “Repubblica”.

 

ROSELLINA BALBI, GOLINO, PLACIDO E VILLARI

Conoscevo bene e stimavo Beniamino, così come conoscevo e stimavo sua moglie Nadia Fusini, un’intellettuale di gran classe. Quando stavo nella redazione di “Mondoperaio”, la più bella rivista italiana tra ultimi Settanta e primi Ottanta, avevo chiesto e ottenuto che ci collaborasse Beniamino. Ebbene, negli anni seguenti al mio debutto nella televisione popolare se Beniamino nella sua rubrica pronunciava il mio nome lo faceva seguire da un insulto.

 

Questo per anni. Mai ho replicato per iscritto. Solo una volta che ho incontrato Nadia in banca le ho detto che se mi fossi imbattuto in Beniamino,  gli avrei fatto fare il giro di Piazza Navona a furia di calci in culo. Era solo un modo di dire. Aveva una tale classe intellettuale che volevo bene a Beniamino. Era stato un totem per uno degli amici più cari della mia giovinezza, il Franco Moretti fratello di Nanni che è poi andato ad insegnare letterature comparate negli Usa e che adesso abita in Svizzera e pagherei non so quanto per rivederlo. Nanni mi conosceva per il fatto di essere amico di suo fratello, e per questo mi mise nel cast di un paio dei suoi bellissimi film. Anche lui adesso non lo incontro più, e me ne dispiace tanto.

giampiero mughini

 

La tua è una collezione di ricordi amari, di amicizie rotte, forse di rimpianti…

hoara borselli in vita da paparazzo 1

Nessun rimpianto, William. Quello che è successo è successo né poteva succedere altrimenti. Grazie a te di volermi bene dopo così tanti anni. Salutami Como, la città in cui ha vissuto ed è morto il mio grande amico Ico Parisi, un genio del design italiano degli anni Cinquanta al quale è dedicata la casa in cui vivo.

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