BUTTAFUOCO: DANNAZIONE, DAGOSPIA È DANNUNZIANO!

Giuseppe Pollicelli per "Libero"

Oggi cadono i 150 anni dalla nascita di una delle personalità più geniali che il nostro Paese abbia espresso, ma all'Italia la ricorrenza non sembra interessare, e pochi sono i connazionali dello di Gabriele D'Annunzio a cui importi ricordare la data. Del ristretto gruppo fa parte Pietrangelo Buttafuoco, secondo cui D'Annunzio continua a sopravvivere nell'anima profonda degli italiani, nonostante siano da sempre impegnati in una sciagurata attività di rimozione.

Dove e come, guardandosi attorno, ravvisa nell'Italia odierna la presenza di D'Annunzio?

«Il dannunzianesimo, nelle sue mille facce pur coerenti tra loro, è fra di noi. D'Annunzio fa parte della vena più profonda di noi italiani, non se ne va mai. Più ancora che in passato, le tracce sono oggi innumerevoli ».

Ce ne dica alcune.

«La lista è lunga. Quando Beppe Grillo afferma di voler fornire a quelli di Al Qaeda le coordinate di Roma affinché bombardino il nostro Parlamento,evoca il gesto dannunziano di Guido Keller che contestò il Trattato di Rapallo sorvolando Montecitorio e scagliandovi contro un pitale. Ma tutto il fenomeno Grillo, con il suo insistere su Internet come luogo di ogni possibile libertà, c'entra ben poco con il qualunquismo di Guglielmo Giannini e richiama semmai la Reggenza Italiana del Carnaro, proclamata a Fiume da D'Annunzio nel 1920: la prima realtà statuale in cui ogni istanza (dal divorzio al suffragio per le donne) fu recepita e formalizzata secondo leggi ben precise. Un'esperienza che disintegrava, già allora, le categorie politiche di destra e sinistra».

Altri esempi?

«La parabola esistenziale di Fabrizio Corona, anche nelle sue miserie, deve molto al modello di D'Annunzio. È dannunziano Roberto D'Agostino, il cui sito Dagospia altro non fa che attuare quanto teorizzato dal Vate negli scritti pubblicati sulla rivista Cronaca bizantina, in cui si affermava l'urgenza del racconto mondano. Oliviero Toscani, nel suo lungo sodalizio pubblicitario con Benetton, è artista dannunziano. È dannunziano Roberto Saviano, nella costruzione del suo personaggio e nel suo "aggirarsi" tra le macerie della Città della Scienza di Napoli. È indiscutibilmente dannunziano Oscar Giannino, esempio vivente di chi ha tentato di fare della propria vita un'opera d'arte, un capolavoro, per dirla con Carmelo Bene, uno dei pochi che di D'Annunzio sapeva come parlare».

Dove vede altri elementi di dannunzianesimo?

«Ripeto, un po'dovunque. Sicuramente nell'arte. Luchino Visconti, benché tesserato del Partito comunista, è stato l'interprete più fedele della nostra vocazione dannunziana. E Tinto Brass ha girato un Caligola così come lo avrebbe girato D'Annunzio. Per non dire di quella scena de La chiave in cui Stefania Sandrelli urina tra i canali di Venezia: una visualizzazione de La pioggia nel pineto. Alberto Arbasino è uno scrittore molto più dannunziano di quanto lui sarebbe disposto ad ammettere, e lo stesso vale per un romanziere la cui potenza e qualità di scrittura hanno pochi eguali, Aldo Busi.

Ma anche la politica è una straordinaria fucina di esempi. I girotondi di Nanni Moretti sono stati un'iniziativa dal sapore dannunziano. Perfino Berlusconi, ridotto a orbo vedente dopo un'intera vita lazzarona e mozartiana, sta vivendo, con le bende agli occhi, il suo notturno dannunziano».

Lei si è mai concesso qualche gesto dannunziano?

«Nel mio piccolo, magari insieme a Giuliano Ferrara quando scrivevo sul Foglio, qualcosa ho fatto. Le uova da tirare addosso a Benigni durante una serata sanremese erano un'idea dannunziana... In Venezia-Istanbul, Franco Battiato canta: "D'Annunzio montò a cavallo con fanatismo futurista, quanta passione per gli aeroplani e per le bande legionarie, che scherzi gioca all'uomo la natura". Vorrei completare questi versi dicendo che non della natura umana in generale si tratta, ma di quella italiana, la quale, suo malgrado, di spirito dannunziano è intrisa».

Perché, allora, questa volontà di rimuovere D'Annunzio?

«Deriva dal grande equivoco che ha nome fascismo. Equivoco che tuttavia non viene fatto valere per Pirandello o per la nostra archeologia o per la nostra architettura. Dipende dal fatto che D'Annunzio ci riguarda troppo da vicino, e svela troppo di noi, perché riusciamo ad accettarlo come dovremmo».

Lei come intende celebrare il Vate?

«Vi è un solo modo di celebrare degnamente D'annunzio: trovarlo dentro di noi, verificare quanto profondamente rispecchi la nostra identità».

 

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