IL CANE DA ‘’GUARDIAN’’ DEL POTERE - IL GIORNALE INGLESE CHE DOMINA L’INFORMAZIONE MONDIALE

Fabio Cavalera per il Corriere della Sera

Tabloid. Wikileaks. Datagate. O per dirla in altro modo: Murdoch, Assange, Snowden. Tre scandali e un giornale, il Guardian, che in tre anni strapazza e copre di vergogna gli editori, le diplomazie, i servizi segreti e i governi degli Stati Uniti e del Regno Unito. La trincea o il simbolo (vediamola come vogliamo) di un giornalismo serio, per niente esposto alle derive della spettacolarizzazione e della banalizzazione.

Con un editore coraggioso che guarda i bilanci, certo, ma non chiede genuflessione e che non scende a compromessi con la politica.

E' un vecchio quotidiano (fondato nel 1821), il Guardian, che sa essere moderno e autorevole, gradevole e magari elitario, illuminato e borghese. L'immagine di un quarto potere che non abdica, che non si piega alle convenzioni televisive, che non intervista i ministri e i viceministri, un quarto potere che nell'era delle tecnologie si ispira all'unico vero fondamento del giornalismo: scavare, capire, informare senza insultare, senza pregiudizi, senza anteporre la gloria del singolo redattore all'interesse e alla cura del lettore.

Non c'è una testata al mondo che in questi anni abbia acquisito il prestigio del Guardian. Ed è forse per questo motivo, nonostante venda solo 200 mila copie (ma 200 mila copie che contano), che dà tanto fastidio. Ha scoperchiato il caso dei tabloid che inseguivano scoop entrando nei telefoni e nei computer dei cittadini e ha polverizzato la rete delle complicità di Rupert Murdoch (dai vertici di Scotland Yard a Downing Street), costringendolo a chiudere il domenicale News of the World .

Ha spezzato il segreto di Stato (americano) sulle informative della diplomazia (il caso Wikileaks-Assange-Manning). Ha da ultimo aperto il capitolo sul «datagate», ovvero sullo spionaggio di massa effettuato dall'intelligence Usa, la Nsa, e dalla corrispettiva agenzia britannica, inducendo la Casa Bianca e Downing Street a inventare imbarazzate difese.

Contro questo bastione di giornalismo «normale», che dovrebbe essere normale e che sta alla larga dai salotti del potere, nelle ultime settimane si sono provate intimidazioni di ogni sorta, lievi e meno lievi.

Il partner del reporter che segue il «datagate» è stato fermato e sottoposto alla legge sul terrorismo. E il direttore, Alan Rusbridger, costretto a ricevere la visita di due 007 mandati da Downing Street che lo hanno assistito nella distruzione delle memorie dei computer con i documenti del «datagate» e dello spionaggio della Nsa americana.

Arroganza inutile perché non potevano non sapere che esistono copie al sicuro di quell'immenso archivio di informazioni fornite dalla «talpa» Edward Snowden. Come il Washington Post del caso Watergate, il Guardian è oggi la trincea di un giornalismo che non va al seguito delle mode, dei prepotenti e degli incantatori di serpenti. E' questa la stampa che merita rispetto e va difesa, un bene collettivo a tutela della libertà di tutti. Il resto è un immenso teatro degli inganni. Spesso con i giornalisti compartecipi.

 

 

GUARDIAN logoRupert Murdoch Wikileaks SNOWDEN A MOSCA CON LE RAPPRESENTANTI DI HUMAN RIGHTS WATCH National security agency United States of America ALAN RUSBRIDGERStampa britannica e il direttore del Guardian Alan Rusbridger

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