LA CANNES DEI GIUSTI - “ALTRO CHE SUORA! PUTTANA!”. LA GRANDE PROTAGONISTA SENZA MORALE DELL’”ARTE DELLA GIOIA”, SERIE ITALIANA TARGATA SKY E DIRETTA DA VALERIA GOLINO, SI MATERIALIZZA SULLO SHERMO AL FESTIVAL - GRAZIE ALLA SOLIDITÀ DELLA MESSA IN SCENA DELLA GOLINO E DELLA SCENEGGIATURA, LA SERIE SI IMPONE COME UNA NARRAZIONE DI GRAN CLASSE NEL MONDO NON SEMPRE COSÌ BEN CONTROLLATO DELLA NOSTRA FICTION... - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
“Altro che suora! Puttana!”. Non so se più vicina alla “bitch” dei grandi noir e delle serie di Ryan Murphy o alla Bella Baxter onnivora, desiderosa di sapere tutto, a cominciare dal sesso alla poesia, di vivere la sessualità senza freni, eccola finalmente materializzarsi sullo schermo, con anteprima esplosiva a seguire la masterclass della regista Valeria Golino a Cannes, Modesta, la grande protagonista senza morale dell’”Arte della gioia” di Goliarda Sapienza, ragazza “capace di uccidere per arrivare ai suoi obiettivi”, troppo in anticipo per i suoi tempi, in una grande serie italiana targata Sky, diretta da Valeria Golino, ma una puntata delle sei è diretta dal Nicolangelo Gelermini del non scordato “Fortuna”, prodotta da Viola Prestieri, interpretata da una sublime Tecla Insolia, oltre che dalle star del nostro cinema al femminile, Jasmine Trinca e Valeria Bruni Tedeschi.
Per il cinema delle brave ragazze italiane è una sorta di consacrazione dopo una stagione segnata dall’incasso di “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, dalla fortuna critica di Alice Rohrwacher, dalla forza di Jasmine Trinca come protagonista di “La storia” di Elsa Morante trasferita al cinema da Francesca Archibugi. E, grazie alla solidità della messa in scena della Golino, già regista di un ottimo esordio, “Miele” e del meno riuscito “Euforia”, e della sceneggiatura firmata con Valia Santella, Francesca Marciano, Luca Infascelli, Stefano Sardo, si impone come una narrazione di gran classe nel mondo non sempre così ben controllato della nostra fiction.
valeria golino sul set di l'arte della gioia
In questo caso si vede oltre alla cura produttiva, dalla fotografia di Fabio Cianchetti al montaggio di Gigiò Franchini alla musica fantastica di Toti Gudnason (“Joker”, “Soldado”), una cura di scrittura che deve molto al testo oggi incredibilmente moderno della Sapienza, ma anche al lavoro degli sceneggiatori.
Delle quattro parti nelle quali è diviso il romanzone quasi picaresco della Sapienza, scritto tra il 1967 e il 1976, nel pieno dell’Italia democristiana dove non era facile trattare temi come lesbismo, ricerca della propria sessualità, la lotta di classe, il furto, l’omicidio, l’aborto senza scontarne poi una penitenza cattolica, rifiutato quindi da tutti gli editori italiani, poi editato prima nel 1994 (ma solo la prima parte) e poi nel 1998 integrale dal devoto secondo marito della scrittrice, Angelo Pellegrino, caratterista del nostro cinema popolare (Fantozzi contro tutti…), grazie a Stampa Alternativa e solo nel 2008 recuperato da Einaudi dopo la riscoperta francese, gli sceneggiatori hanno ripreso solo la prima parte e l’inizio della seconda. Sei ore totali.
Che verranno spalmate in sala in due parti, la prima di tre ore dal 30 maggio e la seconda di tre ore dal 13 giugno. A Cannes però si è vista solo però la prima parte. La serie segue fedelmente lo schema narrativo del romanzo della Sapienza, e il percorso, appunto, picaresco, avventuroso ma anche un po’ alla Ripley se non alla Dexter di Modesta detta Maudit, i suoi rapporti prima con la madre superiore Eleonora, Jasmine Trinca, sessualmente repressa, che la ragazza provocherà, e poi con la madre di questa, la principessa Gaia Brandiforti di Valeria Bruni Tedeschi, che la ospiterà in un gioco perverso di scalata sociale.
Privo di gran parte della fascinazione letterarie della protagonista, che saranno sviluppate nel romanzo nelle parti successive, il personaggio di Modesta ha qui più uno sviluppo da dominatrice sessuale che non quello di una ragazza che cerca contemporaneamente con ogni mezzo di crescere e di avere la sua parte di mondo (“Ho sempre rubato la mia parte di gioia a tutto, a tutti” è la frase che apre la serie).
Ma anche così c’è modo di costruire un’eroina che la nostra narrativa negli anni ’60 - ’70 non avrebbe accettato, con tutto il sangue che si porta dietro, ma che da quelle esperienze anche politiche nasce, più “puttana” (bitch) insomma che santa, malgrado l’ossessione per Sant’Agata, protettrice di Catania e i suoi seni tagliati, che usa il sesso come un’arma di conquista per poi scopare chi vuole lei.
Anche se la parte lesbo è molto forte nella serie, anche grazie all’interpretazione di gran classe, ambigua, seducente e spiazzante di Jasmine Trinca, nella seconda, con l’arrivo di Guido Caprino in versione macho a cavallo (sì, un po’ fa ridere…) la situazione si ribalta e Modesta trova sessualmente quello che cercava fin dall’inizio. Dividendosi tra maschi e femmine, possibili madri e padri, in un delirio di ruoli che non sono mai fissi, perché sembrano adattarsi alla costruzione sociale che impone la protagonista.
Divide così il letto con Beatrice, Alma Noce, ufficialmente figlia di Gaia, ma in realtà proprio della madre superiora Eleonora e del fattore Carmine, cioè il suo amante, sposa il deforme Principe Ippolito, che soddisferà con poco interesse, che la madre, Gaia, non ha mai voluto vedere. Come in “Poor Things” la mancanza di moralità e di rimorso della protagonista, salvo prendersela con la propria ombra, fa del suo personaggio Modesta/Maudit una sorta di anti-eroina in crescita che il femminismo post Metoo ha solo ora gratificato in quanto necessario alla sua liberazione. Ovviamente da vedere.