LA CANNES DEI GIUSTI - ARIDANGHETE CON IL PIANTO SUL CINEMA ITALIANO CHE NON VIENE PREMIATO E SUI GIURATI CHE SNOBBANO I NOSTRI FILM. ADDIRITTURA LA COLPA E' DEI SOCIAL! - MA PENSARE CHE “IL SOL DELL’AVVENIRE” DI NANNI MORETTI FOSSE UN FILM MODESTO, CON TUTTE QUELLE CRITICHE INTERNAZIONALI NEGATIVE, NO? COME PUOI SPERARE DI VINCERE QUALCOSA SE UN FILM È MASSACRATO DAL “GUARDIAN” AL “LOS ANGELES TIME” FINO A “HOLLYWOOD REPORTER”? - IL PROBLEMA E' CHE SIAMO FERMI A UN MODELLO DI CINEMA MORETTIANO DA SALOTTO DI NONNA SPERANZA...
Marco Giusti per Dagospia
nanni moretti il sol dell'avvenire
Aridanghete! Con il pianto secolare sul cinema italiano che non viene premiato a Cannes, con i giurati che snobbano i film italiani. Peggio della Meloni con Macron. Sob! Ma che ve state a inventà, come direbbe Monnezza.
“Forse bisogna iniziare a pensare che Cannes non è il paradiso in terra per il nostro cinema e che non possiamo continuare a lasciare che la promozione internazionale delle nostre opere sia gestita da francesi e inglesi”, scrive con toni accorati Paolo Mereghetti sul Corriere dove aver stroncato ferocemente tutti i film premiati dalla giuria presieduta da Ruben Ostlund.
Gli fa eco Alberto Crespi su “Repubblica”: “Rapito, Il sol dell’avvenire e La chimera sono tre film belli e importanti ma non era l’anno giusto non era la giuria giusta”. Hanno sempre torto gli altri, no? E il cornuto è sempre l'arbitro. Ti pareva.
E prosegue indicando nella giurata Julia Ducourneau, la regista di “Titane”, il film Palma d’Oro premiato “assurdamente” per Crespi (ma perché assurdo?), che Moretti maldestramente irrise l’anno del flop di “Tre piani”, la nemica che ha covato un rancore da social nei confronti del film del nostro eroe nazionale, scordando quanto lei si fosse dichiarata pazza dei film italiani di genere.
“Oggi si vince anche sui social ed è probabile che altri, sui social, siano più forti e abili di noi. Bisogna lavorarci”. Quindi, la colpa sarebbe nella mancanza di uffici stampa e nel cattivo uso dei social, fatemi capire? La qualità o la scarsa qualità del cinema italiano non si discute. Mai. Alla faccia dei melonismi e dei macronismi.
Andiamo per ordine. Quest’anno avevamo ben tre, dico ben tre film italiani in concorso, cosa poter voler di più? Per Crespi erano tutti capolavori. Non si discute. E per Mereghetti erano mal lanciati dagli uffici stampa. Boh!?
Ma pensare per un attimo che “Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti fosse un film modesto, con tutte quelle critiche internazionali negative, no? Come puoi sperare di vincere qualcosa se un film è massacrato da critici importanti del Guardian e del Los Angeles Time e di The Hollywood Reporter (quello vero, non quello inutile italiano)?
O pensare che qualche film “moderno” fosse più moderno de “La chimera” di Alice Rohrwacher, no? O che una giuria che ha come presidente il Ruben Ostlund di “The Square” e come giurato, appunto, la Julia Ducorneau di “Titane” non può sapere molto del potere della Chiesa nell’800 italiano e che, alla fine, anche un film, per me, bellissimo, come “Rapito” di Marco Bellocchio potesse apparire un po’ lontano se non ostico, no?
E, detto questo, ricordiamo che Bellocchio, veterano di Cannes, ha già vinto premi. E’ un vecchio abbonato.
E, ripeto, uno come Ruben Ostlund ha tutto il diritto, magari sbagliando, per carità, di vedere come vecchio cinema il nostro cinema dei maestri e di premiare quelli che possono essergli più vicini come la Justine Triet di “Anatomie d’une chute” o il Jonathan Glazer di “The Zone of Interest”.
Io, giurato, premio quelli che mi somigliano, non chi fa un cinema lontano da me, che non mi interessa. Eddai. Giustamente “Il sol dell’avvenire” piace ai francesi barbogi, come agli italiani settantenni del cinema Eden di Prati o ai pensionati del gruppo De Benedetti, che vanno a piangere calde lacrime sul passato che fu.
Le mie figlie, e le figlie di molti, non sono interessate ai film di Moretti. Da anni. Ma c’è un problema diverso e ben più profondo rispetto ai non premi. E balzava subito all’occhio. Cannes mette tre film italiani in concorso, il vecchio maestro Bellocchio, il non così vecchio maestro Moretti e l’ultima opera di Alice Rohrwacher, creatura nata e cresciuta a Cannes.
Però non c’è nemmeno mezza opera prima o seconda in nessuna altra rassegna collaterale che testimoni una vitalità del nostro cinema, cioè una vitalità produttiva, o un interesse per la nostra cinematografia da parte del comitato di selezione.
Quindi il disastro di Cannes, di questa Cannes, ma anche di parecchie Cannes passate, è la mancanza di un cinema moderno, attuale. Mentre si seguitano a produrre film nati all’ombra dei maestri che seguitano morettianamente a pensare al passato, al cinema che fu. E oggi non esiste proprio più.
E, allora, ci si dovrebbe domandare cosa stanno facendo le scuole di cinema in Italia? Dove sono i nostri giovani registi? Perché non si producono opere prime di valore mentre al mercato di Cannes passano i film di Veltroni e Avati? Questa dovrebbe essere la prima domanda da farsi. Ma va detto pure che non sempre la colpa è dei produttori.
Da una parte, infatti, c’è l’eterna osservazione che una borghesia vecchiotta e ignorante non può che produrre figli ignoranti come i padri che faranno irrimediabilmente brutto cinema di scarso interesse. Perché? Perché non hanno niente da raccontare.
Il massimo dei nostri dolori, oggi, sono aver perso Fazio e Annunziata in tv, con programmi che nessun giovane vedeva più da vent’anni. Volete fare il paragone con le ragazze tunisine, marocchine, senegalese che abbiamo visto a Cannes che girano film, di solito prodotti dai francesi, su una realtà più violenta della nostra, ma anche più interessante e vitale, affrontando temi ben più consistenti? “Atlantique”, “Saint Omer” erano grandi opere prime… E quest’anno c’erano altre incredibili opere prime georgiane, giordane, tutte voci di paesi lontani con qualcosa da dire. Noi non produciamo, di solito, quelle cose lì.
Siamo fermi a un modello di cinema morettiano da salotto di Nonna Speranza. I più bravi, sottolineo i più bravi, o fanno cinema indipendente su temi forti, come Jonas Carpignano, o fanno tv, serie violente di più o minor successo.
Se io fosse un ventenne e volessi fare cinema non farei l’opera prima di papà, almeno credo, cercherei di fare un cazzo di serie violenta in tv, come il regista giovane irriso da Moretti, il cattivo regista, perché quello mi interessa di più la sera quando accendo il televisore. Perché con quel cinema sto crescendo. Non con i mal di pancia per il comportamento del PCI durante i fatti d’Ungheria.