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CHARLIE FOREVER - LA VITA SPERICOLATA DI CHARLIE PARKER, UNO DEI PADRI FONDATORI DEL BEBOP MORTO 70 ANNI FA A 34 ANNI - IL SASSOFONISTA RIVOLUZIONÒ IL LINGUAGGIO DELLA MUSICA AFROAMERICANA, "DECOLONIZZANDO" IL JAZZ E TRASFORMANDOLO IN UN GENERE ELITARO, FATTO SU MISURA PER I NERI - LA SUA INFLUENZA SUL JAZZ È TALE CHE IL PIANISTA LENNIE TRISTANO DISSE CHE "BIRD" AVREBBE POTUTO ACCUSARE DI PLAGIO TUTTI COLORO CHE AVEVANO INCISO JAZZ DOPO DI LUI - QUANDO MORÌ, IL CORONER DISSE CHE SEMBRAVA AVESSE ALMENO TRENT’ANNI IN PIÙ A CAUSA DI TUTTA L'EROINA E L'ALCOL CHE ASSUMEVA…. - VIDEO
Estratto dell'articolo Helmut Failoni per “la Lettura - Corriere della Sera”
Quando il 12 marzo 1955 morì a casa dell’amica mecenate di jazz Pannonica de Koenigs-warter (1913-1988), il coroner disse che quell’uomo gonfio e grasso, dal volto emaciato e dalla vita randagia, consumata da eroina e alcol, sembrava avesse almeno trent’anni in più dei suoi reali 34.
Il sassofonista Charlie Parker (1920-1955) — inarrivabile improvvisatore, fra i più grandi jazzisti di sempre e uno dei padri fondatori del Bebop — ebbe una vita brevissima, ma nel suo breve tempo rivoluzionò il linguaggio della musica afroamericana. […]
Dopo la morte di Parker, il pianista Lennie Tristano (1919-1978) disse che se Parker avesse voluto invocare le leggi sul plagio, avrebbe potuto accusare praticamente tutti coloro che avevano inciso jazz dopo di lui. […]
Suonava (e viveva) al massimo, Parker, le sue frasi musicali avevano un respiro nervoso e scattante. Unico. E tragico: sapeva estrarre dal sassofono contralto (anche) una ferocia prima di lui mai raggiunta. Era un lupo solitario. Nei flussi dei suoi assoli tormento ed estasi andavano di pari passo (lo si ascolti per esempio in Lover Man incisa per la Dial il 29 luglio 1946: da brividi). […]
Gli piaceva farsi chiamare Bird (è il titolo del film, peraltro infelice, che gli dedicò Clint Eastwood nel 1988, Oscar per il sonoro), «uccello», perché amava la libertà e la voce di quegli animali al punto da comporre brani quali Chasin’ the Bird, Ornithology , Yardbird Suite , Bird of Paradise. […]
Quest’anno ricorrono non solo i 70 anni dalla morte (12 marzo) di Parker, ma anche gli 80 dalla registrazione (26 novembre 1945 per la Savoy Records) di Koko , la sua prima incisione in veste di leader, con la quale si usa datare l’inizio del Bebop, sessione cui partecipò anche un giovanissimo Miles Davis (1926-1991).
Bird la compose utilizzando come base armonica la sequenza di accordi dello standard Cherokee di Ray Noble (1903-1978). La tecnica della «sovrascrittura» di nuove linee melodiche su armonie preesistenti, infittite e rese il più complicate possibile, nel Bebop era una prassi usata anche per costruire provocatoriamente il nuovo sul vecchio. […]
«Fu una rottura molto, molto forte. Contundente, direi. Il jazz — dice a “la Lettura” Enrico Rava (1939), il nostro jazzista più noto a livello mondiale — fino a quel momento era musica, sempre d’arte, ma popolare . La si ballava. Ai suoi concerti, Benny Goodman veniva acclamato e atteso all’uscita del club come una star. Con il Bebop il jazz perse quel suo essere popolare e la sua funzione coreutica, per diventare musica d’arte elitaria, di quelle che richiedono anche capacità d’ascolto. La tecnica venne portata a livelli prima inimmaginabili. Ciò che trovo straordinario è che i bopper stavano facendo qualcosa che prima non esisteva e il pubblico, a sua volta, ascoltava qualcosa che non aveva mai sentito prima. Capita con tutte le musiche nuove, ma con il Bebop il cambio fu particolarmente profondo».
Negli anni Settanta Philippe Carles e Jean-Louis Comolli nel libro Free Jazz Black Power , sostenevano che con il Bebop i musicisti neri volessero espellere le tossine che l’industria dei bianchi gli aveva imposto. Avevano raggiunto uno dei loro obiettivi: obbligare il mondo bianco ad amare o detestare la musica nera, ma non più a considerarla divertimento. Con questo atteggiamento anticommerciale, i bopper incenerivano tutto ciò che i jazzmen della generazione precedente avevano costruito. Parola d’ordine: demolire.
[…] Altre caratteristiche tipiche del Bebop, oltre alla velocità e alla frenesia esecutive, a una generalizzata indifferenza di fronte al pubblico, a un’esplosione ritmica che conferirà nuovamente alla percussione la sua funzione atavico/africana (e cubana), ci fu un’iniziale «disoccidentalizzazione» del jazz che esploderà negli anni Sessanta con il Black Power, Malcolm X, le Pantere Nere. Il Bebop divenne anche uno slang fatto di parole veloci, ritmiche, sincopate (Rap, Hip-Hop, Trap...: è la storia che si ripete...): in molti usarono il canto scat.
L’intervallo musicale più usato fu quello «dissonante» di quinta diminuita, l’esposizone dei brani avveniva all’unisono, con due fiati: Dizzy e Bird. Con il Bebop all’immagine cliché del jazzman divertente (Armstrong in primis ) si sostituisce quella del jazzista incompreso e maledetto. Luogo comune, che ha alimentato tanta letteratura (gli scrittori Beat amavano e citavano il Bebop): un maledettismo in cui Gillespie, per sua indole, non rientrava. Ma Parker, Bud Powell (1924-1966) e Thelonious Monk invece sì. La musica dei selvaggi, il jazz degli esordi, con il Bebop divenne così la musica degli sbandati, dei pazzi.
Il poeta afroamericano Langston Hughes (1901-1967) in una delle sue rubriche sul «New York Post» scrisse: «Un uomo dalla pelle scura può conoscere solo giorni scuri: il Bebop è la conseguenza di quei giorni. Perciò la vera musica Bebop è esasperata, selvaggia, frenetica, pazza e chi non ha conosciuto quei giorni non la può capire». Citando le sommosse afroamericane del 1943 ad Harlem, scrisse: «È il ritmo della polizia che con il suo manganello picchia sulla testa dei neri che ha ispirato il Bebop (...). Quel maledetto bastone fa Bop, Bop! Bebop!, Mop! Bop! ».
charlie parker thelonious monk, carles mingus e roy haynes
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Charlie Parker
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