IL CINEMA DEI GIUSTI - “ORECCHIE” DI ALESSANDRO ARONADIO È UNA BLACK COMEDY PIUTTOSTO RIUSCITA, BEN SCRITTA E BENISSIMO DIRETTA, CHE CERCA DI ALLONTANARSI DALLA INUTILITÀ DELLA COMMEDIA BORGHESE ROMANA CHE SEMBRA SEMPRE IL REMAKE ITALIANO DI QUALCHE COSA
ORECCHIE DI ALESSANDRO ARONADIO
Marco Giusti per Dagospia
“Secondo lei c’è ancora speranza nel mondo?”. Bella domanda. “No!” è la risposta. Lo stralunato protagonista di Orecchie, opera seconda di Alessandro Aronadio, nato a Roma e cresciuto a Palermo, sceneggiatore emergente e già aiuto di Franco Maresco, Giuseppe Tornatore, Roberto Andò, si sveglia una mattina con un fischio alle orecchie. Come fossimo in un film di Marco Ferreri o Rafael Azcona. E si trova un post-it sul frigorifero della sua ragazza che gli dice che è morto il suo amico Luigi. Ma chi è Luigi?
ORECCHIE DI ALESSANDRO ARONADIO
Si ritrova poi a contatto con una serie di personaggi e di situazioni che servono solo a aumentare il suo disagio. Un medico fascista che gli guarda in gola con un sigaro acceso che getta cenere ovunque, Andrea Purgatori, un altro, Massimiliano Wertmuller, che gli fa credere che è un ermafrodita per giunto incinto, una mamma assurda, Pamela Villoresi, un prete su di giri, Rocco Papaleo, la fidanzata che non sa che farsene dei suoi fiori, Silvia D’Amico, un suo studente rapper di successo, Re Salvador, l’amico che cerca casa per scopare.
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Ma mettiamoci anche Piera Degli Esposti, Milena Vukotich, Ivan Franek, una vera galleria degli orrori. Il protagonista, interpretato dall’inedito Daniele Parisi, una sorta di Fabio Traversa 2.0, attraversa questi gironi infernali di una Roma indifferente con la sofferenza abulica dell’Arthur Meursault de Lo Straneiro di Camus, non a caso subito citato. Come lui si deve confrontare fin dall’inizio con la morte e con una serie di incontri che non smuoveranno il suo malessere.
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Costruito con belle riprese a macchina fissa in un elegante bianco e nero firmato da Francesco Di Giacomo, Orecchie è una black comedy piuttosto riuscita, ben scritta e benissimo diretta, che cerca di allontanarsi dalla inutilità della commedia borghese romana che sembra sempre il remake italiano di qualche cosa.
Ritorna al Ferreri de L’udienza, civetta con un cinema anni ’60 e ’70 che da anni non si fa più offrendo ai suoi personaggi bei momenti di commedia. Ovvio che il film sia stato visto e apprezzato nei festival, da Venezia, dove è nato il progetto come Biennale College, a Bari, dove ha vinto il Premio Scola, come qualcosa di innovativo, anche se non sempre Aronadio riesce a amalgamare il suo materiale. Il cammino da riprendere per un cinema meno realistico e più di stile non è sempre facile. Rimane però una delle migliori commedie della stagione. In sala dal 18 maggio.
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