IL CINEMA DEI GIUSTI - PRONTO LO SCORSO ANNO, RIMASTO POI IMPASTOIATO NEL COVID 19, IL POVERO “MAGARI”, OPERA PRIMA DI GINEVRA ELKANN, HA TROVATO INFINE UN’USCITA – GRATIS – SU RAI PLAY QUALCHE GIORNO FA. SOLLEVANDO QUALCHE POLEMICUZZA PER LA PAGINATA DI “REPUBBLICA”, FORSE TROPPO APPASSIONATA. CHE DIRE? MI ASPETTAVO QUALCOSA DI PIÙ CORAGGIOSO. COSÌ SEMBRA CHE GINEVRA ELKANN VOGLIA ENTRARE NEL MONDO DELLA REGIA CON LA PAURA DI FARSI TROPPO RICONOSCERE” - VIDEO
Magari di Ginevra Elkann
Marco Giusti per Dagospia
Pronto lo scorso anno, indirizzato a Locarno piuttosto che a Venezia, con platea di parenti e critici dei giornali di famiglia, ripresentato per un’uscita in sala a marzo e rimasto poi impastoiato nel Covid 19, il povero “Magari”, opera prima di Ginevra Elkann, lungamente pensata dopo anni di studio, assistentati e di buona produzione e distribuzione con la Good Film, ha trovato infine un’uscita – gratis – su Rai Play qualche giorno fa. Sollevando da subito qualche ovvia polemicuzza.
Non tanto per il film in sé, quanto per la paginata di “Repubblica” pronta alla segnalazione forse troppo appassionata (Emiliano Morreale descrive un film che “sorprende per la delicatezza con cui racconta le relazioni tra i fratelli e per l' eleganza con cui risolve certe situazioni” dove “ogni stucchevolezza è evitata grazie a un' ironia appena un po' crudele, che però tende alla malinconia”) e rea di arrivare proprio a pochi giorni dal cambio di proprietà e di direttore.
Cosa che ha però oscurato la paginata dello scorso anno su “La Stampa”, a firma Fulvia Caprara, non meno appassionata. Ora. Non è facile prendere una posizione quando si scrive la recensione di un figlio o di un parente di un editore.
Ma, certo, non si può certo impedire a un qualsiasi regista di esprimersi e di parlare di sé e della propria vita. Ben venga, quindi, questo “Magari”, che Ginevra Elkann ha scritto assieme a Chiara Barzini, altra quarantenne, scrittrice, sceneggiatrice (da “Scusa ma ti chiamo amore” a “Don Matteo” a “Arianna”) e, ahimé, figlia d’arte, visto che il nonno è Luigi Barzini e il padre è l’Andrea Barzini regista di “Desiderando Giulia” e del più ricordabile “Italia-Germania 4-3”.
Quello che ne viene fuori è un po’ un frullato di due esperienze di vita diverse che hanno però in comune i magici anni ’80 come insegnano i Vanzina brothers, con tanto di pubblicità degli slip Roberta e di “Se mi lasci non vale” di Julio Iglesias, e un bel po’ di confusione sentimentale, per non parlare di disfunzionamento familiare, dovuto alla difficoltà dei genitori di diventare adulti, di confrontarsi col mondo, con i sogni, con personalità così invadenti e presenti come potrebbero essere un Gianni Agnelli o un Luigi Barzini.
Così Ginevra Elkann e Chiara Barzini mettono in scena una sorta di sfigata ma tenera vacanza invernale di tre ragazzetti italo-francesi, la piccola Alma di 9 anni, Oro De Commarque, e i due maschi più grandi, Milo Roussel e Ettore Giustiniani. Visto che la mamma, l’attrice garrelliana Celine Salette, prima buddista, poi cristiano-ortodossa, aspetta un bambino col suo nuovo uomo di origine russa e deve andare in Canada, i tre pargoletti vengono affidati al loro scombinato papà, il regista supervelleitario Carlo di Riccardo Scamarcio, che non sa davvero cosa fare di loro.
Prima cerca di affidarli alle cure dei nonni, la rediviva Florinda Bolkan e Giovanni Visentini, che fu Sgarbi in “Mutande pazze” di Dago, poi li acchiappa e assieme alla sua fidanzata-cosceneggiatrice Alba Rohrwacher li porta in quel di Sabaudia, nella sua villetta estiva, che di inverno è tristissima.
Il problema è che a Sabaudia i tre, prima dell’invenzione dei cellulari, di Facebook, della Playstation, non sanno cosa fare. Ogni tanto, però, lui compone una scena meravigliosa per il capolavoro che gli darà la gloria. Alba, che sembra l’unica con la testa, lo legge e lo bastona.
Tutto è visto attraverso gli occhi della piccola Alma, che è contemporaneamente sia la Elkann che rivede nella madre maniaco-religiosa la vera madre Margherita (penso…), sia la Barzini che rilegge nel personaggio del padre regista il suo vero padre regista fra alti e bassi (penso…).
Ma, in fondo, anche il personaggio di Alba sembra costruito un po’ come un omaggio a tutte le sceneggiatrici, a tutte le registe che per anni hanno dovuto ascoltare le fesserie dei maschi che volevano fare il cinema. Per realizzare non si capisce cosa.
Che dire? Capisco tutte le buone intenzioni, specialmente quelle di chi, donna, deve aspettare il suo momento in un mondo dominato da maschi, e, di certo, non è né un film sciatto né non ragionato.
agnelli famiglia ginevra elkann
Ha una bellissima fotografia di Vladan Radovic che illumina Sabaudia alla perfezione, ha una bella musica di Riccardo Sinigallia, la produzione di Lorenzo Mieli e Mario Gianani, ma credo che proprio l’idea del regista anni ’80 banalizzi il progetto delle ragazze, riducendolo al solito livello del cinema romano.
Così il film rimane un po’ in bilico tra il mondo delle Bruni Tedeschi che civetta con Garrel padre e Garrel figlio e quello delle brave ragazze di Trastevere che fanno il cinema da premi. Dopo i tanti film che ha prodotto, anche molto buoni come “Mektoub my love” di Kechiche, mi aspettavo qualcosa non di più personale, ma di più sperimentale o coraggioso. Così sembra, con tutta la delicatezza che l’operazione comporta, che Ginevra Elkann voglia entrare nel mondo della regia con la paura di farsi troppo riconoscere.
GINEVRA ELKANN, "MAGARI" LA STAMPA FOSSE SEMPRE COSÌ
Luigi Mascheroni per Il Giornale
Col progetto «La Rai con il Cinema Italiano» per otto settimane su RaiPlay passa un film in esclusiva. Primo titolo, giovedì scorso, Magari, opera d'esordio di Ginevra Elkann, scritta con Chiara Barzini. La prima è nipote di, figlia di, sorella di. La seconda è bisnipote di (Luigi Barzini Jr.). La casa di produzione è Wildside, di Lorenzo Mieli (figlio di). Può capitare.
La pubblicità del film sulla Rai (co-produttore) passa ogni 20 minuti.
Il film storia di tre fratelli molto legati fra loro e molto ricchi che vivono con la madre e poi si ritrovano scaraventati nell'esistenza del padre, ma nonostante le tensioni quotidiane continuano a credere che un giorno magari possano tornare a unirsi come un tempo - fu presentato al Festival di Locarno l'agosto scorso, poi causa Covid la distribuzione nelle sale è saltata e così ora va su RaiPlay.
Il primo giorno, per via di difficoltà tecniche sulla piattaforma Rai, pochi fortunati, e a ore tarde, sono riusciti a vederlo, cliccando e ricliccando per le continue interruzioni. Molti, a leggere Facebook, hanno rinunciato dopo infiniti tentativi.
Comunque, scaricabile gratis, il film in una settimana ha avuto 360mila view (dati non ufficiali). Ma non è che hanno contato come visualizzazione ogni tentativo di riavviare il film? C'è chi in mezz'ora ne ha fatti 35-40... Quindi?
Quindi il film presentato dai critici della carta stampata con toni elegiaci, gli stessi dalla pellicola, «Tra realismo e magia del quotidiano si afferma con forza una nuova voce del cinema italiano» è la critica più ingenerosa - è piaciuto molto.
Soprattutto alla grande stampa (che peraltro all'unanimità aveva apprezzato il corto della Elkann Vado a messa, 9 minuti!, proiettato a Venezia nel 2005). I giornali, si sa, da sempre amano gli Agnelli con lo stesso trasporto con cui gli Agnelli amano i giornali.
Comunque per lanciarlo la Repubblica - proprietà di John Elkann (fratello di) - ha dedicato un'intera pagina al film «che sorprende per la delicatezza con cui racconta... l'eleganza con cui risolve... dove ogni stucchevolezza è evitata...». E a noi, che lavoriamo da vent'anni al Giornale, rinfacciavano il fatto di scrivere per il quotidiano del fratello di Berlusconi... Come si fanno le faccine che ridono?
Il Messaggero, da parte sua, ha persino messo in prima pagina il richiamo alla recensione, e il Corriere della Sera che con gli Agnelli ha un certo legame da quando i secondi si vestivano alla marinara e il primo era ancora il Corriere - ha riservato una doppia intervista ai protagonisti, Scamarcio e Rohrwacher: «Così siamo entrati nella vita dei piccoli Agnelli». Del resto, come disse benissimo Troisi, «Tutti vorremmo essere un Agnelli».
ginevra elkann giovanni gaetani d aragona
Ora, la domanda non è: «Com'è il film?» (risposta: se togli l'autobiografia resta un film carino, un Muccino con meno urla o un Ozpetek senza gay, al più la prima Archibugi). Ma: «Come è possibile che i giornali diano così tanto spazio a un'opera prima?».
Come ha fatto notare un critico cinematografico su Facebook, se succede con il debutto di una giovane cineasta, significa che è un capolavoro assoluto. Casi simili negli ultimi anni sono pochi. Nemmeno quando Sorrentino esordì con L'uomo in più ebbe la prima pagina. Né Sollima, i Manetti Bros., i fratelli D'Innocenzo...
Un'altra ipotesi, invece, è che la famiglia Agnelli-Elkann stia attraversando un periodo delicato, e in qualche modo occorre sostenerla. Magari.
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