IL CINEMA DEI GIUSTI - HA SBAGLIATO BARBERA A NON PROPORRE “RUSH” COME FILM D’APERTURA A VENEZIA: ANCHE CON QUALCHE DIFETTO, E’ UN GRANDE FILM CHE SAREBBE STATO UN GRANDE EVENTO

Rush di Ron Howard.

Non prometteva molto il manifesto di Rush di Ron Howard. Non prometteva molto neanche la sfida tra due piloti di Formula 1 nei lontani anni '70. Per non parlare dei film di corse automobilistiche. Che noia! Sbagliavamo, come ha sbagliato, se la notizia è vera, la Mostra del Cinema di Venezia che non lo ha voluto come film d'apertura. Sarebbe stato un grande evento, inoltre targato Ferrari, e Rai Cinema, con Gucci e Ferragamo come sponsor, Niki Lauda come ospite d'onore, due star come il Thor di Chris Hemsworth e il Frederich Zoller di Inglorious Bastards di Daniel Bruhl.

Gravity di Alfonso Cuaron, altrettanto buono, ma meno glamour, poteva permettersi benissimo il concorso. Entrambi i film arriveranno all'Oscar facilmente. Non sarà magari un capolavoro Rush, ma oltre a essere uno dei migliori film che abbia mai girato Ron Howard e a farci dimenticare la mediocrità di certe sue fatiche troppo popolari, come Il codice Da Vinci e Angeli e demoni, è uno dei migliori film di piloti di Formula 1 dai tempi del mai dimenticato Grand Prix di John Frankenheimer (lo dovrebbero far rivedere al cinema, in tv è invedibile con tutti i suoi split screen), e un altro di quei grandi film sul ‘900, sulla sua complessità, le sue sfide, la sua cultura.

Lo sport, l'agonismo sono lontani come i tornei cavallereschi dei film di Richard Thorpe. Non solo. Offre a Daniel Bruhl, un attore incredibile alla Christoph Waltz che può recitare in quattro lingue indifferentemente, e che già abbiamo amato in Goodbye, Lenin e Inglorious Bastards, il ruolo più importante della sua vita, riuscendo a renderci un Niki Lauda perfetto, rampollo dell'altissima borghesia viennese di rara antipatia, ma di totale dedizione alla propria natura, alla propria missione e al portare a termine le proprie sfide.

E offre allo sceneggiatore Peter Morgan, autore di Frost/Nixon e di The Queen, un'altra di quelle macchine d'alta classe per rileggere la storia attraverso una sfida tra pochi personaggi, con la capacità di saper dosare la spettacolarizzazione di eventi celebri e la ricerca sul motore narrativo.

Da parte sua Ron Howard sa costruire, a partire appunto dalla sceneggiatura di Morgan, come già fece in Frost/Nixon, un racconto che ha la tensione di un thriller hollywoodiano, in grado però di integrare, senza nessun colpo basso, a eccezione forse della musica acchiappona di Hans Zimmer, elementi di grande livello di cinema d'autore, come la fotografia di Anthony Dod Mantle, collaboratore abituale di Lars Von Trier e Thomas Vintenberg, già Oscar per Slumdog Millionaire, o lo scenografo di Danny Boyle, Mark Digby.

Quel che viene fuori è un racconto epico dei magici anni '70 e del mondo della Formula 1 totalmente credibile, soprattutto nelle zone apparentemente più difficili, la ricostruzione dei personaggi e del loro mondo. Cioè le grandi piste internazionali dove James Hunt, interpretato dall'australiano Chris Hemsworth, già star di Thor e The Avengers, e Niki Lauda, cioè Daniel Bruhl, si dettero battaglia per una decina d'anni.

C'è pure il nostro Pier Francesco Favino come Clay Regazzoni in un ruolo più recitante di quelli che fa di solito nei film americani. Ma fa capolino anche il jet set internazionale, le modelle e le bellezze, qui Olivia Wilde e Alexandra Maria Lara, che ruotano attorno ai piloti, pronte a passare dai loro letti a quelli dei più attempati Curd Jugens e Richard Burton (e viceversa).

Il cuore del racconto è la stagione automobilistica del 1976, quando Lauda, già campione del mondo l'anno precedente come pilota della Ferrari, si ritrova Hunt, pilota della McLaren, come sfidante e, nella terribile pista tedesca di Nurburgring. Lauda, dopo che ha cercato inutilmente di fermare la corsa per la sua pericolosità col cattivo tempo, e Hunt è il primo a opporsi, finisce in un incidente quasi mortale che gli sfigura il volto e gli compromette i polmoni.

La partita sembrerebbe finita per il pilota della Ferrari, ma 42 giorni dopo, con le ferite ancora sanguinanti e dopo un trapianto di pelle sul viso e sulle palpebre che erano completamente bruciate, Lauda si presenta in pista deciso a non mollare. Morgan e Howard giocano tutto sulla rivalità fra i due piloti, lo scatenato playboy Hunt, aggressivo, coraggioso, dissipatore, e il piccolo computer viennese Lauda, capace di sentire i problemi di una macchina solo sedendoci sopra, pronto al calcolo al millesimo pur di vincere una gara.

La costruzione di questa battaglia fra due personaggi, alla fine, complementari, e a modo loro entrambi cavallereschi e schiavi della loro passione, ci fa passare oltre a certe cadute di tono, come la scena con i fan italiani di Lauda che, in quel di Trento, che parlano un approssimativo italiano del sud ma un impeccabile inglese. Ma non era facile costruire un film parlato in tante lingue diverse e Bruhl fa un gran lavoro sulla ricostruzione dell'accento viennese di Lauda e del suo inglese da jet set negli scontri con Hunt, che seguita a chiamarlo "ratto".

Altra caduta di tono viene dalle scene di corteggiamento e di sesso che vedono in grande spolvero Chris Hemsworth e il suo impeccabile fondo schiena. Alla fine sappiamo tutti quanto i due piloti siano poco interessati alle donne e quanto di più alle loro automobili. Ma l'amore fra i due traspare a più riprese ed è un po', assieme al campionato del mondo del 1976 e alla tensione su chi lo vincerà, l'altra trovata narrativa di Morgan e Howard per dare vita a una biopic con una trama accattivante.

Su tutto, e il risultato è strepitoso, la fotografia di Anthony Dod Mantle che riesce a trovare una pasta di colore che funzioni sia come ricostruzione del periodo, sia come ricostruzione di come noi stessi ricordiamo le gare in tv, sia come amalgama tra repertori e fiction. E' come se non sentissimo mai la forzatura di vedere una ricostruzione storica girata adesso. Grande film, anche con qualche difetto. In sala dal 19 settembre.

 

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