DA COCAINOMANE A STAR DEL GIORNALISMO – SE NE VA DAVID CARR, LA VOCE PIÙ CARISMATICA SULLA EVOLUZIONE DELL’INFORMAZIONE DALLA CARTA AL DIGITALE - “THE NIGHT OF THE GUN”, IL CAPOLAVORO SULL’ABISSO DROGA
Massimo Gaggi per Corriere della Sera
Ho intervistato il capo del Fondo monetario e storici di grido come Fukuyama, il presidente di Google e quello degli Stati Uniti, ma non sono mai riuscito a intervistare un giornalista che scriveva di giornali come David Carr, uno che ammiravo: «Non c’è tempo», messaggiava, «quello che penso lo sai: ho scritto tutto».
Brusco, umorale, David attraversava i corridoi del New York Times suscitando onde di adorazione e irritazione. Amato e detestato al tempo stesso da colleghi che si sentivano trattati da vecchi arnesi di un mestiere che sta scomparendo, ma che gli riconoscevano anche un amore infinito per la nostra professione. Un lavoro che cercava di difendere dagli eccessi di un’informazione totalmente digitalizzata.
Morto l’altra sera all’improvviso, a 58 anni, forse stroncato da un attacco cardiocircolatorio (aveva avuto malattie polmonari e sconfitto un tumore), tra i tavoli di una redazione nella quale era entrato tardi, nel 2002, David è già un pezzo della storia del giornalismo. E questo non solo perché nel 2011 fu la voce narrante e la figura dominante di «Page One», il documentario più esauriente e onesto mai prodotto sul New York Times e sulla sua faticosa trasformazione nell’era dell’informazione digitale, né per «Media Equation», la rubrica settimanale nella quale ha analizzato col suo linguaggio lucido e tagliente come un laser l’evoluzione dell’industria editoriale. Carr verrà ricordato soprattutto per «The Night of the Gun».
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Il critico che ha raccontato meglio di chiunque altro la crisi degli «imperi di carta» e i nuovi scenari aperti dalla rivoluzione digitale è arrivato, come detto, in età relativamente avanzata sul grande palcoscenico della stampa nazionale. Prima Carr ha vissuto un’altra vita: un quarto di secolo fa era un giornalista del Minnesota alla deriva.
Un redattore di provincia trasformato in rottame umano dalla dipendenza dall’alcol, dalla cocaina e anche dal crack. Un uomo violento, capace di ogni prevaricazione pur di procurarsi dosi di droga. Anche a costo di abbandonare a se stesse le sue due figlie gemelle in tenerissima età (ignorate anche dalla madre, anch’essa cocainomane).
Quando uscì dal tunnel della droga, tornò al giornalismo e si conquistò un ruolo di tutto rispetto come commentatore osannato per la sua onestà intellettuale e le sue nitide analisi, Carr, anziché archiviare (o nascondere) il suo passato, si immerse in un’impresa senza precedenti: un’inchiesta giornalistica sui suoi anni bui.
Commissariato per commissariato, David andò a cercare le tracce dei reati da lui commessi sotto l’effetto degli stupefacenti. Andò a intervistare gli spacciatori che lo avevano rifornito, la gente che aveva minacciato, i colleghi coi quali aveva litigato, le donne che aveva picchiato.
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«The Night of the Gun» (la notte della pistola) è il risultato di questa straordinaria inchiesta: un libro che è diventato un testo sacro per molte scuole di giornalismo d’America perché dentro ci trovano una delle più accurate e spietate applicazioni della tecnica del fact checking : il controllo rigoroso di ogni dettaglio di una storia giornalistica. Una lezione di giornalismo impartita da Carr con passione, incidendo la sua stessa carne. Uno stile «fisico» che ha segnato la sua esperienza professionale. Fino all’epilogo.
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