DAGO GAMES BY FEDERICO ERCOLE - NON TEMANO I GENITORI GIÀ PREOCCUPATI: IL PICCHIADURO “SOULCALIBUR VI” NON E’ VIOLENTO MA ELEGANTE, RIUSCENDO A ESTETIZZARE IL COMBATTIMENTO CON PREZIOSE COREOGRAFIE E RINUNCIANDO A SANGUINARI EFFETTI SPLATTER IN FAVORE DI UNA DANZA MARZIALE AMMIRABILE, A TRATTI ASTRATTA NELLA SUA FUSIONE DI MOVIMENTI E COLORI - VIDEO
Federico Ercole per Dagospia
I giochi di combattimento, qui in Italia nominati “picchiaduro” con un’innegabile e marziale poesia, hanno fatto la storia del videogame dai tempi delle sale giochi, e sono un genere ludico che si mantiene pimpante, di rado sperimentale, ma vitale grazie alle sue imperiture e spassose dinamiche e al fatto che oggi sia possibile sfidare ignoti di tutto il mondo online, sebbene sia assai più divertente e umana la competizione diretta, ognuno con il suo controller in mano, seduti sul divano.
Tra i tanti classici del genere in 2D o in 3D, da Street Fighters a Mortal Kombat, da Fatal Fury a Tekken, da Dead or Alive a Final Fight, si emancipa Soul Blade, nato nel 1995 da un’idea di Hiroaki Yotoriyama e divenuto successivamente il capostipite della serie Soulcalibur. Diversamente da tanti picchiaduro e sulla scia di quel classico per Playstation che fu Battle Arena Toshinden, in Soulcalibur si utilizzano armi bianche invece che solo pugni e calci, quindi spade ma non solo: lance, bastoni, nunchaku, asce o fruste.
Non temano i genitori già preoccupati tuttavia, Soulcalibur non risulta per questo più violento ma elegante, estetizzando il combattimento con preziose coreografie e rinunciando a sanguinari effetti splatter in favore di una danza marziale ammirabile, a tratti astratta nella sua fusione di movimenti e colori.
C’ERA UNA VOLTA UNA SPADA MALEDETTA
Soulcalibur VI, appena uscito per Playstation 4, XBox One e Microsoft Windows, ci riporta all’origine della saga e si svolge durante un più che fantasioso 1600, risultando una chimera “nippo-barocca” in una maniera iperbolica e suggestiva, con la sua ricchezza di visioni estrose, la carnalità, i preziosismi e la sovrabbondanza di dettagli.
Il nuovo Soulcalibur non è tuttavia solo una bella visione, ma un picchiaduro smisurato e riuscito in qualsiasi modalità lo si affronti e se scegliete di giocare lo “story-mode” acquista la ritmica dilatata di un adagio, facendoci leggere lunghissimi dialoghi e osservare pregevoli disegni tra un combattimento e l’altro.
La storia, senza dubbio tortuosa, è persino affascinante, corale anche se talvolta incomprensibile nel suo oceano di situazioni, reminiscenze e personaggi e vale la pena di essere vissuta, sebbene il desiderio di combattere diventi urgente nei momenti di narrazione più prolissi, una fretta motivata dal divertimento e dalla bellezza che scaturisce da ogni scontro, dalle danze di ogni personaggio, che sia il guerriero più grottesco o la fanciulla più sensuale.
Il disegno dei protagonisti è fondamentale in un picchiaduro quanto la varietà dei loro stili marziali, e in questo Soulcalibur VI continua ad eccellere, offrendoci personaggi unici nella loro grazia, tale anche quando al limite del brutto, perché esaltata dalle loro movenze, dallo scintillare cromatico di super-mosse devastanti, dall’aura favolosa e irreale di combattimenti super-umani che rimandano alle visioni del cinema di King Hu.
Combinando la pressione dei tasti del controller, parando, affondando, contrattaccando e schivando, diamo vita ad un balletto meravigliante, mettiamo in scena una fantasmagoria di vettori e tinte, di effetti speciali tra l’effetto speciale nel cui maelstrom non rischiamo mai di smarrirci, di perdere il controllo, grazie alla precisione della reazione ai nostri comandi e all’immediatezza della loro realizzazione.
Vorremmo usare, in ognuna delle innumerevoli modalità di gioco che potrebbero astrarvi per decine di ore, tutti i personaggi disponibili, perché non ce n’è nessuno che non meriti di essere esperito durante un combattimento: Tsurugi i maestro di Katana che sembra uscito da un film di samurai di Kurosawa almeno quando non produce attacchi sovraumani, l’oscura e bella Ivy con la sua serpentina spada-frusta, il cavalleresco Siegfried armato di un impressionante spadone a due mani, il mistico e sofferente Kilik e il suo bastone, il nobile francese Raphael e il suo micidiale fioretto, l’ellenica e divina Sophitia…
In questo episodio, proseguendo la tendenza recente della serie che ha visto partecipare al panorama dei lottatori ospiti illustri come Link di Legend of Zelda e Darth Vader, c’è inoltre uno dei personaggi più carismatici del videogioco contemporaneo, ovvero Geralt di The Witcher, capolavoro polacco del gioco di ruolo d’azione. Controllare l’albino cacciatore di mostri con le sue doppie lame in Soulcalibur dona soddisfazioni inedite al giocatore che ha vissuto le sue drammatiche, esaltanti avventure.
DA GIOCARE INSIEME
C’è chi continua a considerare il videogioco un medium anti-sociale, fonte di preoccupazioni per il futuro della società, un mostro elettronico che tende ad alienare l’individuo e a favorire l’incomunicabilità, l’ignoranza e addirittura la violenza. E’ già successo con il rock and roll e i cartoni animati giapponesi.
E’ ovvio che qualsiasi abuso, persino dei tesori della letteratura, della musica o del cinema possa preludiare al sorgere di disagi e l’attività videoludica vada dosata e alternata come qualsiasi altra, ma trascorrere qualche tempo con videogame che non siano pattume numerico usa e getta è un’attività che può essere formativa, rilassante, emozionate e alimentare i rapporti sociali.
Quindi, se vi riunite con gli amici o la famiglia e, invece di giocare a Monopoli, tombola o Risiko, decidete di fare un torneo a Soulcalibur VI non sentitevi in colpa, perché si tratta sempre di giocare insieme e potreste scoprire che vostra nonna Teresa o il severo zio Settimio sono in realtà lottatori virtuali fenomenali.