"NON BASTA FARE LA LAP DANCE, SI CORRE IL RISCHIO DI ESSERE MACCHIETTE", LA "DUCHESSA DI STRAFACTOR", DRUSILLA FOER, ALTER EGO DI GIANLUCA GORI, DEMOLISCE DAMIANO DEI MANESKIN: "QUANTI UOMINI CON LO SCOTCH SUI CAPEZZOLI HO VISTO BALLARE SUI PALCHI! QUESTE SONO CITAZIONI NON PROVOCAZIONI" – E POI PARLA DI ANDY WARHOL, DAVID BOWIE E PAOLO POLI – VIDEO
Simona Orlando per “Il Messaggero”
Ha un certo numero di anni che tende a non prendere in considerazione, chioma lattea, eleganza da vendere e una fantasiosa discendenza: senese, figlia di diplomatico, cresciuta Cuba, amica di star internazionali. Lei è Drusilla Foer e ogni cosa intorno è illuminata.
Attore en travesti, ha creato questa madame sciccosa e sagace dalla vita straordinaria, che è una delizia ascoltare, al punto che non importa indagare su cosa sia vero e cosa no. Nella finzione, dice mille verità. Stracliccata sul web, dopo cinema ("Magnifica Presenza" di Ozpetek) e tv (è giudice a StraFactor con Elio e Jack La Furia), arriva all’Auditorium Parco della Musica con "Eleganzissima”, dove aneddoti, confessioni e canzoni si mescolano con grazia d’altri tempi. La direzione artistica di Franco Godi e 4 musicisti a sostenerla (Loris di Leo al piano, Nico Gori clarinetto e sax, Ettore Bonafè vibrafono e percussioni, Nico Vernuccio contrabbasso), in questa incantevole oscillazione fra spessore e levità, dove le versioni di ‘I Will Survive’ della Gaynor e ‘Life on Mars’ di Bowie sono da brivido. «La ringrazio, ma tutto nasce da ego senile. Sa, a una certa età si ha voglia di raccontare un po’ la vita. La mia, più che spericolata, è stata randagia»
Mi parli degli anni a New York.
«Avevo un negozio di abiti usati e il magazzino era frequentato da artisti, leggevamo Capote e ascoltavamo Aretha Franklin. Non facevo parte della New York di Warhol, genio lui, il resto un codazzo. Il gruppo della Factory mi chiamava ‘Duchesse, e l’dea di essere paragonata a un panino al latte non mi entusiasmava, ma soprattutto mi infastidiva che chi si vendeva per anti-convenzionale avesse una mentalità così borghese. Videro un’italiana, alta, magra, ben vestita, e subito mi appiopparono l’etichetta di duchessa. Andy però era simpatico, parlavamo di capelli bianchi».
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E’ lì che si formò musicalmente?
«No, in casa. Mia padre ascoltava i Beatles, mio padre Rachmaninov. A teatro porto il tango che li vidi ballare appassionati, mentre spiavo. Ma anche ‘A’ Vucchella’ che cantava la mia dolce cuoca napoletana a L’Avana, Don Backy, Amy Winehouse, Gaber. Li ho messi tutti insiemi in un recital, sapendo che le vecchie attrici, in genere, le piazzano a Broadway».
Non ha certo scelto per generi.
«La musica per me funziona come l’olfatto, evoca ricordi. Le canzoni scelte sono legate a momenti di vita. Una vita discontinua mi ha insegnato che la qualità sta in tutti i tipi di persone perciò anche in tutti i tipi di musica. Ho avuto periodi di fissazione per Edith Piaf, Jacques Brel, la musica barocca. Nel mio periodo londinese, parecchio noioso devo dire, ascoltavo molto metal. Judas Priest, Ac/Dc, quella roba lì»
Quella volta che incontrò Bowie…
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«Ero a Firenze, alla vecchia e sublime trattoria ‘Il Troia’, e al mio tavolo mancava il parmigiano da mettere nella minestra della casa. Andai dalla coppia di fronte, una bella donna con un signore biondo, e dissi: ‘Posso?’, e lui ’Devi’. Era David e mi passò il formaggio. Lui non se lo ricordava ma ci eravamo incontrati 20 anni prima al Taboo di Londra, dove si esibiva il performer Leigh Bowery, in una di quelle serate folli»
Non così noiosa Londra, allora.
«Lei ha fatto di tutto per divertirmi, ero io ad essere noiosa con lei. Un po’ infelice, avrei voluto essere in una grotta in Cappadocia»
Come fa Drusilla a funzionare così bene su web, a teatro, in tv?
«In tv e su web apprezzano la mia parte brillante e pungente, a teatro restano basiti. Compreso Morandi che a Bologna è venuto a vedermi. Forse si aspettano un monologo da Zelig, non uno spettacolo in cui si sorride e si fanno anche dolcissimi pianti. Il pubblico mi dà fiducia e non se ne pente».
Per chi tifava a X Factor?
«Per chi non era più in gara: Andrea Radice e Sem & Stenn, duo che aveva un’idea musicale precisa. Quello che amo molto ormai non sono le belle voci, le presenze rockettare e i fisici guizzanti, ma le personalità. La qualità del programma è alta e i giovani oggi sono allenati a mostrarsi. Ci si trova davanti a professionisti di 19 anni ed è stupefacente. Se hanno voce, cantano tutti bene, ma per emulazione la usano po’ in modo circense, mielismi scuola Whitney Houston e Mariah Carey. Io preferisco il carattere. Non basta essere bellocci e fare la lap dance, si corre il rischio di essere macchiette».
Damiano dei Manskin ha detto che la sua performance in tacchi a spillo non s’era mai vista nella storia della musica italiana. Concorda?
«Si figuri quanti uomini con lo scotch sui capezzoli ho visto ballare sui palchi! Un’anziana come me queste cose le ha già viste, sono citazioni non provocazioni. Lui ha una bella voce, un bell’aspetto, gli auguro il meglio e sono felice se ha portato un po’ di audacia al pubblico italiano in prima serata»
La prima cosa che fa la mattina e l’ultima prima di dormire?
«Mi sveglio, mi siedo sui cuscini e metto a fuoco ciò che devo fare. Poi vado in bagno, mi guardo allo specchio ed è tragedia, ma con due forcine e una botta di rimmel divento accettabile. Prima di dormire rivolgo un pensiero alle persone che amo, scomparse o che so essere in un periodo di difficoltà. Credo molto nel comunicare a distanza attraverso pensiero e cuore»
La fermano per strada?
«Fanno foto, scoprono che sono altissima e mi ringraziano dopo lo spettacolo per aver passato le mie emozioni. Ieri un orefice bolognese mi ha regalato due orecchini a forma di tortellino. Qualcuno è intimorito, qualcuno mi abbraccia, c’è chi mi dà una pacca sul sedere. Sa, un tipo particolare come me, genera reazioni strane».
Cosa pensa del suo creatore?
«Persona perbene e brillante, dice di avermi inventata ma è un mitomane. Di certo non è un genio, se ha inventato me».
Non teme che prima o poi voglia liberarsi di lei?
«Diamo tempo al tempo, magari crepo prima di morte naturale».
Chi sono i suoi amici famosi?
«Il jet set non è significativo nella mia vita. Il mio barista, che mi serve caffelatte freddo senza che io lo ordini, è di valore quanto gli altri. Il valore delle persone è all’Harry’s Bar di Venezia come al centro sociale. La gente ambisce ai personaggi del jet set, è un immaginario, una trappola, una bischerata. Quando conosci una persona famosa, dopo 5 minuti non è più famosa»
Il suo rapporto con il grande Paolo Poli?
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«Ne parlo con grande pudore. Era sensibile, libero, di cultura sterminata, a cena recitava poesie di Rimbaud. Da vero capocomico ha lavorato fino all’ultimo per non lasciare la sua compagnia fissa, attori e tecnici. Non come oggi che si chiama un ‘service’. Era un tipo disposto all’ascolto, per questo ricco di immagini e informazioni. A casa sua a Roma mi aspettavo di trovare pareti di libri, invece no. Disse: ‘Quando son letti son letti, vanno regalati agli altri’. Poli non era un un intellettualoide ma un intellettuale, cioè un uomo che di ciò che conosce fa una sintesi e crea un’opinione. Gli altri sono solo persone informate».
Come va l’amore?
«Lo distribuisco a teatro e agli amici. E’ un sentimento che dedico a mio marito che non c’è più, sono una vera vedova».
Quindi niente sesso?
«Per carità! Sono rimasta un po’ civetta e gradisco i complimenti dei giovani. Pare che la vecchia vada di moda. Lei mi vede perbene ma sono stata una diavola, ora raccolgo altro. Accetto la corte di chi mi dice cose carine su web, poi, quando li incontro dal vivo, si comportano come se vedessero l’insegnante di arti occulte di Hogwarts»
Come sarà il suo 2018?
«Farò due progetti teatrali, un film, forse qualcosa di musica. Ma sono come in gravidanza: non dico di niente fino a tre mesi dopo il contratto.
E Sanremo?
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«Sarei fuori luogo e per questo molto divertente. Se il direttore artistico fosse stato Mika, mi avrebbe già chiamata».