IL “DECENNIO DELL’IO”, IN BARBA AL “NOI”, CHE DURA DA QUARANT’ANNI

Antonio Gurrado per "il Foglio"

Cosa unisce il socialismo utopistico, il femminismo, i capelli ossigenati e il Concilio Vaticano II? Tom Wolfe, l'autore statunitense che ama vestire di bianco. Nel 1971 Wolfe tiene un ciclo di conferenze in Italia e capisce che qualcosa di nuovo sta accadendo quando gli studenti italiani gli chiedono con curiosità delle duemila comuni hippie d'oltreoceano.

All'epoca, racconta Wolfe, "gli studenti italiani militavano in organizzazioni estremiste e si erano accanitamente scontrati con la polizia, sulle barricate. Però alle venti e trenta in punto tornavano a casa, si lavavano ubbidientemente le mani prima di cenare con Mamma e Papà". Nella contraddittorietà di questi scapoli pronti a fare la rivoluzione solo col permesso dei genitori e prima di accasarsi a loro volta, Wolfe rinviene il germe di quello che con una formula fortunata chiamerà "Il decennio dell'Io", titolo di un saggio pubblicato sul New York Magazine nel 1976 e appena tradotto in Italia da Castelvecchi.

Questi studenti che accettano di fare parte di una collettività solo a patto che si lasci loro il sacro recinto dell'individualità sono per lui una tendenza universale nonché lo sviluppo deteriore del socialismo utopistico dell'Ottocento - Wolfe menziona Saint-Simon, Owen, Fourier e Marx - il cui scopo originario era di istituire delle comuni per liberare il lavoratore da ciò che gli impediva di "realizzare il proprio potenziale come essere umano".

Non avendo voglia di realizzarlo rinunziando ad alcune comodità, tutti, dagli studenti barricaderi in poi, si sono affannati a "rifare rimodellare elevare raffinare il proprio Io"; il loro prototipo è diventato piuttosto quello del cristiano gnostico, che intendeva liberarsi dei pesi imposti da società e tradizione per "trovare il vero Me Stesso", ritenendo che l'uomo recasse in sé una scintilla divina da far divampare. La loro scintilla, però, non era divina. Per Wolfe ha piuttosto a che fare con lo slogan della geniale pubblicitaria Shirley Polykoff, che lanciò una campagna di tinture per capelli al grido di: "Se ho una sola vita, lasciatemela vivere da bionda!".

E' stata costruita una comune globale in cui tutti cercano di trarre il massimo dalla propria unica vita ma in cui ciascuno pretende di viverla, se non da bionda, come pare a lui soltanto: da poligamo, da artista maledetto, da qualsiasi cosa gli consenta di esprimere la propria individualità parlando continuamente di sé. Lo stesso femminismo, spiega Wolfe, alla fine "è consistito nell'elevare uno status comune - donna, casalinga - a livello di dramma".

Questa logorroica autoreferenzialità collettiva è per Wolfe un fenomeno religioso: è il Terzo Risveglio dopo gli illuminati estatici di metà Settecento e il revivalismo rissoso e orgiastico di metà Ottocento. Non per nulla negli anni Settanta le chiese si sono sentite in dovere di accondiscendere alle pretese dei fedeli.

Quelle protestanti si sono abbandonate a eccessi d'ispirazione da sceneggiata come l'holy rolling, l'estasi che fa rotolare i fedeli sul pavimento, con ricadute politiche grazie alla sfilza di governanti che aderivano ai cristiani rinati, da Carter a Bush jr. Il cattolicesimo s'è inventato i preti in maglione traducendo il Concilio Vaticano II nel tentativo di far sembrare le chiese "gruppetti piuttosto goffi e senili di movimenti laici".

Wolfe scrive negli anni Settanta riferendosi agli anni Sessanta ma col senno di poi possiamo temere che, ammonendo che il Terzo Risveglio "non era ancora giunto all'apice", avesse nebulosamente previsto qualcosa di simile alla proliferazione su Facebook di status ombelicali e foto delle proprie vacanze, del proprio gatto e del proprio cibo rivolte urbi et orbi da parte dei figli degli studenti del 1971. L'edizione italiana giunge a celebrare un decennio dell'Io che dura da quarant'anni.

 

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