1. DUELLO A COLPI DI QUERELE TRA IL GIORNALISTA GIACOMO AMADORI E ROBERTO SAVIANO . 2. “QUESTO MILIONARIO DELL'ANTICAMORRA MI DÀ DEL GIORNALISTA “BORDERLINE” E, SE HO TRADOTTO BENE DAL SAVIANESE, MI ACCUSA PURE DI ESSERE CONTIGUO ALLA CAMORRA” 3. E TUONA: “DUE O TRE COSE VERE CHE SO DI LUI. PIETRANGELO BUTTAFUOCO, TUTTO DIVERTITO, MI RACCONTAVA DELL'IMBARAZZO DI SAVIANO PER L'ESSERE DIVENTATO UN'ICONA DELLA SINISTRA, LUI CHE ERA “UN VERO CAMERATA”
1. LE MINACCE DEI BOSS A SAVIANO TUTTA COLPA DI UNO STAGISTA
Giacomo Amadori per “Libero Quotidiano”
Mi sono accorto con ritardo (mica pretenderete che uno si legga Saviano il 3 agosto!) che l' autore di Gomorra mi ha dedicato più di qualche riga sulla Repubblica dell' altro ieri, in un articolo dal titolo suggestivo: "Camorra, la fabbrica dei dossier".
In realtà me lo ha segnalato un amico della Direzione investigativa antimafia con un sms divertito: «Se ti hanno arrestato sono disposto a verbalizzare le tue confessioni». Dopo di che ci ho messo un giorno a decrittare le frasi di questo Milionario dell' Anticamorra e ho scoperto che mi dà del giornalista «borderline» e, se ho tradotto bene dal savianese, mi accusa pure di essere contiguo alla camorra.
Nella sua lenzuolata ha ricordato un mio scoop dei tempi in cui lavoravo per Panorama, riguardante un' inchiesta che coinvolgeva l' allora premier Silvio Berlusconi: una fuga di notizie per cui la procura di Napoli ha indagato per un paio d' anni anche su di me e sul direttore del settimanale mondadoriano Giorgio Mulè. I pm partenopei dispiegarono un vero e proprio dispositivo di «spionaggio» che consentì di ascoltare per settimane decine di migliaia di telefonate sulle utenze di diversi giornalisti di Panorama.
Per questo fa sorridere che oggi Saviano mi appiccichi addosso, citando il pm Vincenzo Piscitelli, un' accusa di «spionaggio» che fa a pugni con il decreto di archiviazione del gip di Roma. Giudice che ha ereditato l' inchiesta da Napoli per la palese incompetenza territoriale degli inquirenti campani e che ha riconosciuto che io e Mulè non abbiamo fatto altro che il nostro lavoro.
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LE ACCUSE A BERLUSCONI
Nell' articolo il criptico Saviano è poi partito per la tangente e ha raccontato del rapporto «assai stretto» che avrei avuto con l' avvocato Michele Santonastaso, ex difensore di diversi boss della camorra. Dal 2010 è rinchiuso in cella per i presunti rapporti pericolosi con i suoi assistiti e anche per le minacce rivolte allo stesso Saviano. Ma all' epoca in cui lo incontrai, nel 2008, era solo un legale e molti giornalisti avevano una certa consuetudine con lui, visti i nomi dei clienti.
roberto saviano da fabio fazio 1
Un giorno per esempio lo incrociai in un bar mentre parlava con la collega Rosaria Capacchione, divenuta poi senatrice del Pd.
I motivi per cui ho contattato Santonastaso sono limpidi e certificati. In particolare lo avevo cercato per provare a realizzare un' intervista con il più celebre latitante dei Casalesi, Antonio Iovine, detto O' Ninno. Conservo ancora copia delle domande che gli consegnai. Informai anche il capo della squadra mobile di Caserta del tentativo che stavo facendo e lui tra il serio e il faceto mi propose di imbottirmi di microspie.
Ovviamente rifiutai considerando la cosa troppo rischiosa. Alla fine non so se Santonastaso abbia mai consegnato quel mio lungo questionario, di certo le risposte non mi arrivarono. In quegli stessi giorni Santonastaso mi confidò che aveva recuperato delle intercettazioni esplosive e che le avrebbe rese pubbliche.
Nei brogliacci il pentito Carmine Schiavone parlava di presunte pressioni subite da pm e investigatori per fargli accusare Silvio Berlusconi. «Da quando stava quel piecoro di omissis che andava cercando che io accusassi Berlusconi. Eh, io gli dissi: ma chi c… lo conosce!», diceva in una telefonata Schiavone. All' epoca il presidente di Forza Italia era premier e la notizia era di grande rilevanza mediatica.
IL PRATICANTE MALDESTRO
Per potermi consegnare quei brogliacci Santonastaso decise di allegarli a un' istanza di rimessione, ovvero a una richiesta di trasferimento del cosiddetto processo Spartacus ad altre toghe. I tempi erano ristretti e l' avvocato chiese a un suo praticante, tale Davide, di redigere l' atto.
La sera prima del deposito il giovanotto entrò nello studio di Santonastaso, dove ero seduto anche io, e iniziò a leggere il documento che aveva preparato. Il linguaggio era colorito e minaccioso e si rivolgeva direttamente a tre presunti nemici dei boss, che secondo Santonastaso imbrogliavano le carte della tenzone giudiziaria: il pm Raffaele Cantone, Roberto Saviano e la già citata Capacchione. Mi sembrò tutto improvvisato e pasticciato. I termini erano decisamente sopra le righe e il giorno dopo successe il patatrac che tutti sanno.
L' avvocato dei boss lesse quello squinternato atto d' accusa in aula e subito i giornali rilanciarono la notizia delle minacce dei Casalesi a tre paladini dell' Anticamorra. Il risultato fu che a Saviano fu confermata la scorta che aveva dall' anno prima. Anche per colpa della fretta e di un praticante alle prime armi.
Nel novembre 2014 per quelle minacce venne condannato il solo Santonastaso che evidentemente per i giudici non aveva mandanti. Ma io già lo sapevo e ne informai lettori di Panorama, quando decisi di intervistare l' avvocato sul putiferio che era scoppiato e di cui ero in piccola parte responsabile avendo tanto insistito per avere quelle intercettazioni.
Nell' intervista (disponibile su Internet per chi voglia verificare come il taglio delle domande fosse di riprovazione rispetto all' iniziativa dell' avvocato) tentai in tutti i modi di far recitare un mea culpa a Santonastaso, che ammise: «Probabilmente il tono era sbagliato. Solo che a scrivere ero io e non i miei clienti. I casalesi non hanno minacciato nessuno, non avrebbero potuto farlo tramite me». I giudici lo hanno confermato.
IL PLAGIATORE
Peccato che quella innocua intervista nella testolina di Saviano, forse troppo impegnato a guardare puntate di Gomorra, sia diventata un messaggio inquietante o per lo meno questo mi sembra di aver inteso negli involuti periodi che Saviano ha propinato ai suoi coraggiosi lettori agostani.
«O' premio Pulitzèr», come lo ha soprannominato qualcuno, pensa di svelare complotti che non ci sono e di trovare chissà che talpe. E se non fosse chiaro il suo intento, su Facebook esplicita sobriamente il concetto: «"Sbirri" venduti, giornalisti e faccendieri, ecco la rete di spioni che trama in segreto per politici e clan, compromettendo la democrazia». Bum! Io, il bravissimo collega napoletano Simone Di Meo e pochi altri giornalisti non identificati saremmo un rischio per la democrazia. Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere.
Su Di Meo urge aprire una parentesi: è il giornalista che ha avuto la colpa di vincere con la sua casa editrice sino in Cassazione la causa intentata contro Saviano per plagio, perché «o' Pulitzèr» è anche un signor copiatore. Tanto che dall' undicesima ristampa di Gomorra, a pagina 141, è scritto nero su bianco che diversi passi del libro sono appunto di Di Meo, coautore a sua insaputa. Purtroppo due giorni fa Saviano non ha informato i suoi lettori, mentre attaccava Simone, di questo piccolo conflitto d' interesse.
Comunque se il Saviano imbronciato (quanto gli piace ostentare la sua aria pensosa) scrive su di me falsità, io adesso vi voglio raccontare due o tre cose vere che so di lui e per esperienza diretta.
MACHO MAN E IL BRACCINO
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Era il 2006 e in Mondadori, dove lavoravo, si favoleggiava di un libro su cui l' azienda puntava molto. Anzi moltissimo. Era di un giovanotto campano sponsorizzato da un grande critico letterario, campano pure lui, di nome Goffredo Fofi. Rita Pinci, all' epoca vicedirettore di Panorama, mi chiamò alla sua scrivania per affidarmi un delicato compito. Avrei dovuto leggere il tomo (bisogna dirlo: la più grande operazione di marketing editoriale degli ultimi vent' anni) e presentarlo in anteprima mondiale sul nostro giornale.
Mi consegnarono una bozza cartacea, in gran parte riscritta e tagliata (l' originale, Saviano lo portava in giro con la carriola) dai fenomenali editor della casa editrice di Segrate. Iniziai il primo capitolo e dopo poche righe mi ero quasi appisolato. Con un occhio semiaperto domandai in Mondadori il numero di cellulare di questo Roberto, all' epoca uno sconosciuto ventisettenne, e dandogli del tu gli chiesi di scegliere in mia vece i capitoli più interessanti. Di mio pugno volli aggiungere un breve biografia. Gli domandai due o tre informazioni personali e lui, garbatamente, mi rispose. Tra l' altro mi disse che amava la pallanuoto (non era ancora un fanatico della boxe) e che era fidanzato. Lo scrissi. Apriti cielo.
Quando gli rilessi la breve bio, lui, evidentemente già compreso nel personaggio, mi chiese di cancellare quei due particolari «da rivista di gossip». Gli dissi che non ci trovavo niente di disdicevole e lo lasciai che bofonchiava. Quando tornai al giornale il vicedirettore mi disse che Saviano aveva contattato i vertici dell' azienda per far togliere quelle due righette e che dai piani alti avevano telefonato al compianto direttore Pietro Calabrese.
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Ma le righette rimasero al loro posto. Con grande scorno del Nostro.
Nel 2009 mi trasferii nella redazione di Roma e mi piazzai nella postazione di fronte a un vero scrittore, Pietrangelo Buttafuoco, che tutto divertito mi raccontava dell' imbarazzo di Saviano per l' essere diventato un' icona della sinistra, lui che era «un vero camerata». Ridendo mi leggeva alcuni passaggi dei loro scambi epistolari. Secondo lui Saviano aveva ambizioni superomistiche e sognava di andare a fare il paracadutista in Afghanistan al seguito dei carabinieri.
Non so se fosse vero, ma un' amica dell' autore di Gomorra, che aveva la ventura di incontrarlo in privato e che lo conosceva da quando era studente, me lo descrisse più che come un pensoso intellettuale di sinistra, come un ardito con la passione per i pugni e gli approcci ruvidi verso le donne.
L' ultimo aneddoto riguarda la premiata coppia Fabio Fazio-Saviano. I due insieme con la scorta di sette persone al seguito del Sommo Scrittore sostarono per pranzo in un lussuoso ristorante della Riviera di Ponente, di proprietà di un mio amico. La coppia scelse il tavolo migliore, mentre i bodyguard vennero fatti accomodare un po' distanti. Fazio si avvicinò allo chef: «Una portata a testa per quei signori la offro io» disse soddisfatto della sua magnanimità. Saviano nemmeno si alzò. E il mio amico li fulminò: «Le altre portate per la scorta le offrirò io».
Ora vista la parsimonia di cotanto Autore, temo che non apprezzerà la mia richiesta di risarcimento danni.
UN ESEMPIO DI PLAGIO DI SAVIANO IN ZERO ZERO ZERO
Ma purtroppo, io che non ho mai citato in giudizio nessuno, mi trovo costretto a farlo per l' enormità delle accuse. In attesa di incontrarlo in Tribunale, lo rassicuro: anche se ho visto più volte il Padrino, dall' 1 al 3, non sono un picciotto e i suoi libri non mi disturbano per il contenuto, ma solo perché sono mal scritti.
2. CAMORRA - LA FABBRICA DEI DOSSIER
Roberto Saviano per “la Repubblica” del 3 agosto 2016
La storia che sto per raccontare vi riguarda perché è storia del nostro Paese e di quei rapporti ambigui tra politica, giornalismo e forze dell' ordine che spesso ci sembra odioso persino descrivere. Figure che operano nell' ombra, che raccolgono informazioni riservate e sanno come manipolarle, amputarle, barattarle. Notizie che servono a ricattare, a disinnescare inchieste giudiziarie e a preparare agguati e che arrivano a favorire le organizzazioni criminali.
Sì, perché nella storia che sto per raccontarvi c' entrano anche loro, i clan di camorra. E c' entrano politici sotto processo per presunti legami con le organizzazioni criminali, rappresentanti delle forze dell' ordine infedeli, faccendieri e giornalisti borderline.
È quanto si può leggere nell' ordinanza cautelare emessa nei confronti del maresciallo dei carabinieri Giuseppe Iannini, arrestato qualche giorno fa. Il gip in uno dei passaggi più significativi del provvedimento così descrive l' indagato: «Emerge una personalità forte, arrogante e prevaricatrice con la criminalità da strada (il mondo dei pusher nel quale si impegna, anche oltre il consentito a quanto pare) e accondiscendente, disponibile e, peggio ancora, corruttibile nei confronti della criminalità di un livello superiore (...)».
«Persone come Iannini Giuseppe sono funzionali ad un sistema che si oppone alle forze sane della polizia che ogni giorno si sacrificano per accertare non chi spaccia in strada, ma chi reinveste quei profitti con l' aiuto di imprenditori e amministratori compiacenti».
ROBERTO SAVIANO AD AMICI DI MARIA DE FILIPPI
Quanto oggi sappiamo su Iannini è frutto del lavoro dei carabinieri di Caserta, guidati dal colonnello Giancarlo Scafuri, e dell' ex comandante della stazione dei Carabinieri di Castello di Cisterna (dove Iannini ha prestato servizio fino al 2013), Fabio Cagnazzo.
L' impressione è che ci sia ancora da scavare per capire se Iannini lavorava per se stesso o se fosse eterodiretto, lui che, secondo quanto ha ricostruito la Dda di Napoli, avrebbe fornito informazioni riservate e file relativi ad atti di indagine secretati a Nicola Cosentino, imputato per essere il referente politico del clan dei Casalesi.
La personalità di Iannini, come descritta dal giudice, coincide con l' idealtipo dello sbirro, caratteristico di una cultura tradizionalmente di destra che ha trovato espressione politica nel centro-destra di governo, non solo in Campania. Forte con i deboli, debole con i forti e servile con i potenti. Questa politica ha riempito le carceri di tanti piccoli spacciatori e per lungo tempo ha fatto di tutto per rendere penalmente irrilevanti i comportamenti dei colletti bianchi, della politica e della camorra, quando le due non erano la stessa cosa.
Questa tipologia di carabiniere corrotto, secondo le accuse dell' antimafia di Napoli, costruisce la propria credibilità negli arresti di pusher, per potersi meglio sedere al tavolo dei politici camorristi, dell' imprenditoria criminale che non sparando e non spacciando assume altro tipo di profilo. L' ordinanza offre uno spaccato desolante della situazione campana, e casertana in particolare, con un ospedale pubblico - che poi sarà di lì a poco oggetto di commissariamento per infiltrazioni camorristiche - che, nelle parole del gip, diviene quasi una "succursale" dello studio di Cosentino.
NICOLA COSENTINO NUNZIA DE GIROLAMO
L' oggetto dello scambio ipotizzato dal gip tra Iannini e Cosentino erano i documenti contenuti in una pen drive ricondotta al primo e trovata in possesso del secondo; Iannini e Cosentino, nel corso degli interrogatori, hanno poi confessato la consegna della pen drive. L' ex uomo forte di Berlusconi in Campania ha sostenuto di essere stato truffato dal carabiniere, poiché tra gli atti che gli erano stati consegnati ce n' era uno oggetto di contraffazione. Proprio così: nella memoria gli inquirenti hanno trovato un verbale che riportava dichiarazioni apparentemente riconducibili a un collaboratore di giustizia, Tommaso Prestieri, ma che in realtà era stato modificato, utilizzando il contenuto del verbale di un altro collaboratore.
Ma il documento (questa volta) originale più importante tra quelli presenti nella memoria è un' informativa, al tempo del sequestro secretata, riguardante i rapporti tra la famiglia Cesaro e il clan Puca, secondo la quale «il clan Puca aveva stretto accordi con il clan dei casalesi che si manifestavano nei rapporti altalenanti tra Cosentino Nicola, ritenuto referente dei casalesi, e Cesaro Luigi, ritenuto referente del clan Puca».
Luigi Cesaro è un deputato di Forza Italia, dal 2009 al 2012 presidente della Provincia di Napoli, prima fedele a Nicola Cosentino, poi suo acerrimo rivale. Cosentino, prima di confessare, era stato più volte sentito dagli inquirenti perché chiarisse l' accaduto e, secondo il gip, aveva fornito versioni ogni volta diverse e fantasiose, allo scopo evidente di proteggere Iannini. Perché esporsi tanto per un soggetto del quale secondo la prima versione di Cosentino, riportata dal giudice, gli era ignoto anche il nome?
LUIGI CESARO E FRANCESCA PASCALE
Il profilo personale del maresciallo Iannini è assai complesso e aiuta ad aggiungere un ulteriore tassello alla comprensione di quel sottobosco che trama contro la democrazia, attraverso il meccanismo tristemente noto con il nome di macchina del fango. Non è la prima volta che il carabiniere finisce nei guai negli ultimi anni, poiché da poco è stato assolto in una vicenda analoga, che lo ha riguardato assieme a un altro politico casertano in ascesa fino a qualche anno fa: Angelo Brancaccio, ex sindaco di Orta di Atella, con trascorsi nell' Udeur di Mastella e nel Partito Democratico.
Anche quella volta Iannini era stato indagato e poi processato in relazione a un illecito traffico di notizie riservate, poiché avrebbe avvertito Brancaccio delle indagini a suo carico.
Dalla sentenza di assoluzione si comprende che gli indizi in possesso della procura non sono stati sufficienti a provare i fatti contestati, anche grazie al silenzio di Brancaccio, che, prima e come Cosentino, ha preferito proteggere il maresciallo.
Viene il dubbio che Iannini possa essere il terminale di una struttura più grande, anche se non ci sono, per adesso, elementi sufficienti per giungere a questa conclusione.
E ciò che sempre conta di più per chi ha a che fare con ambienti mafiosi è darsi un' immagine antimafiosa. Questa è la prima regola. Come fare? Semplice: scrivere libri apparentemente antimafia, organizzare convegni sulla legalità, ridurre tutto il fenomeno criminale a un affare di strada, porsi in prima linea contro questi affari e poi essere referente invece della borghesia criminale.
L' ordinanza cautelare dedica attenzione anche a un professore francese, Bertrand Monnet (totalmente estraneo e verosimilmente del tutto inconsapevole della reale identità dei soggetti con cui è entrato in contatto), che sarebbe stato presentato a Cosentino come esperto di dinamiche criminali. Effettivamente il nome di Monnet, insieme a quelli di Brancaccio e Iannini, si trova nel panel di un convegno (La giornata della legalità) organizzato ad Orta di Atella dalla giunta guidata dall' allora sindaco Brancaccio.
La presenza del professor Monnet in questa vicenda mostra come l' intenzione di chi costruisce dossier sia quella di cercare costantemente sponde all' estero. Mancando in Italia gli anticorpi per distinguere una critica legittima da un attacco su commissione, è chiaro che un j' accuse che arrivi da lontano ha una efficacia maggiore.
Quel giorno del 2012, Monnet era a Orta di Atella per la presentazione di un libro, Napoli in cronaca nera, scritto a quattro mani proprio da Iannini e da un giornalista di cronaca giudiziaria, Simone Di Meo.
SERGIO DE GREGORIO SILVIO BERLUSCONI resize
Insieme al carabiniere arrestato, Di Meo ha scritto due libri ed è stato in passato molto vicino a Sergio De Gregorio, senatore condannato con Valter Lavitola e Silvio Berlusconi nel processo per la compravendita dei voti che determinò la caduta del governo Prodi. Il tema dei giornalisti che si occupano di cronaca giudiziaria è assai rilevante nella comprensione della dinamica esemplificata da questa indagine. Ci sono diversi modi di fare cronaca giudiziaria e uno è chiaramente quello di sondare l' universo degli informatori, appartenenti alle forze dell' ordine e in qualche caso alla criminalità, comune o anche organizzata.
SERGIO DE GREGORIO E VALTER LAVITOLA
L' equilibrio e la deontologia, su questo crinale, sono essenziali, poiché la possibilità di entrare in possesso di dati sensibili o di atti coperti dal segreto d' ufficio è alta: se mancano equilibrio e deontologia, si aprono le praterie del dossieraggio e del traffico di informazioni riservate; si apre il varco all' affermarsi di figure di confine, tra servitori infedeli dello stato e giornalisti pronti a costruirsi una identità parallela: informatori al soldo del migliore offerente, anche a rischio di favorire la criminalità organizzata.
La procura della Repubblica di Napoli, prima che la Dda si interessasse a Giuseppe Iannini, aveva focalizzato la sua attenzione e in alcuni casi ha indagato e poi ottenuto importanti risultati su una serie di figure chiave, che in parte ritornano anche in quest' ultima indagine.
I nomi sono tutti accomunati dalla raccolta illecita di informazioni, finalizzata a un utilizzo di queste nella lotta politica e in ambito economico-finanziario.
Qualche settimana fa, in un' intervista rilasciata a Dario Del Porto per questo giornale, il procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, uno dei pilastri della procura partenopea, nel commentare l' esito di un processo su una fuga di notizie che ha visto condannati un avvocato e un cancelliere dell' ufficio Gip di Napoli, ha parlato chiaramente di una «operazione di spionaggio».
Quell' intervista riguardava non una fuga di notizie qualsiasi, ma quella che aveva favorito la latitanza di Valter Lavitola: le informazioni riservate furono pubblicate da Panorama, settimanale di proprietà di Silvio Berlusconi (che personalmente aveva consigliato a Lavitola, sulla base di quell' informazione, di stare alla larga dall' Italia), e furono acquisite da un giornalista, Giacomo Amadori, inizialmente indagato insieme al direttore del settimanale, Giorgio Mulè; le due posizioni sono state poi archiviate.
ROBERTO SAVIANO - LA COPERTINA DI ZERO ZERO ZERO COPIATA DA QUELLA DEL LIBRO IN FONDO AL POZZO
Il nome di Amadori ritorna anche in un' altra vicenda napoletana, quella relativa alle minacce contenute nell' istanza di rimessione letta dall' avvocato Michele Santonastaso, nel corso del processo di appello Spartacus.
All' esito dell' istruttoria di quel processo, infatti, è emerso un rapporto assai stretto tra Santonastaso e Giacomo Amadori, finalizzato secondo quanto sostenuto da Santonastaso alla acquisizione, da parte del giornalista, di un' intercettazione telefonica tra due collaboratori di giustizia, nella quale si parlava di ipotetiche pressioni - mai accertate - perché gli stessi formulassero accuse dirette al premier in carica Berlusconi.
Quell' intercettazione fu effettivamente pubblicata da Panorama, pochi giorni dopo l' istanza di rimessione, mentre il giorno successivo la lettura in aula, Santonastaso, nelle parole del tribunale che lo ha condannato per le minacce nei miei confronti, «sfruttava la propria conoscenza con il giornalista Amadori per rendere proprie dichiarazioni su quanto avvenuto il giorno prima in udienza e per aumentare il clamore mediatico della notizia».
Questa conclusione è impressionante se letta insieme a un altro passaggio di quella sentenza, che chiarisce come quel clamore mediatico fosse stato appositamente cercato per pubblicizzare alla platea degli affiliati casalesi e «nel linguaggio della camorra», un «perentorio invito ai magistrati e ai giornalisti a non cooperare più tra loro e a rientrare nell' ambito delle rispettive competenze, mantenendo un profilo più basso e smettendo di operare con clamore».
Anche nell' indagine che riguarda Iannini tornano nomi noti: quello di Valter Lavitola, la cui abitazione è stata perquisita, come quella di un altro carabiniere a suo tempo coinvolto nell' indagine sulla cosiddetta P4 (una struttura finalizzata alla acquisizione di informazioni riservate per aggredire politici e imprenditori), Enrico La Monica. In relazione a quella vicenda è stato condannato Luigi Bisignani (ha patteggiato una pena a un anno e sette mesi di reclusione, senza la condizionale, a causa di una precedente condanna), la figura più eminente di giornalista borderline attualmente attiva in Italia.
Bisignani, fino a quella indagine, era un uomo di grande potere nel sistema berlusconiano, dopo aver mosso i primi passi all' ombra di Andreotti. Nonostante la pena, Bisignani continua a camminare per le stesse strade di sempre e il 5 maggio scorso, in un editoriale su Il Tempo, passato inosservato ai più, ma ancora disponibile online, ha mandato un messaggio durissimo a un fedelissimo di Matteo Renzi, Marco Carrai.
Bisignani ha scritto: «Ora che da pochi mesi ha tra le braccia la sua bimba, Florence, chi glielo fa fare di mettersi in un "affaire" del quale sa poco quando invece ha dimostrato di essere un imprenditore di successo». Carrai era in procinto di assumere un ruolo di primo piano, di nomina governativa, nell' ambito della cyber security, incarico che ad oggi pare essere tramontato.
SAVIANO CON ECO AL PALASHARP DI MILANO
Quell' editoriale è il modello fedele del lavoro che Bisignani ha svolto nell' ombra per molti anni. E mi viene in mente un paragone, per le allusioni utilizzate, per i riferimenti più o meno metaforici e il linguaggio criptico, tra lo scritto di Bisignani e la lettera inviata in carcere al boss Michele Zagaria. In quella lettera, secondo una mia interpretazione pubblicata su questo giornale, si faceva probabilmente riferimento a Nicola Cosentino (che mi ha citato in giudizio, ma ha perso). Anche in quel caso bisognava sapere leggere tra le righe. Le informazioni ridotte a minaccia, a dossier, manipolate sono il più grande pericolo per il giornalismo italiano.
Questa inchiesta della Dda di Napoli, coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e seguita dai pm Alessandro D' Alessio, Fabrizio Vanorio e Antonello Ardituro (da due anni al Csm), ha una assoluta rilevanza, poiché sta disvelando l' esistenza di un sistema di dossieraggio, realizzato attraverso il furto di atti riservati e la manipolazione delle informazioni, il cui fine era la distruzione degli avversari politici.
Le indagini delineano un quadro allarmante, ai limiti dell' eversione dell' ordine democratico, popolato di personaggi inquietanti, spesso millantatori o peggio estorsori travestiti da giornalisti, e purtroppo anche da molti che dovrebbero servire lo Stato e che invece, come scrive il gip nell' ordinanza di arresto di Iannini, «sono funzionali ad un sistema che si oppone alle forze sane della polizia che ogni giorno si sacrificano per accertare non chi spaccia in strada, ma chi reinveste quei profitti con l' aiuto di imprenditori e amministratori compiacenti».
ASSEMBLEA GENERALI DI BANCA DITALIA LUIGI BISIGNANI FOTO LA PRESSE
SAVIANO, SCIASCIA E LA CAMORRA
di Luigi Bisignani per Il Tempo
Roberto Saviano verrebbe oggi definito da Leonardo Sciascia, "un professionista dell'anti camorra". Partendo da un'indagine, che mi vede del tutto estraneo, in un'articolessa su Repubblica, insinua che avrei lanciato un vero e proprio 'avvertimento' a Marco Carrai quando da nonno gli ho suggerito di godersi la figlia appena nata e di sviluppare le sue attività piuttosto che occuparsi di cyber security. E visto le polemiche su quella possibile designazione sulle quale pare sia intervenuto perfino il Quirinale, ad oggi ci ho indovinato.
Di avvertimenti Saviano probabilmente se ne intende ma il solleone di questi giorni deve avergli fatto un brutto scherzo. Sulla stessa mia linea anche giornali come Il Fatto e la stessa Repubblica che evidentemente Saviano non legge. E questa è certamente una notizia. Quanto all'accostamento su personaggi che hanno insanguinato l'Italia sarà un giudice a stabilire un risarcimento da destinare alle vittime della camorra.
Sciascia, che ho potuto frequentare nella bella casa di Lino Jannuzzi ai Parioli, sarebbe d’accordo.