alberto grimaldi

È MORTO ALBERTO GRIMALDI – IL PRODUTTORE PIÙ CORAGGIOSO E PIÙ PERSEGUITATO DEL CINEMA ITALIANO AVEVA 95 ANNI ED È SCOMPARSO NELLA SUA CASA DI MIAMI, IN FLORIDA: NEL 1962 AVEVA FONDATO LA PEA, DEBUTTANDO IN SORDINA FINO AL SUCCESSO STRATOSFERICO DI “PER UN PUGNO DI DOLLARI” - NEL SUO CARNET, OLTRE A SERGIO LEONE, ANCHE, PONTECORVO E FELLINI – GLI SCANDALI "ULTIMO TANGO A PARIGI" E "SALÒ" E LE BATTAGLIE LEGALI

Da www.corriere.it

 

ALBERTO GRIMALDI

Era nato a Napoli il 28 marzo 1925 ma si era trasferito armi e bagagli negli Usa nel ’77 dopo aver subìto una rapina con sequestro in Italia: è morto ieri a Miami in Florida a 95 anni Alberto Grimaldi, il produttore più coraggioso e più perseguitato del cinema italiano, quello che ha finanziato «Ultimo tango a Parigi» e «Salò». Nel carnet Fellini, Bertolucci, Pontecorvo, Pasolini, Leone e lo Scorsese di «Gangs of New York», girato a Cinecittà ma non senza battibecchi legali.

 

clint eastwood per un pugno di dollari

Laureato in Legge, dopo l’apprendistato nelle agenzie delle major americane Grimaldi, sulla scia di uomini coraggiosi come Ponti, De Laurentiis, Lombardo, Cristaldi, Bini, nel ’62 fonda la PEA, debuttando in sordina: due anni dopo sfonda il box office con «Per un pugno di dollari» con la stratosferica cifra di un miliardo e 890 milioni (terzo assoluto per spettatori, 14 milioni 797.275). Inevitabile che insista con Leone e gli spaghetti western («Per qualche dollaro in più», «Il buono, il brutto e il cattivo») ed è con il cinema nazional popolare che finanzia le opere di autori come Fellini (i travagliati «Satyricon» e «Casanova», poi «Ginger e Fred»), Petri, Pontecorvo, Rosi.

marlon brando in ultimo tango a parigi

 

Ma è con la scossa tellurica di «Ultimo tango» che nel ‘72 totalizza in egual misura incassi e processi. Il discusso capolavoro di Bertolucci è nella storia il più perseguitato e l’unico condannato metaforicamente al rogo, oltre ad aver fatto perdere al regista i diritti civili, prima di essere dopo anni assolto. Rimane una tappa del cinema e del costume, un grande assolo sulla solitudine, con un Marlon Brando che passa alla storia e alcune scene tra le più chiacchierate del comune senso del pudore: incasso di quasi 6 miliardi solo in Italia, secondo in assoluto per spettatori, 15 milioni 623.773.

 

pier paolo pasolini sul set di salo' 2

Grande epopea sarà «Novecento», il Bertolucci padano, anch’esso con problemi di censura e sequestro nella prima parte (ma il caso fu risolto in 5 giorni). Era un periodo in cui la magistratura teneva d’occhio il miglior cinema italiano, partendo da Visconti e Antonioni, quello che saltava gli ostacoli della retorica perbenista e ogni residuo di ipocrisia.

 

pier paolo pasolini sul set di salo' 1

Fu con Pasolini che nei primi anni 70 Grimaldi dovette difendere la battaglie legali più accese, dal «Decameron» ai «Racconti di Canterbury» a «Il fiore delle Mille e una notte», la trilogia della vita. L’ultimo titolo del grande cineasta poeta, il «Salò» che uscì postumo dopo il suo assassinio, sarà uno di quei film «maledetti» che producono fascicoli legali e rovelli di coscienza, apparendo chiaro il dolore biografico del regista che rilegge Sade ai tempi di Salò (premio per il restauro alla Mostra di Venezia 2015).

marlon brando e il cappotto cammello in 'ultimo tango a parigi' 7

 

Certo Grimaldi era un rabdomante, seppe intuire i tesori delle ispirazioni, rischiando di persona sui salti mortali che alcuni autori a volte fanno in anticipo sui tempi. Carriera esemplare nel senso delle turbolenze non del mare piatto, narrata nel libro di Paola Savino (2009, Centro Sperimentale). Un produttore che non temeva terreni minati ma si fidava dei suoi registi e li proteggeva fino all’ultimo cavillo.

FEDERICO FELLINI ALBERTO GRIMALDI

 

marlon brando e il cappotto cammello in 'ultimo tango a parigi' 8pier paolo pasolini sul set di salo'le perversioni del poterele 120 giornate di sodomamarlon brando e il cappotto cammello in 'ultimo tango a parigi' 4

Se il western all’italiana da un lato e lo scandalo di alcuni titoli dall’altro l’hanno reso potente, Grimaldi lancia sempre oltre: ama il film a episodi da Poe «Tre passi nel delirio», adotta le «Storie scellerate »di Citti dopo la morte di Pasolini e finanzia opere scomode, le più estreme ma capaci di fondare le basi di un pubblico europeo lottando per la libertà di espressione. «Di sicuro — dice uno dei suoi storici avvocati, Luigi Di Majo — fu battagliero contro le incompetenze di una magistratura che usava il cinema per pubblicità o con abusi o incriminazioni false come quando Bertolucci fu accusato di aver torturato rane in "Novecento"». Ma alla fine restano i film e Grimaldi lascia un bottino incalcolabile.

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