“LA REALTÀ È UN ENIGMA. E IO NON FACCIO CHE RAPPRESENTARE L'ENIGMA DELLA REALTÀ” – UN ESTRATTO DALL’AUTOBIOGRAFIA DI OLIVIERO TOSCANI: “DAREI TUTTO QUELLO CHE HO, SOLDI, SUCCESSO, TALENTO, IN CAMBIO DELLA SALUTE. INVECE MI DEVO PORTARE DIETRO IL ROTTAME CHE È DIVENTATO IL MIO CORPO. QUANDO MI GUARDO ALLO SPECCHIO E NON MI RICONOSCO, NEMMENO L'IMMAGINE RIFLESSA RICONOSCE ME” – “OGNI CAVALLO HA UN CERVELLO IRRIPETIBILE. PER AVERE A CHE FARE CON IL LORO MISTERO, SERVE UN SISTEMA SOFISTICATISSIMO DI TECNOLOGIA CHE SI CHIAMA SENSIBILITÀ. CON GLI UMANI È LA STESSA COSA. SE QUALCOSA DI BUONO HA FATTO LA MIA FOTOGRAFIA, È STATO INDAGARE QUESTO MISTERO…”
OLIVIERO TOSCANI - Ne ho fatte di tutti i colori. Vita e fortuna di un situazionista
CHIAMATEMI PARADOSSO
Estratto da “Ne ho fatte di tutti i colori. Vita e fortuna di un situazionista”, di Oliviero Toscani (La nave di Teseo), pubblicato da “La Stampa”
Eliminerei qualsiasi competizione. Mondiali, Olimpiadi, tutte barbarie. Già i secondi classificati vengono ignorati dal mondo: è diseducativo.
Vincere non serve a nulla. Anche io ho partecipato a concorsi. Ho sbagliato, come dicevo sono un collaborazionista. Per tanti motivi. Ho delle proprietà e la proprietà è un disastro. Ho una famiglia e la famiglia è un altro disastro.
Dio, Patria, Famiglia e Proprietà sono la rovina dell'umanità. I figli non dovrebbero essere educati dai genitori, che non sono i loro proprietari.
Nascere da genitori inadeguati è una grande sfortuna. Per guidare un motorino serve la patente, per diventare padre e madre la patente non è necessaria: è un controsenso, una follia.
La famiglia crea differenze e rabbie sociali. A me, già ricordarsi i nomi dei nipoti sembra ridicolo. Io ne ho tanti. Ho avuto sei figli. Una figlia l'ho chiamata Ali, in onore di Muhammad Ali. Era un uomo, e allora? I musulmani non sono felici della mia scelta. Tra l'altro Ali è un suffisso che suona più o meno come "di Allah", non andrebbe usato come nome proprio.
Ma Muhammad Ali, al pari di Bob Dylan, è stato il mio mito. Ho deciso che un figlio l'avrei chiamato così, maschio o femmina che fosse. È nata una femmina e, per una femmina, Ali mi sembra ancora più azzeccato.
Sono sempre stato affascinato dalla boxe. Tutti pensano subito alla violenza ma i grandi campioni sono intelligentissimi, altroché. Da ragazzo vidi un filmato di Ali che si muoveva agile come un peso piuma. Intuii subito che avrebbe rivoluzionato quello sport.
Anche il suo modo di porsi nelle interviste era incredibile. "Sono il più bello, il migliore" e altre dichiarazioni del genere. Quelli della mia generazione erano tutti, anche inconsciamente, attratti da questo atteggiamento. Il benessere incominciava a diffondersi, e con il benessere si diffondeva l'appiattimento culturale. Allora noi volevamo emergere, contestare, distinguerci.
Come potevamo non subire il fascino di certi soggetti? Gli eccentrici ci interessavano, eravamo alla ricerca di geni. "Lo stenderò al terzo round," diceva Ali, e così succedeva. Poi vidi un documentario su di lui, che iniziava quando ancora era soltanto Cassius Clay. Il documentario era di William Klein, all'epoca il mio fotografo preferito. Evidentemente non ero l'unico ad ammirare quel fenomeno.
campagna di oliviero toscani per benetton
Un importante giornalista della abc, Howard Cosell, che commentava il pugilato e portava un parrucchino, veniva preso in giro da Ali. Cosell lo intervistava e Ali gli sfilava il parrucchino dalla testa, per smitizzarlo. Incontro con Sonny Liston: Ali lo mette ko con un pugno così veloce che nessuno lo vede.
Cosell gli chiede come è stato possibile e Ali gli risponde che al Madison Square Garden stavano tutti battendo le palpebre nello stesso momento e lui è stato più rapido di un battito di ciglia. «Everybody did blink at the same time, and that was the moment». Geniale. Come potevo non chiamare mia figlia Ali?
muhammad ali fotografato da oliviero toscani
L'educazione inizia con il nome. L'educazione è ancora primitiva e crea uno spreco di qualità sociale.
Parlo per paradossi, lo so. Non sono io a essere ambiguo, è la realtà a essere ambigua. È un enigma. E io non faccio che rappresentare l'enigma della realtà. In una mia campagna ho fotografato due uomini ammanettati. Si vedono solo le loro due mani.
Quella a sinistra è bianca, quella a destra è nera. Chi è il poliziotto e chi è il criminale? Quasi tutti, almeno qui in Occidente, avranno istintivamente pensato che è il nero, il criminale. Ma io non gliel'ho suggerito. Ognuno interpreta i paradossi della realtà secondo la propria personale ipocrisia. E io non sono diverso.
Ho portato i cavalli americani in Maremma. Considero la famiglia un problema. Se entri in casa mia sentirai il concerto di strilli dei miei nipoti. Mi commuovo parlando della mia mamma. Non sono mai andato in banca se non per firmare i mutui.
I DUE UOMINI AMMANETTATI NELLA CAMPAGNA DI OLIVIERO TOSCANI PER BENETTON
Sono stato testimonial dell'American Express, dato che sono stato uno dei primi ad averla. Se Stavrogin, il personaggio di Dostoevskij che quando crede non crede di credere e quando non crede non crede di non credere, avesse fatto il fotografo... si chiamerebbe Oliviero Toscani.
Darei tutto quello che ho – soldi, successo, talento – in cambio della salute. Invece mi devo portare dietro il rottame che è diventato il mio corpo. Quando mi guardo allo specchio e non mi riconosco, nemmeno l'immagine riflessa riconosce me. Riconoscersi, riconoscere. Ambizioni quasi irrealizzabili. Gennaro, l'addestratore che segue i miei cavalli, dice che per addestrarli non può affidarsi a nessuna tecnologia. Nessun modello universale, nessun sistema di calcolo, nessun algoritmo. L'intelligenza equina è marziana, molto particolare. Ogni cavallo ha un cervello personale, speciale, irripetibile. In un certo senso, per avere a che fare con il loro mistero, serve un sistema sofisticatissimo di tecnologia che si chiama sensibilità. Con gli umani è la stessa identica cosa. Se qualcosa di buono ha fatto la mia fotografia, è stato indagare questo mistero. —
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